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giovedì 19 marzo 2020

La fine della corsa alla Cina

Nel passaggio alla nuova frontiera del digitale, il 5G, l’Europa rischia di essere tagliata fuori dal futuro, ma in questa fase non può fare a meno di Huawei, di Zte, della Cina. I gruppi europei potenziali competitors, Ericsson e Nokia, hanno in Cina i centri di ricerca e i fornitori. Avendo come tutti smarrito il senso comune, di gruppo o nazionale, per via del costo del lavoro, infinitesimale, delle leggi draconiane sul lavoro, e del capitale pubblico-privato a nessun costo, o allora irrisorio, grazie ai consoci locali d’obbligo (“opportuni”) in Cina.
Finché c’è questa disparità normativa non ci sarà concorrenza possibile. Il riallineamento delle condizioni concorrenziali con Pechino può non seguire la via tentata da Trump. E forse non è possibile – bisognerebbe avere la potenza contrattuale degli Stati Uniti. Ma è necessario.
Gli interessi aziendali e di gruppo hanno favorito la Cina, che può operare liberamente nell’ambito della Wto, l’organizzazione del commercio mondiale, benché fuori, o in contrasto, per aspetti fondamentali del ciclo produttivo, dagli standard dell’organizzazione. Ma è indilazionabile.

La delocalizzazione fa boomerang – per tragica ironia si vede ora nelle produzioni paramediche e ospedaliere antivirus che l’Occidente è costretto a importare. Gli stessi gruppi che hanno beneficiato dell’assetto produttivistico cinese ora ne sono minacciati.


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