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lunedì 19 novembre 2012

Che infanzia felice, che mamma - e che padre

Un racconto che nell’era postfreudiana – per non dire dei reality - non sembra possibile, di un’infanzia felice, e di una figlia che ama sua madre, Sidonie detta Sido. Di un matrimonio felice: “Per trent’anni un marito e una moglie vissero senza alzare la voce l’uno contro l’altra”. Della scoperta infine del padre, il Capitano, grande invalido dell’indipendenza d’Italia, avendo perduto una gamba a Melegnano, meridionale con “le false collere del Midì”, seppure di pelle bianchissima, che si lasciava apostrofare dall’amatissima Sido “Italiano! Accoltellatore!” e si trasfonderà, in piccolo, nella figlia scrittrice, nell’orrore del lutto, e del lirismo – ma con un più di riservatezza: la sua scoperta è tardiva, a molti anni dalla morte, dalle lettere ai commilitoni. Due ritratti che sono poi un autoritratto: Sido, di cui portava il nome, Sidonie-Gabrielle, è anche la scrittrice, quale si fantasticava nelle buie stanze del Palais-Royal doveva viveva a Parigi.
Colette bambina usciva l’estate di casa all’alba, “un paniere vuoto a ogni braccio”, verso gli orti “dentro l’ansa del torrente”, a raccogliere fragole, ribes e uva spina, e ritornava al tocco della prima messa, dopo aver bevuto a due sorgenti, una al sapore di quercia e una di ferro e di gambo di giacinto. Di che sa la quercia non importa. Lo stesso di Sido, che nella vita fu ingenerosa, verso il Capitano , e verso gli altri figli, Colette compresa, perché tutto doveva andare al figlio maschio del primo letto, Achille. Né altrettanto inventiva come la figlia la vuole, stando alla raccolta recente delle sue lettere. Ma non importa, un genitore è per il figlio ciò che il figlio sente e riconosce, e Sido è fortunata, è un monumento di calore e immaginazione che niente può più scalfire.  
Colette, Sido

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