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venerdì 20 marzo 2020

La poesia popolare di Pasolini

Il massimo interesse di Pasolini per tutti gli anni 1950, e ancora nei primi 1960. È la ormai classica riproposta di Alberto Maria Cirese dell’antologia della poesia popolare che Pasolini aveva redatto a due riprese, nel 1952 (insieme con Mario Dell’Arco, “Poesia dialettale del Novecento”) e nel 1955 con questo titolo, “Canzoniere italiano”, sottotitolo “Antologia della poesia popolare”. Comprensiva dei due lunghi, puntigliosi studi, “La poesia dialettale del Novecento” e “La poesia popolare italiana”, che nel 1960 riprese nella raccolta di interventi critici “Passione e ideologia”.
È tutto detto nel primo capoverso del secondo saggio, quello più onnicomprensivo. Che la poesia popolare pone tra virgolette, partendo dall’invenzione della tradizione in Scozia e in Inghilterra, da Ossian in qua. Poi “naturalizzata” e generalizzata dal pre-romanticismo tedesco, Herder, lo stesso Goethe, Schlegel, Uhland, i fratelli Grimm. Con una curiosa inversione temporale: “È evidente che già nel Vico o nel Rousseau germinano certe nozioni, sia pure appena espresse, che si svilupperanno nella passione alto-romantica per la poesia primitiva”.
Un’apertura confusa, “La poesia popolare italiana”, tra pre- e alto-romantico, che sono la stessa cosa. E un “alto” contemporaneo “di Vico e di Rousseau”, i quali invece si distanziano di due o tre generazioni. Ma la confusione portando nello stesso capoverso iniziale (conclusivo, riassuntivo, come di pratica saggistica) a ottimo termine: una poesia “implicante un regresso nel parlante udito come specimen di un’idealizzata collettività, e quindi coincidente con la scoperta, così densa di futuro, della «nazione», in senso etnico e patriottico prima, socialistico poi”.
In questo inizio c’è tutto. Senza le incertezze successive sul concetto di “popolare”, e della stessa poesia. I nodi sono noti, e non si sciolgono – ma il tema, certo, non appassiona più (il populismo esclude il popolare?). Popolare come adattamento del colto? allargamento della audience? della tematica? della finalità (poesia per il popolo?)? È l’uso del dialetto. Limitiamoci a questo. Pasolini si limita a questo. Anche se ne farà pratica intellettualistica – il popolare verace vuole, col dialetto o con la κοινή, anche il ritmo, meglio se in settenari o ottonari cantanti, con la rima.
Pasolini non è comparatista. Ma assumendosi il compito di “formare” la tradizione popolare italiana, che ritiene scoperta, a fronte di quella inglese e di quella tedesca, legge molto. E molto ha recuperato, operando sulle raccolte precedenti: una tradizione che, quale che sia il senso del popolare.
È la rassegna che mancava. O, in altri termini, una ottima base censitaria per una storia della poesia popolare, che poi non si è fatta. Ma molte annotazioni restano nuove. Il recupero del Nigra, il diplomatico che fu studioso appassionato e acuto del genere - “L’Italia rispetto alla poesia popolare (come rispetto ai dialetti) si divide in due zone: Italia inferiore, con substrato italico; e Italia superiore, con substrato celtico”. E di molto Croce. Oltre che di Gramsci, naturalmente, che per primo ha posto il tema. Nonché del nazionalismo, che ha base etica, “nel binomio «Popolo e Dio», che vale tanto per il reazionario von Arnim che per il rivoluzionario Mazzini”.
Molto se ne può ricavare su Pasolini stesso, come si poneva - prima del mito. In nota, p. es.: “È di questi anni la scoperta (dovuta a Bo) e la moda in Italia del popolareggiare andaluso (squisito) di Garcia Lorca”. E nel testo: “Non avevano poi tutti i torti i romantici a parlare, ingenuamente e apoditticamente, di una creazione collettiva ed etnica”. Del poeta-vate: se “l’individuo inventante” non inventa se stesso ma espone, sintetizza, “una collettività e una razza, considererebbe anzi disonorante non essere tale”. Una sorta di manifesto.
Una ricerca che da sola vale una vita. Un Pasolini ne viene fuori romantico-romantico. Anche questo in nota – citando da un saggio di Pasquali, compresi i puntini di sospensione: “Romantico è il senso vivo per l’unità integrale di tutte le manifestazioni dello spirito in tutta una età. E romantica è anche la distinzione netta fra tradizione dotta e tradizione popolare; romantica la fiducia soverchia riposta in quest’ultima…” Il ritratto del poeta civile. Corroborato da una sorta di autoritratto in “Pascoli”, un saggio che Pasolini ha collocato, nella compilazione successiva, “Passione e ideologia”, subito dopo questo “La poesia popolare italiana”. Di quando non si era ancora immerso-perduto nell’impegno, nella fedeltà al Partito, e nell’attualità, inconclusivo – si ritroverà nel cinema. “La semplicità (o altrimenti, per assurdo l’unilinguismo, malgrado la materia semidialettale) dello stile popolare, è in effetti la superficie – semplice, o semplificante per fossilizzazione, per fusione – di un mondo complessissimo ed estremamente composito, babelico, d’influssi culturali e stratificazione stilistiche” è la provvisoria conclusione.
Pier Paolo Pasolini, Canzoniere italiano, Garzanti, pp. 666 € 22

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