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lunedì 4 novembre 2013

Fallimenti e cordate

Non ci sono criteri oggettivi per un fallimento. Si dice che ci sono ma sono soggettivi. Il patrimonio, l’indebitamento, gli attivi, sono tutti valori soggetti a valutazione. Gli stessi indici previsti per legge o per disposizione delle Autorità di sorveglianza sono soggetti a interpretazione. In alcuni casi si applicano, in altri no. Mentre è – dovrebbe essere – interesse dei creditori evitare le insolvenze.
Un “caso Fonsai” molto scoperto è stato il San Raffaele di Milano, l’azienda ospedaliero-universitaria di don Verzé. La maggiore banca creditrice, l’Intesa di Bazoli, si agitò molto per portarla al fallimento – contro ogni suo interesse apparente. Attivando in tal senso la Procura di Milano, con la famosa seconda perizia. Il Procuratore Capo di Milano in persona, Bruti Liberati, ordinò una seconda perizia contabile allo stesso revisore, Deloitte, e Deloitte subito si conformò: i debiti non erano più un miliardo ma un miliardo e mezzo, e il patrimonio non più attivo per 30 milioni ma negativo per 200. Don Verzé era vecchio e malato, il direttore Cai fu vessato al suicidio, e il San Raffaele invece che alla Fondazione passò al gruppo Rotelli-Intesa. Che lo rimise in bonis dall’oggi al domani.
Con i Ligresti la storia è vecchia. Ci avevano provato già al tempo di Craxi, venticinque anni fa – tentando di farne una banda a delinque in quanto “due siciliani” (tre con Cuccia, che trasse Ligresi dagli impicci). Ci hanno riprovato sei anni fa a Firenze, anche a costo di implicare il sindaco Pd, Leonardo Domenici. Gli arresti per tutti li hanno domati – e il fallimento Fonsai? 

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