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sabato 9 novembre 2013

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (188)

Giuseppe Leuzzi

“Baffo & Coda”, il sussidiario di Storia e Geografia per la Terza Elementare di Allegri e Matthiassich, della Editrice Piccoli, orienta i quattro punti cardinali con l’immagine rivolta verso il Sud. Il Nord è alle spalle. È apprezzabile. Ma disorienta: l’Est sta o Ovest e l’Ovest sta a Est.
Non c’è rimedio?

Lucrezia Lerro situa “La confraternita delle puttane”, un romanzo, nel “profondo Sud”. Massimiliano Chiavarone, nomen omen, che la recensisce sul “Corriere della sera”, così presenta il manufatto: Lucrezia Lerro “colloca l’inferno di alienazione, miseria morale e materiale, in una zona del Sud Italia negli anni Ottanta”. Non molto tempo fa, dunque, anche se non c’erano i telefonini.
Lucrezia Lerro è una scrittrice e poetessa italiana, molto premiata, di Omignano, in provincia di Salerno. L’umanità è infelice, dice. Sì, ma perché battere?

Ndrina, ‘ndrangheta, Giuttari e la filologia riportano al termine greco per maschio. Ma perché non sarebbero privativi? “Anandrines” fu un setta di lesbiche, le “senza uomini”, fondata a Parigi nel 1770 da Madame de Fleury. Con una succursale presto a Londra, presieduta da una Mrs. Yates, attrice del teatro Drury Lane. A Parigi fu presieduta da Sophie Arnould, cantante famosa e donna di spirito, nonché cortigiana - l’una cosa non escludeva l’altra.
Il club, ufficiale a differenza delle ‘ndrine, ebbe un tempio proprio, e un cerimoniale. Finì con la rivoluzione, nel 1789. Ma non prima di subire, anch’essa come le ìndrine, almeno una scissione. Quando la sua successora alla presidenza ammise al tempo gli uomini, seppure dietro impegno a usare a fini erotici solo le mani, le labbra, la lingua, ma non il pene, Sophie Arnould se ne dissociò, pronunciando un motto poi celebre: “O puttana, o lesbica”..

Leggere per credere”, diceva questa rubrica l’ultima volta a proposito dell’articolo di Stella contro l’Università di Cosenza. Ma l’articolo è stato tolto da Stella dal suo facebook – dai fan di Stella che “alimentano il suo facebook”. E omesso dall’archivio del “Corriere”. In archivio c’è solo la replica del rettore dell’Università:

Il Nord ha sempre ragione
Nord e Sud due concetti embedded. Cognizioni spirituali immutabili. Come essere tedesco e essere italiano, il “vecchio” concetto di nazionalità come “opposto” all’altro, agli altri. Con un senso di superiorità embedded nel Nord, e d’inferiorità nel Sud, in automatico. Un giornalista italiano in Germania non seguirà mai un caso di frode nell’uso dei fondi europei di sostegno alla produzione, per esempio nella produzione del latte. Un giornalista tedesco a Roma farà sempre un caso di una multa, magari infitta dalle autorità italiane, a un allevatore sardo, a un olivicultore calabrese, a un agrumicultore siciliano, per abuso dei fondi di sostegno alla produzione. O per abuso dei fondi di formazione. Senza che ci sia una predominanza del malaffare al Sud rispetto al Nord, non che le statistiche europee lo accertino
Un corrispondente italiano a Bruxelles non farà mai un caso di una norma di sicurezza resa obbligatoria perché serve a Volkswagen, o del rinvio di cinque anni delle emissioni zero perché fa comodo alla Bmw, alla Mercedes e alla Audi (cioè a Volkswagen). O se il commissario alla concorrenza Alumunia non considera aiuti di Stato i 300 miliardi profusi dal governo tedesco alle banche. Un corrispondente tedesco a Bruxelles, e anche uno italiano, faranno sempre notizia e anzi un caso se Almunia contesta il “possibile”, “futuro”, imprecisato aiuto di Stato nella ristrutturazione del Monte dei Paschi di Siena.

Una denuncia di un europarlamentare danese dell’estrema sinistra, Søren Bo Søndergaard, sull’uso dei fondi europei per la ricostruzione dell’Aquila, diventa allo stesso modo su “Repubblica” lunedì “la relazione stesa da un funzionario danese” incaricato di indagare sugli “sprechi del dopo terremoto”. Il “Corriere della sera”, a rimorchio di “Repubblica”, la “relazione” il giorno dopo fa diventare “un rapporto degli ispettori europei”. Esimendosi dal leggerselo col citare Giusi Pitari e Sabina Guzzanti.
Søndergaard dice che i materiali usati sono scadenti, che i costi sono gonfiati, e che c’è di mezzo naturalmente la mafia, oltre a Berlusconi. È ospite all’Aquila di un movimento per la ricostruzione, che “queste cose”, spiega, “le avevamo detto nel 2009”, cioè prima della ricostruzione. L’accusa più precisa nella sua confusa conferenza stampa è che, dove sono stati utilizzati dei fondi Ue, manca il prescritto pannello che dice: “Questo è dei fondi Ue”.
L’onorevole, con un passato da insegnante e metalmeccanico, è l’unico rappresentante del suo Movimento popolare contro la Ue – e per l’Efta, che non staremo nemmeno a ricordare che cos’è: più che altro un buontempone. Ma un onorevole danese è vangelo per giornalisti pure valenti, quali sicuramente sono a “Repubblica” e al “Corriere della sera”.    
 
Pentiti
Carmine Schiavone, pentito di camorra da quasi vent’anni, senza più “contratto” col servizio di protezione, continua a dettare legge. Ora vuole il casertano avvelenato e anzi già morto di tumori. Gasato da veleni, in fusti che non si trovano, ma non importa.
Un pentito è per antonomasia la fonte di se stesso. Perché deve mantenersi – perpetuare il pentimento. Schiavone non è uno da nulla. È cugino di “Sandokan”. E ha creato i “casalesi” e “Gomorra”, il libro più venduto e un grande film. Che in gran parte, il film di Garrone soprattutto, è Schiavone, un ragazzo che ammazzava per niente - lui si definisce “capa a perdere”. Con 50 omicidi accollati, nessuno dei quali scontato, grazie al pentimento.

Nulla al confronto con Brusca, quello che scioglieva nell’acido le vittime, che, finito senza protezione anche lui, due anni fa confessò che con Riina volevano uccidere De Benedetti, per conto di Berlusconi.

Però, Brusca si vede che legge i giornali. O il suo avvocato per lui. Più inquietante l’altro grande pentito di Palermo, dopo Buscetta e Brusca: Gaspare Spatuzza. Quello con cui ha fatto carriera il Procuratore Grasso, oggi presidente del Senato. Qualche anno dopo il pentimento, Spatuzza ebbe la visione della Madonna, e subito dopo di Berlusconi e Dell’Utri veri capi della mafia.

Un pentito di mafia, Francesco Onorato, si è esibito a Palermo in una serie di scemenze. Dalla Chiesa fu ucciso da Craxi - insieme con Andreotti, è vero. Martelli l’ha fatto ministro Riina (“l’abbiamo fatto noi”) – per mettersi insieme con Falcone, e introdurre il 41 bis? Gli stessi giornali dello Stato-mafia ne riferiscono vergognosi.
Onorato si è infatti esibito al processo del giudice Montalto. Senza che il giudice lo imputasse di falsa testimonianza. Non gli ha neppure imposto un po’ di rispetto per la corte.
Non che Palermo sia stupida, si vuole anzi più furba di tutti. E sicuramente lo è. Tanto più che la mafia a Palermo, col sindaco Orlando e il Procuratore Messineo, non c’è.
Onorato ha trenta omicidi certi. “Era come fare parte della Nazionale”, si è potuto vantare alla corte d’Assise del giudice Montalto: “Prendevano solo i migliori”.

Ugo Ojetti aveva la categoria dell’ “impunito” (v. Ranuccio Bianchi Bandinelli, “Diario di un
borghese”, p. 466). È tale e quale il “pentito” di oggi.
Ci sono resto sempre stati “pentiti”, da quando ci sono le polizie. Vidocq se ne avvaleva in quantità.

Il pentito va protetto a vita, e quindi per Schiavone, come per ogni altro, Brusca incluso, c’è una soluzione da trovare. Ma il ruolo dei pentiti va rivisto. Dicono quello che, nelle zone di mafia, tutti sanno, che le polizie sanno. Danno delle conferme. Ma poi bisogna trovare le prove e i riscontri. E dunque? Molti pentiti deviano peraltro le indagini con accuse pretestuose – il vecchio depistaggio.

Sorda Milano
“Fiasco!” “Fiaschissimo!” Con queste urla la Scala di Milano accolse la prima della “Norma” di Bellini, opera fra tutte eccelsa, storia, versi e musica, il 6 dicembre 1831 – di musicista che nello stesso anno mandava in scena “La sonnambula”... Non era ancora in uso il leghismo, ma l’orecchio duro sì.
Milano ha avuto la Scala dal conte Firmian, che era austriaco e non veneto, e da un paio di arciduchi, musicomani, anche loro austriaci.

Milano ha avuto Gaber, Celentano e Jannacci. Ma si identifica con Borrelli, Boccassini e De Pasquale. Che sono napoletani, ma sordi, anch’essi, di orecchio.

Si ricorda la prima alla Scala di Mani Pulite, approssimandosi i vent’anni dell’evento: primeggiano nelle foto e nelle cronache Borrelli, il figlio di Di Pietro, e ufficialoni dei Carabinieri, in tenuta di gala, con signore.

Milano ascolta tutti, anche la ministra Cancellieri. Come già la moglie di Fazio. È dunque Milano la Spectre d’Italia, il Grande Orecchio. Ma ci sente bene?

Si ascolta a Roma l’“Oneghin” di Puškin, alle serate di Valerio Magrelli, presentato da Antonella D’Amelia, letto da Patrizia Zappa Mulas.  Che Nabokov dichiara, in ben tre libri, capolavoro assoluto, di lievità intraducibile. Scritto dal giovane Puškin dopo aver letto Parini, e anche Manzoni poeta. Ma Parini, non era milanese?

Non scherza mai nessuno sui milanesi. Nemmeno i comici, che sono tutti milanesi. C’è un motivo?


Massimo Bray, ministro dei Beni Culturali, va a Milano, scrive il “Corriere della sera”, e ricorda alla Scala “di essere largamente il maggiore «azionista» del teatro (nel 2012 ha erogato 30.748.000 euro, più 475.000 per ogni tournée, e 6.610.000 in straordinari) e di essere sempre intervenuto (anche in questi giorni, con due milioni e mezzo del Cipe) per ripianare il rosso e ottenere il pareggio di bilancio”. Per una stagione mediocre: la musica non interessa a Milano, i soldi sì.

leuzzi@antiit.eu

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