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martedì 15 febbraio 2011

Jabès meticcio e assertivo, nella disperazione?

Una sentenziosità oscura che respinge. Respinge nel suo complesso, non per le cose cui si applica, talvolta lampeggianti - o c'è una stagione per l'incomprensione? Il Proust della "Ricerca" resta sempre incomprensible, mentre Bataille, oscuro trent'anni fa, è diventato godibile: il cervello procede a fasi alterne, della storia personale, del tempo, della cultura?
La sentenziosità respinge in sé - Jabès, Cioran, come Rochefoucauld, Chamfort - perché è assertiva nella disperazione. E la colpa può essere del genere frammento, che è per sé assertivo, oppure - ma non è la stessa cosa? - del moralismo che sempre emerge dietro il frammento. Di un frammento, beninteso, che non sia parte di un discorso: il caso di Nietzsche, indisponente nei florielgi, appassionante per intero.
La sentenziosità suona bene nelle culture imperiali: il diritto ormano, il liberalismo anglo-americano (puritano, o scozzese-americano), la religiosità orientale (vissuta). Equivoca in quelle meticce? Come è di Jabès, figlio di ebrei italiani, educato ad Alessandria d'Egitto alla scuola francese, infine cittadino e poeta francese a tutti gli effetti. Nelle esperienze incerte l'apoditticità suona ridicola.
Edmond Jabès, Il libro dei margini

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