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sabato 21 marzo 2020

L’Italia senza rete

Da sprinter a lumaca, nei settori trainanti: anche in internet, come per il personal computer, l’Italia è passata da posizioni di avanguardia, con piani industriali adeguati, alla retroguardia.
“Si scarica un film a Taiwan in 8 minuti, in Italia in 39” - “La Lettura”. L’“Economist” ha usato tradizionalmente come termometro dell’inflazione nel mondo il costo comparato dell’hamburger. Cable, sempre da Londra, ha avviato la comparazione delle performances di rete. Da rete fissa, la rapidità di connessione internet (e quindi di moltiplicazione del tempo di lavoro), misura in Mbps, megabit pre secondo, vide in cima Singapore, 200,1. La media mondiale è di 73,6 Mbps. In Italia la velocità è di 59,3 Mbps – in Romania di 144,9.
Trent’anni fa la Sip-Stet aveva avviato, con Pascale e Agnes, un progetto Socrate, Sviluppo Ottico Coassiale Rete Accesso Telecom: il cablaggio dell’intera penisola a fibra ottica. Un piano da 13 mila miliardi di lire, partito infine nel 1995.  Ma presto bloccato. Prima perchè i Comuni volevano poter decidere ognuno per sé, a chi dare l’appalto e come – il business del sottogoverno: Bologna, Venezia, Roma, Torino. Sollecitati da gruppi concorrenti, che ambivano a una parte della rete anche se non spendevano: Cable & Wireless, un consorzio anglo-italiano, la Olivetti di De Benedetti, British Telecom, France Telecom. Poi perché la Sip andava privatizzata.
L’Italia ha abbandonato il campo del personal computer, su cui era in anticipo, quando il personal diventava commerciabile, per i problemi finanziari di Olivetti. Ha abbandonato il cablaggio per la politica vorace, soprattutto locale – che tuttora litiga sulla fibra.

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