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domenica 24 gennaio 2016

Giulietta e Romeo, faida continua

Una fiaba di faide: Giulietta e Romeo doppiata da film d’azione. Non proprio filologica: con lieto fine (e vissero felici e contenti) ma con tanti morti - Romeo uccide anche il padre di Giulietta, che ha ucciso il suo proprio padre, etc. Sulla traccia della faida di San Luca, che si è conclusa a Duisburg, per il ruolo che vi hanno avuto i giovani delle opposte famiglie, e poi le donne. Trasposta di qua e di là dall’Allaro, la fiumara sotto Riace presso Locri, e a Milano, in Belgio, dove capita. Tra le Aquile e i Lupi, albanesi di Calabria e calabresi propriamente tali, su tare ataviche, doppiati a Milano, seconda patria dell’autore, da calabrotti e triadi su eroina  e altri traffici redditizi.
Appassionante, a tratti (esordisce con un “Pivelli!” che non usa più nemmeno in Toscana), ma inquietante. Per l’odio-di-sé e la vicenda personale che traspare – il padre ucciso, il fratello killer. E più per la magnificenza con cui Criaco sa svolgere la violenza, già sperimentata con “Anime nere”: l’energia, la determinazione, l’insouciance del killer a gogò. Da Supereroe, il suo ammazzauomini è sempre giovanile, freddo, rapido, anche se di mezza età come qui, e un Vendicatore dal volto d’angelo. Di un cancro facendo allegra metastasi: “Ho costruito una parte della mia sopravvivenza all’odio, che in questo mondo sospeso può rappresentare una ragione di vita”.
Poi c’è la Calabria. A Milano, a Metz, a Anversa, in carcere: è una specie di romanzo etnico. Sono calabresi, anzi dell’Allaro, i protagonisti, pur venendo da varie esperienze in Europa, e a Milano il giudice intelligente e cinico, l’avvocato generoso, gli spacciatori, all’ingrosso e al minuto. Il Vendicatore ne ha la nostalgia: la Calabria, dove pure non è nato, è cieli tersi e acque limpide. Ma tutti si odiano e si ammazzano, e eccetto che a tavola non sanno come altro rasserenarsi. A Milano i padri accompagnano i figli al parco, in Calabria in campagna all’uso della pistola. Un luogo di storie e anime nere. Non fosse per le sue donne – sono loro che portano al lieto fine. Solo che, pagato il tributo alle pari opportunità, il rifiuto diventa stucchevole. Piatto, a una dimensione.
È vero che non si sfugge al male, anche a tenere le porte chiuse. Il cap. III lo dice e lo spiega. Ma il romanzo dice il contrario: “La Calabria è una terra strana, sospesa tra passato e presente”, il protagonista si fa dire dal saggio giudice calabrese, “la sua lingua non contiene il futuro dei verbi, il domani è affidato al destino”. Destino in Calabria – lo stesso romanzo è costruito sul contrario? La sensazione è che Criaco si sprechi. Che metta la capacità fortemente evocativa di fantasia e scrittura al servizio di non tanto oscure potenze del pregiudizio - e lui, allora, a Milano? è un aborto, un caso strano? Bisogna censurarsi, l’odio-di-sé oltre un certo limite (autocritica) si fa razzista: non tutti hanno le nostre colpe, tanto più se ereditate  – “calabrotti” e cinesi mangiano i cani, dove?
Gioacchino Criaco, Il saltozoppo, Feltrinelli, pp.207 € 14.

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