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venerdì 20 marzo 2020

Il modello cinese

Il mercato cinese, il più grande e il più prospero del mondo, è programmato. Effetto della programmazione. Di una cornice istituzionale, politica, legislativa, finanziaria curata fin nei particolari, e continuamente in tensione, in aggiornamento.
Naufragata cinquant’anni fa nella polemica democristiana e comunista contro il centro-sinistra socialista, la programmazione è stata ed è la chiave dell’interminabile boom cinese. Ciò per effetto della monoliticità del potere, controllato dal Pcc, il partito Comunista. Ma articolato e flessibile. Occhiuto. Le “purghe” ci sono sempre, anche se non si dichiarano, anche di grandi capitalisti o proprietari, in teoria autonomi. Ma per errori manifesti o contestazioni serie, approfondite: il mercato vuole sentirsi libero.
È una programmazione a lungo termine, strategica. Sull’Africa, sull’Europa. E tattica, adattabile – sui dazi di Trump, sulle reazioni al coronavirus. Avendo fatto un caposaldo  dell’ideologia del mercato, sornione.
Le catene di valore cinesi sono strettamente controllate. Dal costo e orario di lavoro, agli investimenti, agli incentivi fiscali, alla politica monetaria condiscendente. E tenute fuori da occhi indiscreti – concorrenti: c’è inflazione in Cina, oppure no, chi sa?
Una programmazione di successo perché mette in campo risorse pubbliche, senza limiti. Direttamente, attraverso l’Esercito, il più grosso soggetto capitalistico in Cina (e probabilmente nel mondo), la Polizia, e lo stesso Partito, grandi centrali d’investimento. E indirettamente, attraverso la banca centrale e le banche di Shangai, a controllo più o meno pubblico. Una struttura non dichiarata - alla Cina tutto è in questo mercato globale permesso, nel quale cioè tutti i concorrenti ci guadagnano, giapponesi, americani, europei - ma sotto gli occhi di tutti.
Non c’è probabilmente popolo più difficilmente disciplinabile dei cinesi. Ma il partito Comunista Cinese è solido e avvertito: ottiene i risultati che si propone.

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