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venerdì 18 febbraio 2011

Il business dell’accoglienza

Il ministero dell’Interno, cui l’accoglienza compete, e ne ha avrebbe l’intelligenza ma non ha l’organizzazione, tace. Ha taciuto il laico Amato prima, tace da ormai tre anni Maroni, che pure è leghista e quindi sospettoso. Le organizzazioni di accoglienza sono invece vocifere. La Rai si compiace di far parlare clandestini tunisini che lamentano la qualità dello shampoo al centro di accoglienza. Vuole alimentare il razzismo? No, è parte della stessa gestione dei clandestini: prepara il terreno per chiedere più soldi. Lo prepara ai “confratelli” del cosiddetto volontariato che è in realtà il terzo settore, la gestione privata di funzioni pubbliche. Secondouna tecnica che si dovrebbe dire del racket, ma tratandosi di anime che si vogliono pie è sufficiente dire del business. I clandestini che arrivano di notte, dopo lunghi percorsi in mare, su imbarcazioni di fortuna, restano al centro del problema immigrazione - la loro miseria cioè. Ma l’accoglienza è parte del problema dei clandestini, che è il business del volontariato. Che si alimenta col pauperismo, invece di disporre e proporre una vera politica dell’accoglienza.
L’accoglienza il volontariato sta riempiendo di sciocchezze. Si chiede casa e lavoro per nomadi che non vogliono lavorare, non vogliono sedentarizzarsi, e non vogliono andare a scuola. Mentre non ci sono abitazioni popolari per i residenti, trentamila solo a Roma, che non hanno la possibilità di pagarsi un affitto: licenziati e senza lavoro, padri di famiglia divorziati o separati, invalidi. Si vogliono rifugiati politici migliaia di clandestini senza identità, e senza nemmeno provenienza accertabile. La dichiarazione di rifugiato politico è la stella del mercato. Per i tunisini, magari, o gli egiziani che fuggono non da Ben Alì o da Mubarak ma dal regime democratico per il quale ci siamo congratulati. Perché ogni rifugiato porta una dote, cospicua benché sempre magra: italiana, europea, Onu, cumulabile. Senza beneficio per l’immigrato, a parte i pasti e il giaciglio. Un segmento d'affari non piccolo, poiché si aggira sul miliardo di euro l'anno. Le cifre sono difficili da mettere assieme, poiché sono disperse tra varie fonti, ma l'ordine di grandezza è di almeno un miliardo l'anno, confermato anche dalla consistenza numerica del volontariato del settore.
Non è ingenuità, né superficialità. È un imbrogliare le carte per gestire in esclusiva l’intervento pubblico, al fine precipuo, se non esclusivo, del benessere della stessa organizzazione caritatevole. Non è nemmeno un giochetto politico, di questo o quel gruppo contro un altro, o contro la politica dei respingimenti (che non si fa), o che altro, no: è la crescita del (proprio) business - un settore cui ora guardano avidamente anche i sindaci, compreso quello di Lampedusa: l’accoglienza rende più del turismo (per il quale, si sa, bisogna faticare...)? Non è innocente non sapere nulla di come sono organizzati gli espatri, all’origine e all’arrivo, dopo una pratica ormai ventennale degli stessi. Non sapere come è realmente organizzata la tratta, a parte le inverosimili cifre di mille, o duemila, o cinquemila dollari o euro pagati a trasbordo, cifra colossale e fuori portata in qualsiasi paese africano o asiatico. Di come prevenirla, di come punirla. Tutto ciò competerebbe al governo. Che magari sa, ma se ne guarda bene: il volontariato è una potenza che non si tocca.

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