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domenica 11 maggio 2025

Perché non la cancel culture del fascismo

La domanda non è nuova e la risposta non c’è. Perché non ci può essere. Non tanto per i “monumenti”, quanto per l’urbanistica, che l’autrice non considera, ma che nel ventennio, a inziativa del regime o per maturazione di progetti precedenti, ha cambiato moto degli assetti urbani – p.es., visibilissmo oggi, e “provvidenziale”, il riassetto dei “borghi” vaticani.
Storica contemporaneista, specialista di storia italiana, californiana con cattedra di Storia e Studi Italiani alla New York University, Ruth Ben-Ghiat connette la “continuità” delle opere del regime al neofascismo. Che risente specialmente acuto (“vivevo a Roma nel 1994 e venivo svegliata regolarmente da urla «Heil Hitler!» e «Viva il Duce» dal vicino pub” – saranno stati “laziali”, che sfogano la rabbia di non vincere in campo?). E la “continuità” addebita a Berlusconi: “L’Italia, il primo Stato fascista, ha avuto un lungo rapporto con la politica di estrema destra”. Intende: l’Italia repubblicana, che era stata il primo Stato fascista, ha avuto…. E continua: “Con l’elezione di Berlusconi nel 1994 il Paese è diventato anche il primo a portare un partito neo-fascista al potere”. Capovolgendo - ma non è la sola – il giudizio storico sui leader democratici, di cui si misura l’abilità nei confronti dei movimenti eversivi se e in quanto hanno saputo disinnescarli, portarli nell’alveo costituzionale (es. classico Giolitti e i socialisti).
E ce n’è anche per Matteo Renzi. “Nel 2014 il primo ministro di centro-sinistra (ma l’Italia non ha un primo ministro, ha un presidente del consiglio (che non conta nulla giuridicamente, costituzionalmente: può solo dimettersi, n.d.r.) annunciava la candidatura di Roma all’Olimpiade 2024 dentro il complesso ora denominato Foro Italico stando davanti all’«Apoteosi del fascismo», un affresco che fu coperto dagli Alleati nel 1944 perché dipinge il Duce in figura divina”. Un affresco in effetti contestabile, anche dal punto di vista estetico. Coperto a lungo da una tenda blu, poi da un panno verde, fu fatto restaurare dal Coni di Mario Pescante dopo 53 anni, nel 1997 - su sollecitazione del sovrintendente ai Beni Architettonici e Ambientali, l’arch. Francesco Zurli.
Ma questo è un problema marginale nella trattazione. La defascistizzazione la storica giustamente trova limitata a quanto programmato dalla Commissione di Controllo Alleata, la quale (nel 1944, n. d.r.) “raccomandava che solo monumenti e decorazioni più dichiaratamente fascisti e «inestetici», come i busti di Mussolini, fossero distrutti”. Sul resto, specie le architetture di uso quotidiano, ministeri, palazzi di giustizia, palazzi di civile abitazione, musei, cala il velo della disattenzione – sono luoghi come altri.    
Un articolo breve, quasi una provocazione a un dibattito - che poi ha avuto luogo online, su altre piattaforme. Un aspetto la storica politica non considera ed è quello delle estetiche, che, specie nelle arti figurative, proliferano in Italia tra le due guerre. In architettura e, di più, nella pittura e in musica. Per effetto della provocazione futurista. Con continuità nel dopoguerra, e sotto bandiere democratiche: 
i larghi affreschi di Sironi alla Sapienza avrebbero potuto portare la firma di Guttuso. Oppure – è un altro aspetto che la storica non considera nel breve articolo - che ne è della cancel culture, allora dominante? Allora nel 2017. Qualche anno luce fa. Il mondo va alle mode americane, ma poi le mode sono deperibili per definizione. Frequentando quotidianamente i quartieri Monteverde Nuovo e Garbatella, uno si meraviglia che le case popolari degli anni 1930 fossero, per quanto modeste, non fasciste, nel senso dello show off, migliori – costruzione, ambientazione, orientamento, assetto urbanistico (piazze, marciapiedi, aiuole…) - delle migliori residenze odierne.  

Ruth Ben-Ghiat, Why Are So Many Fascist Monuments Still Standing in Italy?, “The New Yorker”, 7 ottobre 2017

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