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mercoledì 6 novembre 2013

Il Btp Italia di Baffi, e l’euro flessibile

Una congrua riproposta di Paolo Baffi, governatore intemerato della Banca d’Italia, per ristabilire la dignità della Funzione Pubblica – caduta purtroppo, almeno finora, nel vuoto. Con un suo ritratto di Sandro Gerbi, e un saggio di Beniamino Andrea Picone, i due curatori ne hanno collazionato le quattro “Considerazioni finali” sullo stato della finanza pubblica, un’analisi che la Banca d’Italia effettua ogni anno a fine maggio, e le note di diario sulla vicenda giudiziaria di cui fu vittima - titolate “Cronaca breve di una vicenda giudiziaria” alla prima anticipazione, da parte di Massimo Riva, su “Panorama” nel 1983, e poi riprese integralmente nel 1990.
Il personaggio era, benché scostante all’apparenza, accattivante. Già a capo dell’ufficio Studi nel 1944, a suo agio con la pubblicistica e gli interlocutori anglo-americani, di ottimo fiuto nelle questioni monetarie, Einaudi lo scelse a suo interlocutore nei tre anni che passò al vertice della Banca d’Italia, fino al 1948. Fece carriera con gli anni fino a diventare il direttore generale di Carli. E alle dimissioni di Carli, a Ferragosto del 1975, fu scelto dal governo come governatore. Il primo dirigente della Banca d’Italia chiamato a quell’incarico. Fortemente voluto da Ugo La Malfa, che lo impose al presidente del consiglio Moro. Con l’appoggio del Pci, i cui economisti, Eugenio Peggio e Luciano Barca, ne apprezzavano lo spirito indipendente.
Baffi fu governatore negli anni forse più bui della storia non limpida della Repubblica, fino al Ferragosto del 1979. Anni che Tomaso Padoa Schioppa, uno dei suoi collaboratori, metterà tra “i più duri e disgraziati” della storia della Repubblica: inflazione, caro-petrolio, punto unico di contingenza (“salario indipendente”), terrorismo, delitti oscuri, la “messa a morte di Aldo Moro” compresa. Avrebbe potuto aggiungere le riserve vuote di valuta: Carli lasciò per questo e Baffi, in uno dei suoi primi provvedimenti, dovette sospendere per quaranta giorni il cambio – per riaprirlo lievemente svalutato. Ma soprattutto avrebbe dovuto aggiungere Andreotti, perché di questo si tratta: era l’Italia di Andreotti, al coperto del compromesso storico con Berlinguer.
Gerbi rappresenta lo schivo Baffi, nel ritratto con cui apre la raccolta, alla camera ardente di Ugo Baduel, giornalista economico dell’“Unità” intimo di Berlinguer. Nonché corrispondente perfino affettuoso dello  stesso Berlinguer in almeno un caso, in risposta alla lettera di solidarietà che il leader del Pci gli aveva inviato. Ma non era Berlinguer il sostegno di Andreotti? Che di Baffi e della banca d’Italia aveva ordinato e effettuato un inarrestabile impeachment.  Con l’accusa di favoreggiamento e interesse privato, a marzo del 1979, e la carcerazione del suo vice-direttore generale Mario Sarcinelli. Disposte da un giudice naturalmente, anzi da due, Alibrandi e Infelisi. Ma volute da Andreotti. Per un fatto preciso, anzi per due: il rifiuto di avallare il compromesso al ribasso per il rientro dei debiti dei Caltagirone con l’Italcasse, e il no opposto al “piano Sindona” dell’allora presidente del consiglio.
La “Cronaca breve” è al riguardo, nello stile tacitiano di cui Baffi si compiace, molto esplicita. La disgrazia sopravenne dopo che lo stesso Baffi fu convocato con Sarcinelli da Stammati, banchiere, all’epoca andreottiano ministro del Tesoro, per avallare un piano favorevole ai Caltagirone. E dopo che Franco Evangelisti, sottosegretario alla presidenza e segretario politico di Andreotti, convocò a palazzo Chigi Sarcinelli per imporgli il salvataggio di Sindona. Le pressioni sui debiti dei Caltagirone risultano numerose nella breve cronaca.
Cambi flessibili
Resta da esplorare l’azione di Baffi a protezione della lira e del risparmio. Gerbi accenna alla sua idea di un titolo del Tesoro a rendimento garantito contro l’inflazione. È la formula grosso modo del Btp Italia, che sta aiutando non poco a consolidare lo sconsiderato debito pubblico. Più importante, forse risolutivo, sarebbe stato il suo governo dell’euro che allora si tentava di costruire.
I primi dubbi erano nati in Italia sullo Sme, il progenitore dell’euro, il Sistema monetario europeo. I “cambi fissi ma variabili” dello Sme facevano impazzire Baffi, fautore dei cambi flessibili, per sterilizzare l’effetto monetario, l’impatto del cambio sull’inflazione. Il suo predecessore Carli, della generazione dei cambi fissi, era del resto rimasto a corto di riserve, di dollari e anche di oro, avendo dovuto darlo in pegno alla Bundesbank per un prestito. Ciampi, che presto sostituì Baffi, invece ne fu convinto sostenitore, al punto da rivalutare la lira sul marco. Il bluff fu sgonfiato dallo speculatore Soros nel 1992, ma l’aggancio della lira al marco fu ripetuto. Al punto da accettare, per superare l’avversione della Bundesbank, un euro a due marchi.
Il ragionamento di Baffi è stato riproposto ultimamente invece in Germania. Seppure in un libro “provocatorio”, “L’Europa non ha bisogno dell’euro”, e da parte di un eterodosso quale Thilo Sarrazin, ex consigliere Bce e europeista. “Non possiamo costringere i francesi a sostenere il nostro modo d’intendere l’economia”, l’argomento di Sarrazin è semplice: “La ragione economica ci dice che sarebbe meglio tornare a un sistema integrato ma con tassi di cambio variabili”.
Ma, soprattutto, da Baffi resta ancora da trarre il ristabilimento dell’etica politica. Forse veleno in queste epoca di estrema decadenza delle istituzioni e della funzione pubblica. Nonché della capacità di analisi e di proposta. Esito di acume e di applicazione.
Paolo Baffi (a cura di S.Gerbi, B.A.Picone), Parola di governatore, Aragno, pp. 290 € 25

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