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martedì 13 maggio 2025

Letture - 578

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Antifascismo
- P. Battista sul “Foglio” reperta vare bio wikipedia di giornalisti, di sinistra e di destra, rifatte ponendo alla prima riga un nonno o un padre fascistissimo, cioè repubblichino. Di chi la “manina”, si chiede? Battista opina per la sinistra politica, genere Anpi. Ma potrebbe anche essere un nostalgico, che ricorda il fascismo a chi lo ha rimosso – la fede nel fascismo, anche perdente. Il fascismo come ossessione invece che come fatto strico.  
 
Architettura fascista
– “Non esiste” per i media, anche se vi ci s’imbatte a ogni passo, specie a Roma e in Lombardia (Milano, Brescia, Piacenza…). Negli edifici e nell’urbanistica - di cui la Repubblica è stata ed è singolarmente sprovvista, ognuno costruisce quello che vuole dove vuole (si è perfino teorizzato l’abusivismo, quello “creativo” non quello “di necessità”, della stanza in più). Gianni Biondillo pubblica un libro, “La costruzione del potere”, in cui spiega, come da sottotitolo, “Perché l’architettura fascista non esiste”. E intende forse “non esiste” alla romana: non ce ne frega, facciamo che non c’è. Per poi fare lui stesso su “La Lettura” una mappa dettagliata degli edifici, e della ristrutturazione urbanistica, edifici compresi, di Milano. Dando alla città, va aggiunto, la fisonomia che solo adesso, con i grattacieli, sta (forse) cambiando. 
 
Confessione
- Come racconto, prima che come sacramento o testimonianza, nasce come si sa da sant’Agostino. E ha dilagato ultimamente nella narrativa - un racconto o romanzo su due, si calcola, è in forma memoir. E quasi sempre nella forma psicoanalitica. Di cui si considera precursore Philip Roth, per “Portnoy’s Complaint”, 1969, che si rilancia oggi con grande enfasi, e non Berto, “Il male oscuro”, pubblicato nel 1964, anch’esso con grande successo – premio Viareggio e premio Campiello, record di vendite, traduzioni immediate. Si privilegia cioè il racconto di psicoanalisi che non è presa sul serio.
 
Latino
– “«Il latino si studia obbligatoriamente in tutte le scuole superiori del Nord-America»”, poteva scrivere un secolo fa Filippo Virgilii: “«La storia romana è insegnata in tutti gli istituti, e tale insegnamento rivaleggia, se non supera quello che vien fatto nei ginnasi e nei licei italiani, perché nelle scuole americane la classica storia di Roma antica è tradotta fedelmente da Tacito e da Cesare, da Sallustio e da Tito Livio, mentre in Italia si ricorre troppo spesso e troppo ‘supinamente’ alle deformate (sic) traduzioni di Lipsia». Filippo Virgilii, “L’espansione della cultura italiana, «Nuova Antologia», 1° dicembre 1928 (il brano è a p. 346); (né può essere errore di stampa, dato il senso di tutto il periodo! E il Virgilii è professore di Università e ha fatto le scuole classiche!” (Gramsci, “Gli intellettuali”)
 
Malaparte – “Lo strano è che a sostenere il razzismo oggi (con l’Italia Barbara, L’Arcitaliano e lo strapaesismo)”, riflette Gramsci in una delle note de “Gli intellettuali”, sul razzismo in Italia, “sia Kurt Erich Suckert, nome evidentemente razzista e strapaesano”.
Ma Malaparte-Suckert non è il solo: “Ricordare durante la guerra Arturo Foà e le sue esaltazioni della stirpe italica, altrettanto congruenti che nel Suckert”. Arturo Foà, di Cuneo, “il poeta ebreo dimenticato” - morirà nel lager di Auschwitz, nel 1944.  
 
Roma – “Tutti volevano stare a Roma”, Giancarlo Giammetti, 87 anni, socio e partner di Valentino, serioso a Michele Masneri sul “Foglio” sabato: “Sa, era un periodo non comprensibile oggi… Era un’epoca irripetibile. Che bello che era!” Ma anche oggi, “è comunqe una città piacevole, meglio di New York, meglio di Parigi”.
 
Era romana negli anni 1960-1970 anche l’alta moda. Giammetti ricorda il loro studio-laboratorio in via Gregoriana, allora la via della haute couture: “Arrivava Marella Agnelli, arrivava Mia Acquarone, tutte le signore più importanti. Davanti a noi c’erano gli atelier di Simonetta (un marchio in realtà, n.d.r., di Donna Simonetta Colonna Romano di Cesarò, già sposata Visconti, proprietaria dell’intero palazzo), poi c’era Capucci, e poco distante Galitzine, e ancora Federico Forquet, Fabiani, tutti bravissimi”.
 
Montale – Memorabile, cioè citabile, lo vuole Lorenzo Tomasin sul “Sole 24 Ore Domenica”. Per una serie di espressioni entrate nel linguaggio comune: : “Male di vivere”, “Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, “Pallido e assorto”, “Scabro ed essenziale”, “È nato e morto, e non ha avuto un nome”, “la razza di chi rimane a terra”.
 
Sex worker - Gramsci era violentemente contro: “Turati. Il discorso parlamentare sulle «salariate dell'amore». Discorso disonorevole e abbietto. I tratti di «cattivo gusto» del Turati sono numerosi nelle sue «poesie»” – l’annotazione è raccolta ne “Gli intellettuali”, parte degli appunti finali sul “lorianesimo”.
 
Traduzione – Matteo Codignola spiega su “La Lettura”, in una argomentata intervista con Cristina Taglietti,  la sua traduzione di Ph. Roth, “Portnoy’s Complaint” - la terza, ogni editore, Bompiani, Einaudi e ora Adelphi, avendone adottato una propria – con “l’idea… di restituire a Portnoy il suono che aveva in origine”. Se non che, nelle pagine iniziali del romanzo, che il settimanale pubblica in originale e nella traduzione di Codignola, l’originale ha un suono diverso dall’italiano. “Conficcato” per “embedded”, “mi fiondavo” per “rush off”, “la becchi” per “make it” sono traduzioni lecite, e aggiornate, sono la terminologia dell’adolescente di oggi, ma non sono “Ph. Roth”.  La patina fa parte del linguaggio.
 
“Portnoy’s Complaint”, il titolo originale di Ph. Roth, nella riedizione Adelphi è semplificato in “Portnoy”. Di “complaint”, lamenta Codignola, si danno del resto quattro significati diversi: “una solenne lirica in onore di un amore non corrisposto, o perduto; un certo disturbo della personalità; una citazione in giudizio; e poi sì, la lagna dell’amico”. Ce ne sono di più, il “Roget’s Thesaurus” ne repertoria un decina - tra essi forse il più appropriato “tormento”.
 
Wagner – “Wagner (cfr. l’Ecce homo di Nietzsche) sapeva ciò che faceva affermando che la sua arte era l’espressione del genio tedesco, invitando così tutta una razza ad applaudire se stessa nelle sue opere” (Gramsci, “Quaderni del carcere”, 3 (XX) § (2)).

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