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martedì 2 agosto 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (295)

Giuseppe Leuzzi

Gli incendi devastano la Maremma, da Donoratico a Castiglione della Pescaia e a Grosseto, a fine luglio. Di bande di piromani. Forse teppisti, forse a scopi immobiliaristi. Accertati, cioè visti all’opera, ma non arrestati. Ma non ne abbiamo saputo nulla. Un incendio è un incendio solo in Sicilia.

De Magistris a Sesto Fiorentino, ai sestesi che non vogliono un bruciatore di rifiuti, propone il “modello Napoli”.. La differenziata cioè al 30 per cento – a Sesto sono già al 60 – e un bruciatore da 1.000 tonnellate alò giorno, contro le 180 del progetto Sesto. Applausi. Non si può dire che il Sud non sia ben ricevuto nella razzista Toscana.

“Credo nei testimoni che si fanno sgozzare”, dice Pascal. E non a quelli che si fanno premiare, secondo tabella?

Sempre strani, questi siciliani
I siciliani compaiono in “Imperium”, il romanzo storico ciceroniano di Robert Harris, “vestiti come a lutto, con barbe e capelli incolti”. Un po’ selvaggi. Ma nell’arringa di Cicerone “Contro Verre” (metà del libro, il cuore della narrazione, è su Verre e la Sicilia), è un elenco lunghissimo di manufatti estetici e preziosi rubati nell’isola dal governatore romano.
E quando Cicerone passa per la città seguito dai clienti siciliani, la gente non si trattiene, tanta è la curiosità, di chiedergli chi sono “quei tre amici dallo strano aspetto”. Harris-Cicerone fa questi siciliani anche “sagaci di natura, resi scaltri dall’esperienza, abili grazie all’istruzione ricevuta”. Ma provinciali a Roma.
Questo è plausibile. Il resto non si sa se pensare una proiezione all’indietro, o un quadro dell’epoca fedele. Per altri cenni noti di storia romana, è pensabile che i siciliani, benché molto greci, cioè molto più educati e esperti, nelle arti del trivio, del quadrivio e anche della politica, fossero ritenuti a Roma poco più di niente. I provinciali veri sì, erano rispettai perché romanizzabili, i greci e ogni altro di solida cultura, gli ebrei per esempio, gli egiziani, i siriaci, erano tenuti in punta di bastone, e quindi disprezzati. .
Verre è infine condannato, come si sa, ma non a risarcire la “Sicilia” – questo è un aspetto trascurato che invece a Harris fa grande impressione. Di un bottino razziato valutato sui quranta milioni di sesterzi come minimo, forse quattro volte tanto, fu condannato a pagare un’ammenda di un milione e mezzo. Giusto di che rimborsare i testimoni a carico, delle loro lunghe peregrinazioni a Roma.
Anzi, i siciliani di Harris-Cicerone saranno, come sogliono, prodighi: generosi, riforniranno Roma di grano a prezzi contenuti, nell’anno in cui Cicerone fu edile, incaricato quindi anche degli approvvigionamenti alimentari, e il carico di una nave lo regalarono.

La jihad ‘ndranghetista
Si può mentire per necessità è “problema morale” di Kant che Luigi Lombardi Satriani evoca, in “Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud”, 297, per escluderlo. Non al S ud: “Per il folklore meridionale l’uomo deve essere leale, non può ingannare, raggirare, mentire, deve mantenere fede alla parola data: l’omo ala parola, li voi (i buoi) ali corna.  La menzogna quindi costituisce reato”.
L’antropologo esclude o include Kant? Lo esclude: non c’è calcolo nella lealtà e verità, non ci può essere convenienza. Sì, invece, se in guerra: “Eppure, la condizione di necessità esime dall’obbligo di non mentire: ‘N tempu di guerra menzogna come terra.” È una concezione etica che spiega molto della mafiosità, che sa essere convincente – benché sia disperzzabile e disprezzata: avida, persecutoria, miserabile: sa mettere in guerra. Come i jihadisti.

Milano
V “Fuorri l0pItaalia dal Sud”..

Camila Cederna, una dei loori, li voleva .sueprficiali…Superficali- Cederna? Non, astiosi. Cattivi, molto.

V. “Fuori l’Italia dal Sud”. V “Fuori lItalia dal S ud”, gli aneddoti sul cibo.
Più il chicchirichì delle modelle infarinate…

Mediobanca, “Pirelli”, Della Valle & company hanno svenduto Rcs a pezzi non per investire ma per “fare cassa”, per poter continuare a spolpare il gruppo. E insistono. Appellandosi al mercato. La faccia tosta, questo non manca a Milano.
Il quale mercato non gli chiede conto della mala gestione. Non al salotto buono: il mercato a Milano ritiene che i potenti hanno ragione. 

Non gliene è mai fregato nulla dei giornali, del mercato, delle tecnologie, delle maestranze.  Hanno ridotto Rcs, il maggior gruppo editoriale italiano, di fatturati, profitti e autorevolezza, a un colabrodo. L’hanno impoverito per il loro solo uso, di piccolo potere e vanagloria. E da ultimo spolpato di tutto, immobili, impianti, testate, case editrici. Per fare cassa, cioè per non staccare la spina. Ma non chiedono scusa e non si mettono da parte. Protervi, fanno causa a chi vuole risanare il gruppo. Nel rispetto ossequente della città.

I vestali del mercato come i piccoli appaltatori: quando non guadagnano abbastanza, vanno dal giudice. Che li vendicherà, Milano è fatta così – anche se a opera di giudici napoletani.
Il ricorso degli affondatori del “Corriere della sera” è stato respinto dal Tar, ma non era milanese – è il Tar del Lazio. Il giudice di Milano invece ha subito disposto l’aggiotaggio e l’ostacolo alla vigilanza – il giudice Greco, napoletano, è in vacanza in barca, ma si tiene informato.
Due capi d’accusa insidiosi. Di aggiotaggio non è mai stato condannato nessuno a Milano. Nemmeno processato. Ma si va in prigione preventivamente: come deterrete funziona. Cairo è avvisato, Greco non è scemo.

La Fiera di Milano fa un fiera del libro negli stessi giorni della rassegna ormai classica di Torino. Protestando che non le fa la concorrenza. Confermandosi città gregaria e sfruttatrice, comunque non creativa. Prende quello che gli altri creano.

Città di untori e colonne infami: Ma, certo, città ricca. Milano è l’unica città che abbia mantenuto con costanza nella storia moderna una posizione leader negli affari, in Italia e in Europa. Firenze e i banchieri toscani che avevano catturato mezzo mondo col fiorino e le lanerie, sono usciti di scena nel Cinquecento. Torino è emersa con l’industria, e con essa si è spenta. Milano invece dura.

Quando è al meglio parla con i chicchirichì delle modelle infarinate. È nel genere frou-frou che eccelle, nella chiacchiera, nei languori proustiani. O meglio camilliani. C’era prima Milano o prima Camilla? A croce, dovrebbe venire prima Milano.

Michele Sindona è stato un fenomeno milanese. Era siciliano, sicilianissimo, e per di più legato alla mafia, Ma questo legame, messo in evidenza da ultimo dalla sua stessa megalomania, era noto almeno dalla metà degli anni Sessanta, quando le prime segnalazioni arrivarono dall’Fbi americano a Luigi Calabresi, agli uffici romani dell’Interpol. Perché per tanti anni ancora i milanesi continuarono ad arricchirsi con Sindona? E perché non si è andati a fondo, dopo l’assassinio di Calabresi, su questo precedente?

leuzzi@antiit.eu

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