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sabato 6 agosto 2016

Secondi pensieri - 272

zeulig

Decostruzione – S’innesta come è noto sull’insistenza con cui de Saussure torna sull’arbitrarietà del significante  – nonché sulle mille facce del senso, quale che sia quello che si individua o rileva. Ma quella di Saussure è una induzione logica, che non connota il senso, i diversi sensi – non struttura, quindi non destruttura.

Guerra – È celebrata nel Novecento, quando perde ogni suo valore – onore, coraggio, giustizia, libertà – nella propaganda di guerra: E nella guerra di posizione (le trincee) e della potenza di fuoco (mitragliatrici, obici, cannoni, carri armati, aerei, missili): la “guerra di materiale”, di cui lo stesso Jünger, che la ha vissuta eroicamente, è lo scrittore. Che ogni valore individuale annulla, e perfino ogni valore umano, che non sia quello dell’invenzione (tecnica) di nuova potenza di fuoco. Si celebra qualcosa che non c’è è più, ma con non neutrale slittamento semantico: dal valore alla carneficina.

Interpretazione – Rorty, dopo averla a lungo ricercata – l’interpretazione vera, il codice risolutivo – la riduce a una “ambizione”  che lo aveva “indotto, tra  ventisette e i ventotto anni, a sprecare tutto il tempo alla ricerca del segreto della dottrina esoterica di Charles Sanders Peirce circa la «realtà della Terzità» e dunque del suo «Sistema» semiotico-metafisico così fantasticamente elaborato”. La semiologia dicendo dunque un esoterismo. Rorty è scettico, ma il suo “mulino del processo ermeneutico che crea gli oggetti parlandone” è reale.
Così in “Il progresso del pragmatista” (in “Interpretazioni e sovrainterpretazioni”).

Sull’interminatezza dell’interpretazione Rorty ritorna in questo saggio a proposito del romanzo di Eco, “Il pendolo di Foucault”. La lettura gli evoca, dice, “una visione del grande mago di Bologna che rinuncia allo strutturalismo e abiura alla tassonomia,… finalmente disposto ad abbandonare la sua lunga ricerca del Piano, del codice dei codici”. Una lettura, dice Rorty, in linea con “tutti quei tassonomi settari e monomaniaci che turbinano intorno al pendolo”, che “riescono, con grande zelo, ad accordare qualsiasi cosa con la storia segreta dei templari, con la scala dell’illuminismo massonico, con il piano della Grande Piramide, o ancora con una qualunque delle loro ossessioni”.
Per una circolarità di grande appropriatezza logica: “Queste persone traggono un piacere squisito nello scoprire che la loro chiave ha aperto ancora un’altra serratura, che un altro messaggio cifrato ha ceduto alle loro insinuazioni e rinunciato ai suoi segreti”. Anche se, semplicemente, “condividono le delizie di cui sapevano Paracelso e Fludd mentre scoprono il vero significato della peluria delle pesche, vedendo in questo fatto microcosmico una corrispondenza con qualche principio macrocosmico”.

Sangre limpia- È molto italiana Laura Marino, star francese dei tuffi a Rio, ma non è un caso, è una delle tante figlie e nipoti di italiani che hanno conservato i nomi familiari, non volendo rinunciare del tutto al pedigree, se non alle radici. Jérôme Fenoglio, chiara origine di Alba, come lo scrittore, è direttore del “Monde”. Fenoglio è d’altra parte l’italianizzazione del francese fenouil, finocchio. Dove sono le distinzioni nette, marchianti? Il razzismo biologico no, razza e cultura sì, ma dove sono le carte d’identità, le delimitazioni? Il razzismo biologico semmai ha un senso, se se ne esclude la connotazione di superiore e inferiore: la procreazione è una fatto, l’ereditarietà ha una base. Anche quello culturale ne ha uno – le pagine di Senghor sull’uomo africano e l’uomo europeo si rileggono con interesse. Sull’intuizione come dominante oppure il raziocinio, eccetera. Ma sapendo che è una costruzione storica. Stabile in relazione alla stabilità dei caratteri, ma non predestinata.
Nel romanzo di Cicerone, “Imperium”, un “uomo nuovo” che sarà sempre disprezzato dagli aristocratici, benché miglior avvocato e loro collega al Senato,  Harris addita Catilina, e il suo giovane compare in dissolutezze Clodio, come il concentrato della razza pire, per una selezione di decine di generazioni: “Credo che si intenda proprio questo per «purezza della razza»”, Harris fa dire al suo narratore, lo schiavo Tirone, stenografo e segretario di Cicerone: “Erano stati necessari quattrocento anni di matrimoni incrociati tra le migliori famiglie romane per dare vita a quelle due canaglie, creature d’allevamento simili a due cavalli di gran razza e come loro veloci, caparbi e pericolosi”. La selezione acuisce le qualità anche negative: dalla malvagità non ci si salva chiudendosi in casa, non resta fuori della porta. Restando se stessi nella propria tribù si finisce come gli Ik di Turnbull, vendicatori cupi affaccendati.

Ciò che non va del razzismo biologico è, oltre alla gerarchizzazione, la purezza. La purezza del sangue, cui si collegherebbe quella delle culture, e anzi delle coscienze. Il contrario non  tanto di impuro quanto di misto.
Storicamente si può sostenere che il razzismo nasce quando si conculca il tribalismo. Nasce nel 1492 in Spagna, dopo la conversione imposta agli ebrei: non contando più la professione religiosa, per distinguere gli ebrei si compilano Libri Verdi sulla limpieza de sangre.
Il mito del sangue puro va con quello della razza eletta, che s’inaugura storicamente con la tratta dei negri per il mercato americano, del cui avvio il mito è contemporaneo. Ignazio di Loyola sarà oppositore lucido, tanto più per essere isolato, della limpieza de sangre. Ma contemporaneamente Teresa d’Avila, fu subito santa per la chiesa senza problemi, benché di nonno ebreo, senza quindi i quattro quarti prescritti dalla limpieza de sangre, e con cognizione del fatto. Il mito verrà presto abbandonato, gli stessi spagnoli dirazzavano volentieri nelle Americhe, ma resta serpeggiante, come fondamento  della superiorità, il cui mito invece si espanderà,

Voto – Si reputa la matrice e la materia della democrazia, e lo è, ma entro limiti. L’eccesso di votazioni dissolve il corpo politico. Specie sotto l’aspetto referendario, ora anche per le questioni locali e settoriali. E per effetto oggi dei sondaggi, peraltro labili e incontrollabili. Inoltre, paralizza e dissolve la funzione di governo, riducendo la democrazia a simulacro: il potere, non tollerando vuoti, si esercita con altre modalità e per altri interessi, non necessariamente collimanti con quelli dell’elettorato.
L’eccesso di votazioni, nei pochi giorni non festivi,  è una delle cause della fine della Repubblica nell’antica Roma: l’indigestione di voti popolari, senza la necessaria selezioni di uomini, metodi, obiettivi.
Contro le votazioni, e a fini “democratici”, si esercitò a Roma il “tirannicidio”, brevi manu, senza giudizio, a opera dell’establishment contro i tribuni, da Tiberio Gracco a Cesare.

zeulig@antiit.eu

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