Cerca nel blog

sabato 4 ottobre 2025

La gita a Roma – aperta per manifestazione

Diario di un normale week-ed a Roma, come sintetizzato da “Roma Today”:
https://www.romatoday.it/attualita/strade-chiuse-roma-4-5-ottobre-2025.html
Sabato 4 e domenica 5 ottobre diversi cortei ed eventi, sportivi e giubilari, modificheranno la viabilità nella Capitale. Ecco una guida utile per muoversi nel primo fine settimana di ottobre. 
Cortei. Sabato 4 ottobre dalle ore 15:00 alle 17:30 da viale Giulio Cesare partirà un corteo per sensibilizzare la cittadinanza e istituzioni sul tema delle persone scomparse. I manifestanti transiteranno per via Marcantonio Colonna e via Cicerone e arriveranno fino a piazza Cavour. Per l’occasione prevista la chiusura a vista al traffico veicolare (compresa pista ciclabile su via Cicerone) e saranno deviate le linee 30, 49, 70, 81, 87, 100, 280, 492 , 913, 990. 
Manifestazione anche a piazzale Ostiense con un corteo che partirà dalle ore 14:30 per sostenere la Flotilla e Gaza. Vietata la circolazione su viale della Piramide Cestia, piazza Albania, viale Aventino, piazza di Porta Capena, via di San Gregorio, via Celio Vibenna, piazza del Colosseo, via Labicana e via Merulana (tragitto del corteo). Entro la mezzanotte tra venerdì e sabato sarà inoltre vietato sostare su piazzale Ostiense, viale della Piramide Cestia tra piazzale Albania e Porta San Paolo, via del Campo Boario da Porta San Paolo a piazza Bottego. Stessi provvedimenti nell‘area di piazza San Giovanni in Laterano, in via Amba Aradam tra piazza di San Giovanni in Laterano e via dei Laterani, nell‘area di parcheggio davanti alla Scala Santa, in piazza di Porta San Giovanni, via Fontana e via Carlo Felice. 
Sport. Sabato dalle ore 06:00 alle 16:00 all’Eur si terrà la World Triathlon Cup di Roma. Per le gare in bici e corsa vietato circolare su viale America, via Cristoforo Colombo, viale Oceania, viale dell’Umanesimo, viale dei Primati Sportivi, via Tiberiade, viale dei Santi Pietro e Paolo, via Tupini e viale America. Saranno deviate le corse delle linee 30, 31, 73, 671, 708, 712, 714, 724, 779, 780, Solito piano mobilità nell’area del Foro Italico invece per Lazio-Torino, partita valida per la sesta giornata di Serie A in programma all’Olimpico nella giornata di sabato 4 ottobre alle ore 15:00. Saranno incrementate le corse dei mezzi pubblici per lo stadio, delle linee 2, 23, 31, 32, 53, 69, 70, 89, 200, 201, 226, 280, 301, 446, 628, 910, 911, 982. 
Raduno in Centro. Dalla mezzanotte sarà istituito il divieto di sosta in tutta l’area di piazza Bocca della Verità per via di un raduno di mezzi storici Fiat 500 che si sposterà dalle ore 08:30 alle 10:30 di domenica. 
Giubileo dei migranti
. Sabato e domenica si celebrerà il Giubileo del Mondo Missionario e dei Migranti. Dalle ore 07:00 sarà vietata la circolazione su via Rusticucci, vicolo del Campanile, via di Porta Angelica e via Scossacavalli. Previsto il transennamento dell’area adiacente a piazza San Pietro per la realizzazione di varchi e la chiusura di piani stradali che interesseranno: via di Porta Angelica/largo del Colonnato, via dei Corridori/largo del Colonnato, via della Conciliazione, altezza via Pfeiffer e via Rusticucci; piazza Pio XII, largo degli Alicorni - da Borgo Santo Spirito a piazza S. Pietro e piazza del S. Uffizio. 
Con chilometri di transennamenti, va spiegato, e lo spiegamento di tutti i vigili urbani – nonché delle forze di polizia – con trattamento di straordinario festivo. Le feste costano caro a Roma.
In compenso si circola facile nelle strade libere. In previsione dei tanti eventi i romani sono fuori per il week-end.

San Francesco era un altro

Tra poco fanno 800 anni della morte di san Francesco. Nel 1926 ricorreva il settimo centenario e un piccolo editore commissionò a un prete, Paolo Ardali, un opuscolo “in linea”, “San Francesco e Mussolini”. Da questo aneddoto Barbero parte alla ricostruzione della figura del santo, che rimane complessa e indistinta. Anche onnivora, comprensiva pure del parallelo col Duce di don Ardali, che Barber ritiene non sacrilego: uno che “giovanissimo, conobbe in Svizzera le fatiche del lavoro manuale, portò sulle spalle mattoni”, come Francesco per la sua chiesetta, e fu “soldato fra soldati, semplice e umile visse in mezzo a loro, come san Francesco di cui racconta Bonaventura” – e “oh, quanto spirito francescano c’è nella vita di Mussolini!”.
Barbero non dice che non c’è – non ce n’è bisogno? Cita l’esergo di don Ardali dai “Fioretti”: “Dixe frate Masseo: Dico, perché a te tutto il mondo viene dietro, e ogni persona pare che disideri di vederti, et d’udirti et d’ubbidirti?” Già, perché? L’accostamento Barbero dice non stravagante, e poi spiega il perché. Perché un po’ troppi tirano il santo per la giacchetta, se ne vogliono emuli, e facilmente seguaci – anche se non si sa di che.
Barbero, noto come divulgatore ma medievista di professione, una lunga collaborazione con Chiara Frugoni, la specialista finora più accreditata del francescanesimo, interviene nel mercato già affollato – e tutto di bestseller – di vite del santo (Busi, Cazzullo, Frugoni riedita, et al.) con un approccio singolare. La rilettura dei primi scritti sul santo e il francescanesimo, quelli che ne hanno creato il mito. La sua “autobiografia”, di Francesco, ovvero gli scritti che gli vengono attribuiti, dato che lui è (quasi) certo che fosse mezzo analfabeta: “I due biglietti di san Francesco che si conservano…..dimostrano…. che il santo era a mala pena alfabetizzato, capace sì di scrivere, ma con una grafia faticosa ed elementare, ed in un latino piuttosto sgrammaticato”.  E poi le varie vite compilate, su prescrizioni e direttive papali o francescane, subito dopo la sua morte.
Quindi, “L’autobiografia di san Francesco”, partendo dal “Testamento”: non molto ribelle, anzi in linea con la chiesa.  “Il Francesco di Tommaso da Celano”, nelle tre versioni che il frate dovette arrangiare sulla base delle committenze. “La leggenda dei Tre Compagni” - o “Francesco nel ricordo dei concittadini”. “Il Francesco del Memoriale”. “Il Francesco della Compilazione di Assisi”. “il Francesco di Santa Chiara”. E “Il Francesco di Bonaventura”. Con l’“Epistula de tribus questionibus” e “Il lupo di Gubbio”.  
Il governo rimette san Francesco tra i santi da vacanza. Anzi l’unico, è bene il patrono d’Italia. Ma ce lo rimette sull’onda green, di un modo di essere, se non proprio francescano, povero, però della poetica dell’animalismo e della pace con i miscredenti, quasi un anti-fondamentalista. Ma Francesco non era “francescano”. Non era nemmeno la copia di Gesù, come si volle rappresentato nelle prime biografie.
Barbero non deve faticare nemmeno tanto per attestarlo. Le testimonianze d’epoca si contraddicono. E per lo più si tacevano i lati non santificabili del carattere: spesso duro, anche contraddittorio, segnato dalle delusioni più che dai miracoli. La confusione era tale che dopo quarant’anni dalla morte, l’Ordine francescano prese “una decisione senza precedenti”: ordinò la distruzione delle vite in circolazione e le sostituì con una, “Legenda maior”, opera del generale dell’Ordine, futuro san Bonaventura. Le copie non furono rintracciate in tutte le biblioteche, e rinvenute o ricostruite mostrano “un Francesco molto diverso”. Non quello degli affreschi di Giotto ad Assisi, il beato che parlava agli uccelli e ammansiva i lupi. Né quello che amabile discuteva con i mussulmani, precursore dell’ecumensimo, dell’irenismo. Era “uomo di gesti dolcissimi” ma anche di asprezze, tanto più violente perché inaspettate.
Una poesia riportata alla prosa, gli ardori o illuminazioni alla fatica. Una piega della storia che è forse necessario spiegare. Un riesame, forse Barbero non lo sa, che la “complessità” – controvertibilità - del Francesco papa ha innescato. La santità è complicata.
Alessandro Barbero, San Francesco, Laterza, pp. 448, ril. € 20

venerdì 3 ottobre 2025

Se le manifestazioni non vanno col voto

In dieci anni il partito Democratico ha dimezzato i voti: ne aveva 11,5 milioni nel 2014, ne ha avuti 5,8 nel 2023. Fatta la tara della minore propensione al voto, è sempre una perdita enorme. Ma la stessa ridotta affluenza alle urne potrebbe essere un problema soprattutto del Pd.
La tornata elettorale regionale potrebbe non spostare i pesi politici: la Calabria e il Veneto, dopo le Marche, alla destra, la Campania e la Puglia alle sinistre. Ma, anche qui, con qualche debolezza, sostenendosi ora il Pd con i 5 Stelle nel “fronte largo”. I 5 Stelle sono tradizionalmente deboli nelle elezioni locali, regionali comprese: chi li vota evidentemente non si scomoda per le locali – sono nati come un movimento di protesta e tale sostanzialmente restano. Ma nelle ultime hanno peggiorato la tendenza.
Ci sono dei travasi all’interno dei due schieramenti. A destra gli 8,6 milioni di voti alla Lega (suo record) alle Europe 2019 sono passati in gran parte nei 6,9 per Fratelli d’Italia cinque anni dopo. Lo stesso si può presumere tra Pd e 5 Stelle. Che però hanno avuto il loro picco alle politiche, nel 2018, non alle Europee l’anno successivo: se è un elettorato rubato al Pd, è composto allora di gente che va a votare, non si astiene.
Il calo del Pd non si spiega con le manifestazioni in corso per la Palestina. Criticate dalle destre e sostenute e organizzate dalle sinistre, Pd in testa - specie in quelle scolastiche, liceali. Che vedono large partecipazioni, in tutte le città.
Ma questo è un fenomeno che andrebbe studiato a parte, le statistiche non aiutano: perché tutte le città sono in fermento, e poi al voto vincono le destre? Si sconti la “maggioranza silenziosa”, che non protesta e poi vota. Si sconti l’ottobre degli studenti, quest’anno come ogni anno dal 1968: un “rito di passaggio”, ogni anno con motivazioni diverse ma di senso unico e preciso, aprire i ragazzi alla politica, alla coscienza pubblica. Ma la due cose non spiegano tutto – e poi c’è la disaffezione.
La stessa pratica degli scioperi “nazionali”, cioè dei raduni, con spreco di “Resistenza”, andrebbe analizzata. Cofferati, il segretario Cigl che ancora più di Landini ambiva a un ruolo politico (fare il rianimatore del Pci fresco di dissoluzione, come ora Landini, più modestamente, del Pd bicefalo, mezzo rosso e mezzo bianco), era grande organizzazione di manifestazioni che allora si chiamavano “oceaniche”. Ma non gli portarono fortuna – giusto fare il sindaco a Bolgogna, che avrebbe votato chiunque purché “rosso”.

Le archi-stronzate

Si rimedia – si prova – al Maxxi di Zaha Hadid a Roma, assurda costruzione, con spreco gigantesco di energia, d’estate e d’inverno, e di spazi, per lo più inutilizzabili, circondandolo di un Grande Maxxi, “edificio sostenibile e multifunzionale, con parco urbano”, invece del cemento e i duri ciottoli. Senza dirlo, “l’Architettura è sacra”: si dice archistar come a dire arcivescovo, arcisanto.
Irrimediabile invece l’altro Grande Monumento dell’era Rutelli – l’età dell’oro degli archistar: l’Ara Pacis di Richard Meier. Un “complesso museale” tanto gigantesco, sproporzionato, invadente quanto inutilizzabile. E doveva essere ancora più enorme, Sgarbi lo bloccò e ne ottenne il ridimensionamento - in origine doveva scendere fino al Tevere, una sorta di Tuscolana d’architetto (ignorando che tra l’Ara Pacis e il fiume scorre il Lungotevere, l’autostrada urbana di Roma). Di uno che all’evidenza non ha mai dato un’occhiata, neppure da turista veloce, all’Ara Pacis, né a piazza Augusto Imperatore e al Lungotevere – mentre pretendeva di avere progettato, vendeva, “una struttura trasparente e integrata con l’ambiente” (forse perché usava il travertino). Una cubatura mostruosa inutilizzabile – salvo per una sorta di pianoterra-seminterrato, dove ogni tanto è possibile esporre pannelli visibili e leggibili. Di mantenimento costosissimo.

La resistibile ascesa di Smotrich e Ben Gvir

 Un’inchiesta giornalistica del “New York Times Magazine”, il settimanale del quotidiano, un anno e mezzo fa, il 26 maggio 2024. Esito di “un lavoro di anni”, di “centinaia d’interviste a militari, politici, giudici e agenti dei servizi israeliani”, con “decine di documenti portati alla luce”. Di cui la conclusione è questa del sottotitolo: “Come un movimento estremista ha conquistato Israele”.
L’inchiesta spiega le origini, la dottrina, le prime iniziative sul campo, e il deflagrare della colonizzazione forzata incontrollata, e quasi sempre spesso sostenuta, dalle autorità. Dalla polizia, dai militari e dai giudici di Israele. E dal presidente Chaim Herzog, padre del presidente attuale. Nei territori palestinesi ancora dopo il 1948, Gaza e Cisgiordania (si tace di Gerusalemme Est). Coagulata nel 1967, dopo la guerra dei Sei Giorni e la conquista israeliana di questi territori – con il Golan, e il Sinai. Con la nascita a ridosso della vittoria di “Gush emunim”, il Blocco dei fedeli, “determinato a colonizzare le terre appena conquistate”. Con una serie di atti di terrorismo, stragi per lo più, anche sacrileghe, impunite o allora blandamente. Fino a diventare la parte condizionate dell’ultimo governo Netanyahu, quello in carica da tre anni: a dicembre del 2022 per loro era fatta. Netanyahu, sotto processo, ha evitato la sicura condanna e dopo un anno e mezzo lontano dal potere ha formato il suo sesto governo poggiandosi sull’estrema destra. Con lo Smotrich sghignazzante che domina oggi i media, titolare formalmente delle Finanze ma “con l’incarco speciale di supervisionare la maggior parte delle attività del governo israeliano in Cisgiordania”. E con Ben Gvir ministro della Sicurezza Nazionale, uno con cui Netanyahu evitava di parlare appena due mesi prima di farsene una sorta di vice, “condannato più volte per avere sostenuto organizzazioni terroristiche”, nonché “autore di minacce di morte” contro il premier socialista Rabin, assassinato poche settimane dopo da un terrorista suo seguace, Yigal Amir (con la complicità forse dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interna: un suo agente infiltrato, finto terrorista, che sapeva tutto delle intenzioni di Amir, fu assolto nel 2000).
Una trattazione senza punte polemiche, ma terribile nella sua ordinarietà. Il sottotitolo è la verità della vicenda: come il male è facile – “banale”. Per una lettura deprimente, come quella dei tanti storici critici, anche israeliani: furberie e violenze prospettano che sembrano estratte dalla pubblicistica antisemita.

Romen Bergman-Marx Mazzetti, L’impunità dei coloni, Internazionale Extra Large, pp. 69 € 8

giovedì 2 ottobre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (608)

Giuseppe Leuzzi


Pasquale Tridico, il padre del reddito di cittadinanza (la falsa pensione del Sud estesa a tutta Italia), svelto tribuno grillino, torna in Calabria da Bruxelles, dove fa il pingue parlamentare Ue, per candidarsi a presidente della Regione, e si dimentica che ha lasciato casa trenta o quarant’anni fa, e non vi risiede. Quindi, non può nemmeno votarsi – nonché mostrare di non sapere nulla della Calabria nei dibattiti, nemmeno la geografia elementare. I grillini, si sa, ragionano diversamente. Ma il Sud è solo sbadataggine per i meridionali emigrati, con qualche successo. 

O Tridico è diverso? Grillino sicuro, riprende pure il comico Albanese, “Cetto la Qualunque, imprenditore e politico calabrese”. Come lui promette settemila “forestali” – “assumerò seimila, settemila, ottomila forestali, uno per ogni albero!” E niente bollo auto. Professore ma ignorante: sbaglia le percentuali, il 3 col 30, e vaga ha la geografia – tre dice le province, come un tempo, e  Bagnaro per Bagnara Calabra (eco di “bagnarote”, le donne di Bagnara, pittoresche e abili ambulanti?). Prima in lista mette la filosofa Di Cesare, che nessuno sa chi sia. E appelli a sostegno fa firmare da amici defunti, come il sociologo Butera – colpa grave in Calabria, non sapere che un amico è morto. A questo punto la questione è personale, la Calabria non c’entra – si vorrebbe, ma dove potrebbe succedere altrove?

L’autostrada Napoli-Pompei, poi Napoli-Pompei-Salerno, ha fatto questa estate i cento anni. La seconda autostrada italiana. Progettata dallo stesso ingegnere, conte e imprenditore stradale lombardo Piero Puricelli, che aveva progettato e realizzato la prima autostrada, la Milano-Laghi. La  quale però nel 1924, un anno prima s’inaugurava – la prima autostrada al mondo concepita solo per i veicoli a motore: km. 42,6 (e meno di un anno dopo, e prima della prima pietra della Napoli-Pompei, era già stata allungata di 24 km., fino a Como). La Napoli-Pompei, 25 km, sarà inaugurata nel 1936, dopo oltre dieci anni. Puricelli era stato incaricato di progettarla ma non di realizzarla. 


Calabria e Toscana, sanità e inquinamento – 2
Si può continuare con i servizi (pubblici) forniti male in Toscana e bene, o non altrettanto male, in Calabria, fra le sorprese estive.  A nessun esito. L’argomento, poi, non è granché d’interesse – non c’è contesa fra le due Regioni. Ma serve a dire quanto la “narrazione” di una realtà, la percezione che ne ha e se ne dà di essa, conti, e anche molto – i calabresi sono più che convinti di essere curati male e malissimo.
Un richiamo però merita: che non c’è wi-fi sulle spiagge di metà Versilia, quelle di Massa e Carrara e in parte del Forte dei Marmi, e anche i cellulari sul più bello “non hanno campo”,
 o sulla costa apuana, superba muraglia fronte mare, mentre c’è, wi-fi e campo, nello sperduto paese dentro l’Aspromonte. E alla Tonnara di Palmi, gli oltre 2 km. di spiaggia tra Gioia Tauro e Palmi – Ciambra, Scinà, Pietrenere, Ulivo. Dove si fa pure il bagno in mare con piacere, l’acqua è trasparente, anche se non si avvale di bandiere blu o verdi, mentre è impossibile farlo sulle spiagge dell’Alta Versilia, quotidianamente afflitte da varie sostanze, visibili, benché onuste di bandiere blu e verdi – se non al largo (disponendo cioè di una “barca”).

Due località, viene da pensare, stranamente unite, da Leonida Répaci, l’intrepido scrittore e animatore culturale, che da Palmi se ne andò in Versilia, e la ne propiziò il “lancio” con la cultura, il famoso premio Viareggio. Il destino, alle volte….
Un codicillo si può appendere in materia di mari e spiagge: che quelle dell’Alta Versilia sono da alcuni decenni erose per grandi profondità. Da ricostituire periodicamente con mostruosi “ripascimenti”, di sabbia di fiume – scavata chissà dove: le cave di fiume sono la fonte maggiore d’inquinamento delle acque si mare, dove i fiumi inevitabilmente finiscono. Senza che mai una soluzione sia stata decisa affrontando la causa dell’erosione. Che tutti sanno essere il porto di Carrara, a monte. Da quando le banchine sono state raddoppiate, trenta o quarant’anni fa, da 700 a 1.850 metri e hanno deviato le correnti marine. Banchine per lo più inutilizzate. Per un traffico tra 1,4 e 3,4 milioni milioni di tonnellate. Come Fiumicino – che non si direbbe un porto quanto uno scalo aeroportuale. Utilizzato per lo più da qualche anno per le navi da crociera – per la visita al Golfo dei Poeti, alle Cinque Terre e alle cave di marmo. E si scava per per un’altra banchina esterna, per un maggiore pescaggio, per qualche nave da crociera più pesante, per fare concorrenza a Genova e La Spezia.
Un business in sé, la “costruzione”. A effetto economico irrisorio. Con danni invece (in)calcolabili. A Reggio Calabria si sarebbe detto un affare di mafie. Un’economia della spesa pubblica, a beneficio dei pochi, come nel peggiore Sud.  
Il porto di Reggio Calabria, anch’esso nato “naturale”, si allunga con banchine artificiali per mezzo km. o poco più, e gestisce in compenso un traffico, con Messina, le Eolie e Malta, di 13-14 milioni di passeggeri, l’anno. Senza danno per nessuno.
Però, le cose vanno così: in Toscana comunque bene, in Calabria comunque male. L’erosione, viene da pensare, è solo un’occasione di ricco business col ripascimento - come la costruzione dei moli del porto di Carrara. E senza il sospetto di mafia.
Le due entità hanno storie differenti, e il divario accumulato ancora immenso. La buona amministrazione secolare e la potenza politica ed economica che hanno fatto la storia della Toscana dal Duecento in qua, si confronta con un millennio di abbandono, politico, economico, anche militare (chiunque poteva sbarcarvi e depredare), della Calabria, forse la regione meno accudita (governata) d’Italia o più negletta, sia pure per colpe sue, sconfitti i bizantini. Perfino il secolo e più di governo normanno insediato in Calabria non ha lasciato traccia: la capitale i conti-duchi avevano eletto a Mileto, all’interno del monte Poro, per evitare le incursioni barbaresche, ma le giornate passavano sul Monte a guatare la Sicilia, di cui gli arabi avevano fatto un giardino e arricchito di marmi e cesellature. A volte si è pure sfortunati.
 
Una piazza tra i boschi nell’Aspromonte
Salendo faticosamente a dorso di mulo da Sant’Eufemia d’Aspromonte al Montalto (un dislivello di 1.500 m., che pretende di avere fatto all’andata e al ritorno nello stesso giorno), il nobile scrittore austriaco, viaggiatore nel 1908 in Calabria, Friedrich Wernet van Oestéren sbuca con sua sorpresa uscendo dai boschi in una radura o pratone spoglio “denominato «piazza di Martino»”. Una piazza nel bosco. in mezzo alla montagna. E ne racconta la storia, come il mulattiere gliela racconta: “Martino era un capobrigante
molto onorevole che aveva fissato in questo spiazzo il suo accampamento. Da qui era uso intraprendere con i suoi uomini le spedizioni d’affari. Fino a quando, in un momento di debolezza, non fu sorpreso da due gendarmi cattivi che lo catturarono e addirittura lo finirono sul posto a colpi di pistola”.
I due gendarmi cattivi non sembrano fuori posto, erano attivi, fattivi e cattivi, in due e anche d soli, ancora qualche decennio dopo guerra, dopo la Repubblica. Ma una “piazza” tra i boschi? In onore di un brigante?
La curiosità ricorre pure in Carlo Levi, “Prima e dopo le parole”, p. 30. Ma la “piazza Nino Martino” era probabilmente nata con l’abate Vincenzo Padula, che in “Persone di Calabria” ne fa addirittura un santo: “Il morto Nino era divenuto un santo; e così s’era alzato, e inginocchiatosi dietro la botte vi versava sempre del vino, mercé un sarmento che teneva in bocca. La Giustizia, vedendo la madre a vendere sempre vino, e non comprare mai mosto, andò a frugarle in casa, e trovato Nino e visto il miracolo, lo fe’ santificare - noi contadini lo chiamiamo il santo dell’abbondanza, ed entrando in casa altrui, o nell’aia, o nel trappeto sogliamo dire: «Santu Martinu!»”.
Teodoro Scamardi, che ha recuperato van Oestéren e lo ha tradotto per Rubbettino (“Povera Calabria”, p. 183), sintetizza così le sparse “notizie” sul Martino di Piazza Nino Martino: “Nino Martino, detto Cacciadiavoli, era un brigante calabrese del Cinquecento. Sarebbe vissuto sull’Aspromonte (per alcuni in Sila). Brigante pecoraio, catturato e condannato a morte, era stato salvato dalla forca da un suo compegno che si era travestito da monaco per confessarlo prima dell’esecuzione. Una volta libero, stanco della vita di brigante vorrebbe redimersi e va a cercare la benedizione della madre, ma i suoi compagni, avendolo veduto sull’uscio e non riconoscendolo, lo prendono per una spia e lo uccidono”.
La “piazza” nasce, insieme con la statua del Redentore, per il Giubileo del 1900. Per una sorta di cristianizzazione, annessione alla fede, perdurante il “non possumus” dei cattolici nella vita pubblica dell’Italia unita, della Montagna. Promossa dal barone Stranges di San Luca, proprietario terriero di metà Aspromonte, compreso il versante tirrenico (fino agli uliveti di Castellace-Stranges in agro di Oppido Mamertina) - il contributo del barone poi si limitò alla “concessione” del terreno. di nessun valore, sul Montalto per il monumento del Redentore, il costo della enorme pesantissima statua fu sostenuto dai fedeli. La leggenda del brigante santo, raccolta da Padula, rafforzò il progetto. E la Montagna si trova nel mezzo una piazza, intitolata a un brigante, vero - non un Robin Hood.
 
Cronache della differenza: Milano
Respirano le cronache e i giornali milanesi per il Riesame che nobilita i costruttori di grattacieli al posto delle villette chiamandoli ristrutturazioni: non c’è corruzione (nominare un architetto all’Urbanistica, e poi, ma anche prima, dargli progettazioni e consulenze non lo è secondo le giudici, milanesi, del Riesame). Sono felici, si presume, i loro lettori di non essere corrotti, anche se lo sono.
Sembra stupidità e invece è grande saggezza - è forse anzi il segreto di “Milano”: mai darsi la zappa sui piedi.
 
Tre romanzieri giovani, di varia provenienza, hanno ambientato il loro (ultimo) romanzo a Milano. “La Lettura” chiede loro perché. Pietro Santetti: “Ci ho abitato per un breve periodo e ci torno volentieri. Non credo che ci verrei se non avessi un motivo legato al lavoro, ma ho l’agente a Milano”. Alice Valeria Oliveri: “Io non ci tornerei mai a vivere; ma vengo a Milano quasi ogni settimana per lavoro”. Fabrizio Sinisi: “Io sono in città da dieci anni, e si fa fatica. Finché ci riesco a  stare, ci sto”.
 
Dagli hooligans anni 1960, Milano a lungo si è pensata Londra, ai casseurs o maranza di ogni manifestazione, Milano si vuole padrona e insieme ribelle. Uno strabismo strano, anche se coltivato – Milano sempre si assolve nella violenza.
 
Molto milanese – self-assured, perentorio – il linguaggio delle giudici del Riesame sulla Nuova Urbanistica, Paola Pendino, Francesca Ghezzi e Vincenza Papagno, e Pendico-Ghezzi-Gianluca Tenchio. Sbrigativo e sferzante sia nell’assoluzione sia nella condanna – quelli “non bene” li hanno condannati. Un tempo si sarebbe detto “femminile”, ma non si può – e comunque nel secondo trio c’è perfino un uomo, un maschio, Tenchio. No, è molto “buona borghesia”: architetti e immobiliaristi al di sopra di ogni sospetto, politici ladri. Veloce e lapidario.
  
Hakan Çalanoğlu dopo Pirlo, il Milan ha sempre regalato il playmaker alle avversarie più titolate, Inter e Juventus. Senza nemmeno guadagnarci nella contabilità – Pirlo fu ceduto gratis, come uno senza futuro (poi vinse cinque campionati). Da gente di calcio, Galliani e Berlusconi. Le qualità di Milano  sono evidentemente segrete - o fortuite.
 
Nico Acampora, un napoletano a Milano, sempre la stessa storia: insegna ai milanesi cosa e come mangiare, bene, con gusto. Ora però si supera: a far mangiare bene i milanesi mette in cucina i ragazzi autistici. Un’invenzione non da poco.
 
Facendo rivivere Cuccia, ora che Mediobanca è stata vinta dai romani, Michele Masneri sul “Foglio” trova la città cambiata, urbanisticamente: “Nella Milano del loft angusto, delle inchieste urbanistiche e del lamento della gentrification… la vecchia Comit, la Banca Commerciale Italiana, è diventata un museo e un ristorante. Sul tetto della Scala c’è la nave spaziale disegnata da Mario Botta….”
 
Mutato anche il senso del denaro: “Cuccia dopo 50 anni lasciò ai figli un’eredità di un milione di euro; il suo successore Vincenzo Maranghi non volle il tfr. Oggi per Nagel (successore di Maranghi, n.d.r.) si parla invece di 100 milioni”. Cuccia è morto solo venticinque anni fa. Nagel è quello che non ha saputo difendere Mediobanca – gliel’hanno sottratta in due mosse.  

leuzzi@antiit.eu

Quando gli attori dovevano recitare

Una proposta rétro – la “solita commedia all’americana” - che induce a una considerazione sorprendente: il lieto fine che usava un tempo, il film è del 1958, costringeva attori e registi a dare il meglio di sé. Sapendo dall’inizio che tutti sarebbero infine vissuti felici e contenti, il racconto doveva coinvolgere lo spettatore con altri mezzi che non la suspense. Regista e attori dovevano saper prendere lo spettatore con l’abilità scenica - è il “problema” dei drammi e le commedie classiche, le pièces viste e riviste, di cui cioè si sa tutto.
La storia è semplice: due vedovi, giovani e belli benché con figli grandi, lei (Sofia Loren) di un malavitoso e lui (Anthony Quinn) di una pazza, devono innamorarsi e sposarsi. Più scontato di così. Ma riescono, per un’ora e mezza, a incuriosire.
Il ruolo della Loren era stato abbozzato per Anna Magnani. Poi evidentemente adattato, senza le punte traumatiche. Ma Loren vinse la coppa Volpi a Venezia quale migliore attrice. A 23 anni, quando il film fu girato. Non era più la maggiorata vistosa, e sa fare tre ruoli: dapprima la ragazzina sposata per procura che arriva dall’Italia ed è innamorata del marito, poi la vedova sola e inavvicinabile, poi la risoluta risolutrice di tutte le traversie che si oppongono al sogno.
Martin Ritt, Orchidea nera, Tv2000, Play2000

mercoledì 1 ottobre 2025

Problemi di base letterari - 883

spock


“Piangi, se vuoi che io pianga”, Orazio?
 
“L’affetto quando passa non torna”, Goliarda Sapienza?
 
“Si impara più dai nemici, e dalle cose brutte del passato”, id.?
 
“Bisogna amarsi molto per suicidarsi”, A. Camus?
 
“Meglio rimorsi che rimpianti”, Chiara Valerio?
 
“Non si è vissuti impunemente in un luogo”, Carlo Cassola?


sock@antiit.eu

Napoli esterno notte

Luce livida, tra note e preluce, sotto le nuvole e i fumi dei Campi Flegrei, nelle esumazioni pompeiane, nei magazzini polverosi dei musei, nei cunicoli dei tombaroli, in esterni grigi piatti, come se minacciasse pioggia, il Golfo, il mare piatto, facciate di palazzoni, silos immensi. E anche nelle scene animate: archeologi giapponesi che scavano da 22 anni sicuri di trovare una nuova Pompei (villa Augustea?), navi siriane con equipaggi siriani che scaricano il grano da Odessa, e il 115 e il 112 che rispondono pazienti alle impazienze dei chiamanti, specie donne impaurite, dai rumori, dal marito, fedeli penitenti che strisciano per terra. Un mondo quasi sotterraneo – il richiamo è dostoevskiano, a “Memorie del sottosuolo”. Come una panoramica insistita, di spezzoni di vita, a volo d’uccello muto sulla giornata grigia dei tanti senza nome, che dicono e fanno le cose che devono dire e fare. Nei gesti comuni, senza una dignità particolare. Una sorta di violenza non violenta, calamitosa.
Un’altra temporalità, vuole Rosi, il racconto di quello che siamo quando “non siamo”, non siamo personaggi, in una storia – “la terra intorno al Golfo è un’immensa macchina del tempo”. Fotografata e registrata quasi da solo per alcuni anni – una Napoli livida. Come una tranche de vie. Ma tutta sul grigio, piatto, anche lamentoso.  
Gianfranco Rosi, Sotto le nuvole

martedì 30 settembre 2025

L’Europa di Merkel e Sarkozy

Si fa scandalo dell’ex presidente francese condannato per avere preteso e incassato fondi libici, della Libia di Gheddafi, per la sua campagna elettorale 2007, si fa scandalo perché dovrebbe andare  in prigione, un ex presidente!, e non del fatto che ha preteso e utilizzato quei soldi. Né, soprattutto, che quattro anni dopo ha voluto una guerra per eliminare il possibile accusatore, Gheddafi. E per ostilità all’Italia, per aprire un fronte d’instabiità e violenze alla sua frontiera Sud. Imponendosi a un recalcitrante Obama, tale era la sua violenza. Con la scusa di portare la democrazia in Libia, nel mentre che liberava, sghignazzando, le faide tribali.
Non si fa scandalo perché si sa i che servizi francesi, dagli anni 1960, dall’Algeria, hanno usato la loro pervasiva influenza in Africa soprattutto contro l’Italia – quando  si chiamavano Sdece, ed erano diretti dal famoso Foccart? Ma bisognerebbe ricordarlo.
Lo stesso Sarkozy che con Angela Merkel sprofondava contemporaneamente l’Italia nella crisi del debito. Singolare coppia, per l’informazione italiana: anche A. Merkel, discussa in patria come lo è e lo era Sarkozy, ha goduto e gode in Italia di entusiasmo unanime, se ne sono fatte perfino agiografie, come una sorta di Bismarck donna. Mentre fu quella del “troppo poco troppo tardi”, una opportunista. Ferocemente anche lei, malgrado le terme di Ischia, antitaliana, come ha infine rivelato Mario Monti sul “Corriere della sera” domenica.
E questa è, è stata in questo Duemila per un lungo decennio, l’Europa.

Affondare con le pensioni – il golpe di Scalfaro

Affonda la Francia (soprattutto) sulle pensioni, ha rischiato di affondare l’Italia nel 2011, sempre sulle pensioni. Salvandosi con la famosa riforma Fornero che Mario Monti rivendica – ancora domenica sul “Corriere della sera” - a fronte della crisi di Macron: “La riforma delle pensioni introdotta in Italia nel 2011, insieme ad altre misure incisive, ha permesso al nostro Paese di non andare a fondo….”. Con la coda velenosa: “Malgrado l’istigazione all’odio (o addirittura a delinquere) che Matteo Salvini ha profuso…”.
Vero. Vero anche che le pensioni andavano cambiate. Ma la riforma avrebbe liberato l’Italia e non l’avrebbe probabilmente sprofondata nella stagnazione, come avviene dal 2011, se fosse stata adottata vent’anni prima. Il famoso “scalone” del primo governo Berlusconi, proponente Tremonti al Tesoro, con Mastella al Lavoro. Si opposero i sindacati, naturalmente, ma soprattutto Scalfaro, il presidente della Repubblica. Che ne approfittò per far cadere il governo dell’odiato Berlusconi – da lui inatteso, al voto tutti si aspettavano la vittoria dell’ex Pci: parlava con i sindacati, invitati al Quirinale, e mai con il governo. Finché non ci pensò il “celodurista” Bossi, in canottiera, sporchiccia, il lombardista populista, che rovesciò il governo - quello che lo aveva “sdoganato”, insieme agli ex neofascisti di Fini.
La storia a volte è semplice, ma si dimentica. La riforma era sostenuta da economisti eminenti, e di sinistra, come Paolo Sylos Labini, e Fiorella Kostoris, nonché dal futuro ministro del Tesoro Padoa Schioppa - e infine rimpianta da Prodi.    

Quando Merkel faceva guerra all’Italia

Approfitta di trarre “Due lezioni dalla crisi francese” Mario Monti, sul “Corriere della sera” domenica, per rivelare infine, secco e preciso, in coda alle elaborate spiegazioni economicistiche, quello che (si sapeva ma) non si voleva sapere: che la Germania ha fatto di tutto per far fallire l’Italia nel 2011.
Monti parte dall’ultima fase della crisi, dal suo governo di emergenza anti-crisi, nel 2012: “Nel 2012 l’Italia, anche grazie all’unità nazionale, agì rapidamente sulla riduzione del disavanzo e su alcune riforme strutturali. Ma per diversi mesi non poté coglierne i frutti in forma di minori tassi di interesse perché la Germania manteneva una morsa stretta sulla Bce, malgrado la sua indipendenza di diritto.
“Un fattore importante che alla fine indusse la cancelliera Merkel a cedere alle pressioni dell’Italia e di altri Paesi affinché «liberasse» la Bce — e non venisse additata come responsabile di un’eventuale implosione dell’euro — fu il fatto che il neo-presidente francese Hollande, avendo colto l’interesse comune dei nostri due Paesi, nel giugno 2012 si schierò con l’Italia. Fu una dura sorpresa per la Merkel, questa improvvisa rottura dell’asse franco-tedesco che, con lei e il presidente Sarkozy, aveva purtroppo una parte di responsabilità nella cattiva gestione della crisi finanziaria di quegli anni. Italia e Francia, agendo insieme, tolsero il tappo tedesco che frenava la Bce. E la crisi venne superata”.
Monti fa i conti probabilmente con Draghi, che la Bce presiedeva dal maggio 2011. Già coautore, insieme col predecessore Trichet, della famigerata lettera segreta (ma divulgata) al governo italiano che avviò la speculazione contro il debito italiano – e poi
 contro l’euro (fu a questo punto che Draghi intervenne col famoso “whatever it takes”: ne ebbe licenza da Berlino?). Draghi lo ha sostituito nell’opinione quale grande risanatore della finanza pubblica, nonché primo europeista a Bruxelles. Ma questo non interessa: quale che sia il motivo della tardiva rivelazione, attesta la “morsa stretta sulla Bce” della Germania di Merkel, e di un’alleanza Merkel-Sarkozy sul “tappo tedesco che frenava la Bce”. Di cui però si sapeva tutto, ma non si diceva.

Questo sito ne ha rilevato all’epoca, nel 2011, più segnali, della Deutsche Bank che speculava apertamente contro il debito italiano, e della Bundesbank governata da un giovanotto della segreteria Merkel, Jens Weidmann, glorificato grande economista da corrispondenti e commentatori italiani   – “i no della Merkel e della Germania mettono in ginocchio l’Italia e l’Europa”. Nel 2014 ne abbiano ampiamente trattato anche nel volume “Gentile Germania”.

Hitler indigesto anche a tavola

Sul bestseller di Rosella Postorino, che romanzava la vicenda raccontata a 95 anni da una delle “assaggiatrici” dei cibi di Hitler, Margot Wolk, Soldini ha tratto un film storico, un film d’epoca. Grigia, come si vuole del nazismo. Con attori volutamente non di nome. In ambienti volutamente spogli, benché fossero la “corte” di Hitler. Facendone una vicenda di donne semplici, di campagna – solo la protagonista è “una berlinese”, finita per caso nella remota Prussia orientale. Tutto in grigio. Anche i cibi, che le donne debbono assaggiare per pranzo e per cena, quindi con molte ricette, rimangono anonimi, anzi un po’ repellenti. E con i “tedeschi” d’ordinanza, che quando sono in divisa sono violenti – anche soltanto per dire “buongiorno!”.
Notevole il parquet degli sceneggiatori, Cristina Comencini, Giulia Calenda Comencini, e l’ex del “Foglio” Ilaria Macchia. Ma, si vede, la Germania di Hitler dev’essere grigia e rassegnata, anche se era invece entusiasta – perfino con i russi alle porte.
Silvio Soldini, Le assaggiatrici, Sky Cinema

lunedì 29 settembre 2025

Il mondo com'è (488)

astolfo


Blitzkrieg – La guerra lampo, che si suppone teorizzata dallo Stato maggiore tedesco di Hitler – la parola è apparsa per la prima volta nella rivista dell’esercito tedesco, “Deutsche Wehr“, difesa tedesca, nel 1935 - ha trovato applicazione solo nel 1939-1940, quando le difese della Polonia e della Francia, compresi Belgio e Olanda, si trovarono impreparate di fronte all’armamento corazzato mobile tedesco, carri armati e artiglieria montata (semovente). Più che una teorizzazione, quella di “Deutsche Wehr“ era un adattamento della guerra ai nuovi mezzi mobili corazzati, rispetto alla guerra di uomini e difese fisse (trincee, muri, cavalli di frisia).
Un solo altro caso si registra, nella guerra dei Sei Giorni, di Israele
nel 1967 contro Egitto, Giordania e Siria. Ma in quel caso si trattò di una guerra sostanzialmente aerea – l’aviazione israeliana distrusse quella egiziana a terra nelle prime ore di guerra, e l’esito fu quasi subito condizionato - l’occupazione israeliana di metà Giordania, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, e del Sinai fino al canale di Suez, fu una “passeggiata“.  

Il Blitzkrieg del 1967, dal 5 al 10 giugno, viene di solito attribuito al generale Moshe Dayan. Ma il capo di Stato maggiore israeliano era Yitzhak Rabin – che poi sarà primo ministro socialista, e morirà assassinato per motivi politici. Dayan l’aveva anticipato nel 1956, nell’impresa poi fallita della liberazione lampo, cioè dell’occupazione, del canale di Suez, in reazione alla nazionalizzazione del canale da parte del governo egiziano di Nasser. Fu il primo atto della lunga guerra di Israele contro l’Egitto, terminata col trattato di pace Sadat-Begin del 26 marzo 1979. L’occupazione lampo del canale di Suez fu organizzata e realizzata da Dayan in accordo con la Gran Bretagna e la Francia, allora potenze coloniali, cui facevano capo gli interessi proprietari del Canale nazionalizzato da Nasser. Ma la “liberazione” durò pochi giorni: il presidente americano Eisenhower fermamente si oppose all’occupazione franco-britannico-israeliana.
Il 26 luglio Nasser nazionalizzò il Canale. Il 29 ottobre, dopo mesi di intensi schieramenti franco-britannici nell’area, a Cipro e Malta, con piani d’azione allargati a tutto l’Egitto, non soltanto al Canale, Dayan occupò Gaza (allora egiziana) e il Sinai. Due giorni più tardi Inghilterra e Francia cominciarono bombardamenti pesanti sull’Egitto. Nasser rispose affondando tutte le navi (quaranta) che si trovavano nel Canale di Suez. Dayan giunse in poche ore sul Canale. Ma lì si dovette fermare, per poi smobilitare – il Sinai resterà però dominio di Israele, fino alla guerra del Kippur, 1973-74 (i giacimenti di idrocarburi che l’Eni aveva scoperto e messo in produzione, in consocietà con l’azienda petrolifera di Stato egiziana, furono nazionalizzati da Israele per la quota egiziana, la quota dell’Eni veniva invece pagata su conti riservati, in base ad accordi Israele-Italia anch’essi riservati).
Un po’ come la Polonia contro Hitler, Nasser vagheggiava l’isolamento e la sconfitta di Israele. Con la creazione di una Repubblica Araba Unita, tra Egitto, Siria e Giordania. La guerra dei Sei giorni fu un disastro, per l’Egitto (Gaza e Sinai), per la Giordania (Cisgiordania) e per la Siria (Golan).

 
 
Camp David – La residenza estiva dei presidenti americani è il punto di riferimento di tutte le trattative, e qualche trattato di pace, tra Israele e i vicini arabi. Ma una sola trattativa è stata portata a conclusione, quella tra Israele e l’Egitto, patrocinata dal presidente Carter nel 1978. Il 17 settembre 1978, dopo una sessione di negoziati bilaterali lunga dodici giorni, furono firmati, dal presidente egiziano Sadat e dal primo ministro israeliano Begin, con la mediazione di Carter, due accordi, un “Accordo-quadro di Pace in Medio Oriente” e un “Accordo-quadro per la conclusione di un Trattato di pace tra Egitto e Israele”. Questo fu portato a effetto, il trattato sarà sottoscritto, sempre tra Sadat e Begin, il 26 marzo 1979 in forma solenne a Washington. Della pace in Medio Oriente non si parlò più. Fino al 2000, quando il presidente americano Clinton provò a rianimare la questione.
Sempre in estate, Clinton convocò a Camp David il primo ministro israeliano Ehud Barak e il fondatore-presidente dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) Yasser Arafat. Si discusse per quattordici giorni, tra l’11 e il 24 luglio, e si concluse con una dichiarazione che poi rimase lettera morta. Israele accettava di negoziare un assetto sulla base delle risoluzioni dell’Onu, compresa quella del 1967 sulla Cisgiordania – sulla “restituzione” della Cisgiordania occupata da Israele. Ma le riserve erano molte – e Arafat era in declino di rappresentatività (subito dopo il vertice, nell’autunno, scoppiò la “secondo rivolta palestinese”). L’accordo era di fatto un documento preparato da Barak a gennaio e fatto proprio dagli Stati Uniti. Il documento contemplava un richiamo esplicito al “diritto al ritorno dei palestinesi”, ma per confutarlo e rigettarlo. Largheggiava invece sul numero dei rifugiati che sarebbero potuti ritornare nelle aree controllate dall’Olp-Autorità palestinese. In un piccolo Stato palestinese, con capitale Abu Dis, un villaggio. Senza smantellamento degli insediamenti coloniali israeliani.
L’accordo di Camp David veniva peraltro dopo il fallimento dei ben più impegnativi, formalmente, accordi di Oslo, sottoscritti tra Israele e Arafat sette anni prima, il 13 settembre 1993. Presentati come una sorta di trattato di pace, e invece mai applicati. Per Israele li aveva sottoscritti il primo ministro socialista, ex generale, Rabin, che a novembre de 1995 fu assassinato. Dopo qualche mese il governo era assunto da Netanyahu.  
 
Harijan - Termine un tempo popolare, utilizzato da Gandhi a partire dal 1933 per un suo giornale settimanale e per una comunità (ancora attiva), Harijan Sevak Sangh, per riferirsi agli “intoccabili”, di cui perseguiva la liberazione o riabilitazione. Oggi, in questa accezione, un termine desueto, considerato anzi spregiativo – si preferisce il termine “dalit”, oppressi. Di origine sanscrita, significa “figli di Dio”.  
 
Novecento, 1919-1989, la dissoluzione degli imperi europei – La dissoluzione dell’Europa viene con la dissoluzione dei suoi imperi? Se la si fa partire correttamente, cioè dalla Gande Guerra e dai trattati che la conclusero (Versailles, Saint Germain en Laye, Trianon, Sèvres – poi Losanna), sì. Una storia che non si fa, e che invece sarebbe utile perché si prolunga in questo millennio, è che il secolo parte da Versailles, dai trattati di pace che chiusero la prima guerra mondiale sancendo la dissoluzione di due imperi sui quali si erano conformati l’Europa e il Mediterraneo: l’impero austro-ungarico e l’impero ottomano. All’insegna del nazionalismo (irredentismo) e della democrazia (libera scelta). Che invece hanno scatenato rivendicazioni e guerre nazionaliste (irredentiste, tribali) senza fine, e un numero elevato di fascismi – una ventina solo in Europa negli anni 1930, ovunque allora e poi nel Sud Mediterraneo, tra Nord Africa e Medio Oriente.
I trattati hanno avviato un secolo di continue e forti instabilità, politiche e nazionalistiche. Che perdurano, e anzi prospettano un secondo secolo di instabilità. Un secolo fa tra le potenze sconfitte, Germania, Austria-Ungheria, Turchia, e tra quelle vincitrici, l’Italia, la stessa Francia. Oggi con la forte instabilità, e le molte guerre, nell’Europa orientale o slava. Tra gli slavi del Sud, la ex Jugoslavia, e nel dissolto impero russo-sovietico dopo il 1989. Di tutti contro la Russia e, oggi più o meno sopite, di tutti contro tutti. La Romania contro l’Ungheria, contro la Moldavia, contro la Russia (la Romania è nazione latina, ma immersa nel mondo slavo, di cui condivide le lacerazioni). Gli Stati Baltici, l’Ucraina, la Georgia, la Finlandia, la Romania contro i russi – e viceversa. La Polonia contro l’Ucraina. La Lituania contro la Polonia. Tutti contro la Serbia - e non solo per il Kossovo.
L’ex impero russo è serbatoio di guerre infinte. Nell’ultima sua incarnazione, quella sovietica, del “socialismo in un solo Stato”, era un impero che andava fino a non molti anni fa dal Reno all’Alaska.
 
Vittoria Tesi – Detta la Fiorentina o la Moretta, fu il migliore e più famoso contralto del primo Settecento, sulle scene di mezza Europa. Nata sicuramente il 13 febbraio 1701 a Firenze, morta non si sa dove né quando. La Moretta perché il padre era africano o di origini africane, stando a un memorialista dell’epoca, Niccolò Susier, che suonava la tiorba e tenne un diario. Nei registri parrocchiali il padre è identificato come Alessandro Rapacciuoli. Secondo Susier era un lacchè di origini africane che frequentava la corte medicea. Giacché al servizio di Francesco De Castris, un sopranista anche lui celebre, favorito del principe Ferdinando Maria dei Medici, musicologo – principe ereditario, ma premorto al padre Cosimo III (il regnante più longevo di casa Medici). De Castris comunque risulta padrino di battesimo di Vittoria – madrina la soprano Vittoria Tarquini, circostanza che dà credibilità alla notazione di Susier.
Notevoli comunque, benché indiretti, e concordanti i riferimenti dei contemporanei ai segni fisionomici della cantante. Quando Vittoria era divenuta famosa, una nuova contralto che avrebbe fatto successo, Anna Bagnolesi Pinacci, veniva chiamata “la Tesi bianca”. Un giurista melomane olandese, grande viaggiatore per l’Europa, Jan Alenson, scrisse che, preparandosi a un recital a Milano per il Carnevale del 1724, Vittoria “si sbiancava con cipria la bruna pelle”. E Metastasio esaltava la “nostra impareggiabile africana Tesi” scrivendo al sopranista famoso Carlo Broschi, “il Farinelli”. Altre tracce le attribuiscono corteggiamenti serrati da mezza nobiltà europea, tra essi l’elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto II il Forte, e un Enea Silvio Piccolomini, senese e cardinale come l’omonimo papa di famiglia Pio II, ma del Settecento.


astolfo@antiit.eu

Donne, biciclette, e la libertà di viaggiare a fine Ottocento

In spazi temporaneamente svuotati – essenzialmente la sala Barberini – attorno a un vecchio periodico francese tardo-ottocentesco, “En Route”, e al lascito del console Cesare Poma, un allestimento di tre “eclettici creativi”, ognuno col suo stile e i suoi linguaggi. Il progetto di viaggio intorno al mondo in bicicletta, e i molteplici interessi e le ricche collezioni del console, ovvero la scoperta dell’Oriente. Attorno alla storia di sei donne che in età vittoriana sfidarono le convenzioni viaggiando sole – seppure con molti bauli (tra esse Gertrude Bell) e non in bicicletta. Esperienze e storie unificate in una installazione site-specific di Chiuri, direttrice creativa da dieci anni di Dior, realizzata in India dalla Chanakya School of Craft di Karisha Vali. Rappresentate da pannelli a sbalzo coloratissimi, “infantili” (fantasiosi), della designer illustratrice islandese Williams.
In Vaticano la mostra di quanto di più contemporaneo si può vedere oggi a Roma. Essenzialmente un allestimento, delle due designer con l’eclettico Jovanotti.
In premio, una visione di “restanza” invece che di nomadismo: la possibilità di allargare la visita, in solitario, mirabile dictu avendo dovuto fendere folle di turisti per accedere al Vaticano, il mirabolante salone Sistino di Domenico Fontana all’ultimo piano, fine Cinquecento, con veduta sul Cortile del Belvedere: una sala di lettura grande come uno stadio, affrescata da innumerevoli storie.
Lorenzo “Jovanotti” Cherubini-Maria Grazia Chiuri-Kristjana S.Williams, En route, Biblioteca Vaticana, Roma

domenica 28 settembre 2025

Ombre - 793

“Il debito Usa non fa paura ai mercati. L’indice Move, che misura la volatilità attesa sui titoli di  Stato Usa, è scivolato sui minimi degli ultimi quattro anni” – oh meraviglia, del “Sole 24 Ore”.
Dollaro ai minimi, fiducia ai massimi, come è possibile che nessuno (in Italia) sappia leggere la finta follia di Trump? È la pregiudiziale Pd, Trump canaglia? E se anche lo fosse, come non vedere che c’è metodo nella follia?


Come ogni anno da troppi anni Italia ultima per crescita economica, fra paesi euro e Ocse, sempre  al di sotto dell’1 per cento. Benché il costo del lavoro sia basso, forse il più basso. Di fatto è stagnazione e non crescita, ormai da un decennio abbondante – l’occupazione cresce per il turismo, a basso valore aggiunto. L’Italia soffre la quasi chiusura della Fiat, che colpisce anche il vasto settore automotive – e la solita, imbattibile, insolenza giudiziaria, nell’acciaio e affini.

Claudio Pagliara, oggi pensionato ex Inpgi, direttore dell’Istituto italiano di cultura di New York, racconta su “Review” alcuni scoop che non ha fatto quando era inviato della Rai. I tunnel di Hamas e il controllo totale di Gaza nel 2019, quando “le agenzie di stampa ancora parlavano di «sedicenti tunnel del contrabbando»”. E con gli islamici perseguitati in Cina, nello Xinjiang, nel 2018. Di cui però non ha detto o scritto quando era in attività. Si fa giornalismo solo del già detto.

“Se Israele avesse voluto davvero fare un genocidio”, spiega irridente l’ambasciatore americano aTel Aviv, Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas, pastore battista, “ci avrebbe messo due ore e mezzo. Ha la capacità militare per farlo”. C’è anche un fondamentalismo cristiano, per il quale l’apocalisse approssima la seconda venuta di Cristo.

C’è in America una forte corrente cristiano-sionista - forse più che ebraico-sionista. Ma a ottant’anni da Hiroshima è questa la verità: per l’America, anche di chiesa, l’arma nucleare è una tra le tante. Non si utilizza per le radiazioni – ancora non si sono misurate con esattezza. Israele sicuramente la esclude, in uno spazio piccolo come Gaza. Ma a cavallo tra due oceani il rischio ancora non si calcola.

Racconta autorevolmente il “Corriere della sera” “le giravolte di Donald”, e “i danni auto-inflitti: così i suoi pensano al dopo”. Cioè i repubblicani? Che si tengono su (vincerebbero le elezioni di medio-termine se si tenessero fra un mese) con Trump. Il genere gossip, “Novella 2000”, applicato alla politica intristisce e non diverte.

Molta-folta partecipazione alla giornata pro Palestina, non solo attori e scrittori in cerca di visibilità, e molti disagi, a Roma forse più che a Milano, ma nessuna protesta, di automobilisti, negozianti e altri danneggiati. È quello che più dovrebbe pesare, il sentimento di acquiescenza. Ma dalla comunità ebraica non un ripensamento o una riflessione, eccetto che, parzialmente, a Venezia e Bologna, solo il riflesso condizionato dell’antisemitismo.

L’Italia, come la Germania, per ragioni storiche, non può in alcun modo incrinare il sostegno pieno a Israele – il governo, questo come un altro, non si pone nemmeno la questione. Ma il riconoscimento della Palestina, di Macron et al., dell’Onu, etc., è un omaggio di comodo – un impegno vuoto. Di fatto una dichiarazione d’impotenza: contano solo gli Stati Uniti – l’Occidente è gli Stati Uniti.

Si è persa l’abitudine, e la voglia, di votare perché non si saprebbe che cosa, non c’è politica – una proposta. Solo battibecchi, scenette da social. Cassese lo dimostra con due semplici dati. “Apatia” non è, “se si confronta il numero degli iscritti ai partiti, non più del 2 per cento della popolazione, con uelo dele eprsone impegate nel volontarato, stimato nel 9 per  cento”.quello delle persone impegnate nel volontariato, stimato nel 9 per cento”. E di politica parlano in pochi, “uno su due uomini, uno su tre se giovani 18-24nni”.

“«Perdono quel giovane killer». Il ruolo di «moglie devota» (Erika Kirk, la vedova, n.d.r.). È salita sul palco asciugandosi le lacrime”. Sprezzante pagina sul funerale di Kirk sul “Corriere della sera”, pure di una dei pochi corrispondenti a New York che non stano lì per “grazia ricevuta”, Viviana Mazza. Come per annettere anche Kirk alla sinistra. Quella di Cairo, l’editore furbo, anche finto – è come se lavorasse per la destra, ammesso che qualcuno lega ancora i giornali.

“Karen Attiah, “editorialista del «Washington Post», è stata licenziata”.  Si lascia credere a opera di Trump. Ma l’ha licenziata un giornale anti-Trump, perfino violentemente  - ogni giorno chiude l’edizione online con un grande Trump “The 7: Tracking Trump”, con sette storie di del governo Trump da abominare.


Si inneggia al ritorno del comico Kimmel licenziato dalla rete Abc in America, tacendo che che la rete ha recuperato alcune, non tutte, delle reti locali che si collegavano allo spettacolo serale del comico. Ci vogliamo martiri della libertà di stampa. Ma se non sappiamo cosa dire? 

“Il Sole 24 Ore” caparbio tiene conto ogni giorno in prima delle vittime a Gaza e in Cisgiordania. Gli altri giornali trasvolano – al più dando i numeri, ma con l’avvertenza “secondo Hamas, che governa la Striscia”, o “secondo l’Onu”, assimilata a Hamas. Poi il “Corriere della sera” fa una pagina disinvolta, con ampia foto: “A Sderot con vista sulle macerie di Gaza. Con sdraio e bibite. Due minuti di binocolo per poco più di un euro. Il posto è diventato meta popolare”. Ben più terribile di “La zona d’interesse”, la vita della famiglia Höss, il capo di Auschwitz, nella villetta accanto al lager.

Un attacco cyber minimo impedisce agli europei di volare. Ai ministeri di lavorare. O si prende i dati di una banca, o di tutte le banche. Viviamo la modernità nella precarietà. Con il computer che “si perde” file di giornate di lavoro. Con archiviazioni del tutto inaffidabili, il cloud che svanisce, l’hard disk che ammutolisce, e la pennetta degradabile, come già i cd-rom e i verbatim. Con un groviglio di fili attorno e sotto il computer. “Matrice criminale”, perché no, “pista russa”, certo, e magari solo goliardate.

Allarme e Berlino: “Germania sotto assedio digitale: spionaggio, sabotaggi e rasomware costano alle imprese tedesche 289 miliardi in un anno”. Se anche fossero un decimo, trena miliardi, un bel danno “marginale”. Si va più veloci, con perdite.

“La nostra prima serie, ‘House of Cards’”, spiega così il successo di Netflix il suo creatore, curatore e ceo di Netflix, “se non ci ha cambiato la vita, ci ha cambiato un bel po’ di abitudini. Mandata online tutta in una volta, ha condizionato il modo in cui le persone guardano uno show”. Forse per questo Kevin Spacey, interprete della serie insostituibile, è l’unico accusato di abusi sessuali che l’ha sfangata.

Si guarda il calcio in tv con sgomento: troppi “errori” che non possono essere errori, chiunque lo vede. Per giunta “errori” congiunti di arbitro e Var, cioè di tre arbitri insieme, e dell’occhio elettronico. Con la scusa dell’elettronica, che non sarebbe addomesticabile - mentre è falsaria per natura: millesimi di secondi, illuminazione, taglio del fotogramma\ripresa. Impossibile che sbaglino tutt’e tre – o quattro: non sono errori, è corruzione. Palese nella scelta di far giocare una squadra tre volte in sette giorni, e la concorrente tre volte in nove giorni. Peggio dei media c’è il calcio. Ma cos’altro rimane?

Banalità del male a Gaza

Uno zio averte la Mezzaluna Rossa a Gaza che i suoi familiari, usciti in macchina, non rispondono al telefono. Chiede di geolocalizzarli attraverso il cellulare e intervenire se ne hanno necessità. Segue un’ura e mezza, il tempo del film, di conversazioni con una bambina, unica superstite, che chiede di essere salvata, dall’operatrice, che chiama mamma, dalla sua stessa mamma, avvertita dallo zio: implora, rimprovera, insistente, ben viva. Finché tutto tace. Dopo che l’ambulanza della Mezzaluna Rossa, che ha infine ottenuto un “itinerario sicuro”, a pochi metri dalla bambina salta in aria, centrata da un carro armato. Forse lo stesso che ha mitragliato la macchina già mitragliata della bambina.  
Un racconto di una tensione estrema. Con molti aspetti non noti, di realtà inaspettate, anche in un’area di guerra senza leggi e senza limiti. La Croce Rossa Internazionale che per ripicca da Gerusalemme si rifiuta dare il nulla osta all’intervento (di avviare la pratica accelerata per il via libera all’ambulanza). Israele sempre chiamato “l’esercito”, come se fosse parte del mondo della Mezzaluna Rossa. I servizi di ambulanze mitragliati in serie, con la scusa che non rispettano il regolamento degli interventi.
Un film che ha umiliato e irritato i filo-israeliani. Ma forse non per quello che si sente. Per una ragione che loro non sanno – che molto ebraismo non vuole sapere. Sì, una bambina che chiede aiuto per un’ora e mezza e poi tace, quando il carro armato la cannoneggia, è intollerabile. Ma quel che disturba del film, inavvertitamente?, è la “banalità del male”, nel senso di Hananh Arendt. Gli “ordini” eseguiti e coperti da “persone normali”, con procedure “normali”, in una guerra che è sempre “giusta”. Una banalità – ordinarietà - che il mondo ebraico ha in prevalenza rifiutato e contestato alla Arendt per Eichmann, ma è quello che è – quando si è entrati nella logica dello sterminio, naturalmente. Non è da presumere malvagità o speciale cattiveria nell’equipaggio del carro armato che mitraglia la bambina e fa saltare in aria l’ambulanza – non è vero che i carri armati sono ciechi, dall’interno si vede si vede tutto all’esterno, con precisione, meglio che a vista, agli infrarossi, ogni essere umano, ogni forma esterna. La CRI che si offende e non fa le pratiche. Un intervento di urgenza – a che altro servono le ambulanze – soggetto a un iter autorizzativo complesso e lungo. Un equipaggio di ventenni appena arrivati dalla vita civile che mitraglia tutto quello che vede. Senza colpa per nessuno – l’irresponsabilità.
Kauther ben Hania, La voce di Hind Rajab