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giovedì 20 giugno 2013

Secondi pensieri - 144

zeulig

Autorità – È uno dei problemi che angustiano Hannah Arendt in “Passato e presente”, 1968 – ma il saggio relativo, “Che cos’è l’Autorità?”,  è di molti anni prima, il 1954. A ricasco della guerra. E delle lezioni di Alessandro Passerin d’Entrèves a Oxford, da Arendt apprezzate e rielaborate.
Antifascista e partigiano a Torino, quindi professore di italianistica a Oxford, ma di suo giurista e filosofo del diritto, Passerin d’Entrèves si può dire intermediario praticamente isolato con Hobbes, di cui Arendt è a suo modo la reincarnazione – la scienza politica dopo la guerra civile, la scienza politica dopo il totalitarismo.

Forza, potere e autorità, Passerin d’Entrèves lo spiega, fanno la sua elegante “Dottrina dello Stato”. La mafia, che non ha studiato, lo sa: la forza mista all’autorevolezza, l’Auctoritas, la romana legittimazione. Che all’Italia sempre è mancata, argomenterà l’illustre studioso nell’ultima prolusione a Oxford nel 1956, per avere i Savoia e i loro aiutanti scambiato i bastoni per briscola: “I governanti dell’Italia unita sembrano aver provato più paura da dentro che da fuori”….. Quanto a Marx, Passerin d’Entrèves dava infine ragione a Mazzini: “La nozione marxista dello Stato si attaglia alla concezione volgare italiana che la forza e non il consenso è la chiave della politica”.

Si contesta regolarmente in Italia, governando Andreotti prima, poi Berlusconi, la festa della Liberazione. Mentre la Resistenza è stata ed è lo specchio dell’Italia che si vuole Italia, unita cioè e intraprendente. È il momento in cui la forza, seppure limitata, e il potere si combinano, direbbe Passerin d’Entréves, nella legittimazione o Auctoritas – bisogna riscoprire la dottrina dello Stato di questo esiliato della Repubblica: il potere non è la violenza, e se ne tiene anzi distinto. Lo stesso Mussolini di Salò ne è figurazione, che sapeva di rappresentare un’esigua minoranza, e più disperata che convinta, terroristica.
È la sovranità, l’Auctoritas, che l’America realizza nel modo più pieno, e anzi in eccesso. Auctoritas che, lo stesso Passerin d’Entrèves insegna, è chiesastica, ed è la base della libertà. Che non è essere Dio, l’uomo è limitato, tanto più un manovale con poco mestiere. L’uomo non è libero alla nascita da questo punto di vista, la libertà è solo condivisa. E viene così la nazione, la famiglia di storia, lingua, modo d’essere. La patria è la forza, accanto alla religione, Tocqueville va aggiornato.

Babele – Non è l’uomo che fa Babele, è Dio. L’uomo parlava una sola lingua e Dio, invidioso, scese a impedirglielo.
La lettura del “Genesi”, 11, è terrificante. A celebrazione dell’unità, gli uomini, che intanto avevano imparato a fare i mattoni per costruire invece delle pietre, dissero: costruiamo una bella torre a celebrare la pace. Dio allora sospetta che gli uomini “possano condurre a termine tutto ciò che si propongono”, e si dice: “Scendiamo a confondere il loro linguaggio, in modo che non s’intendano più gli uni con gli altri”. Li disperde, e il luogo della città resta come babel, confusione, “perché ivi il Signore confuse il linguaggio di tutti popoli e da lì li disperse per tutta la terra”.

Cura – È argomentazione di Martha Nussbaum e altre filosofe, in chiave femminista. Del dispendio di energie che sempre incombe sulla donna, per gli oneri della famiglia e della casa anche quando svolge un lavoro fuori, ed è in carriera. E della cura degli anziani di famiglia.
Si può argomentare una “diversità” uomo-donna di fronte alla sofferenza, e alla sofferenza del congiunto (di fronte al congiunto: come è di tutta la relazione uomo-donna, nell’innamoramento e in famiglia, nella coppia e con i figli). Effetto di imprinting (lunga storia)? Effetto della natura, della diversa costituzione fisica e fisiologica?
I casi – non statistici, che non esistono e forse sarebbero inutili, ma ben viventi. La madre di G.D. che “si libera” del padre accudendolo, per quattordici anni. O Fa. e Vo. Lei capace di accudire lui ogni giorno per molte ore, benché in ospedale, nel lungo coma di un mese e mezzo. Ma subito, quasi subito, insofferente di lui quando si è rimesso. Fino alla fuga, alla “follia” (complesso di persecuzione), al salto nel vuoto contro un aggressore inesistente. Per debolezze e insufficienze di lui (egotismo, “superficialità”), ma anche per una sorta di ripulsa. Per effetto del climaterio, ma anche dopo. “Lui” peraltro capace di accudire “lei”, ma: 1) con più coinvolgimento emotivo, da pari a pari più che da padrone e sotto, che 2)si riflette in un continuo interrogarsi sulla vita e l’uso della vita, sia che lavori, sia ancora in attività, sia che sia pensionato e quindi “libero” di accudire. Da cui anche l’allontanamento: un distanziamento. Che prende pure aspetti pratici: come farsi aiutare per la parte materiale del care, aiuto che la donna, purché ciò non implichi uno sforzo fisico, purché sia solo estetico e filosofico, non necessita e anzi tende a escludere.

Non c’è il caso di lei, nemmeno in letteratura, che si cerchi un’altra situazione in costanza di care. C’è invece per lui: il rapporto di coppia è diverso per lui e per lei. Per lui non è concorrenziale, è uno stato d’animo, di tranquillità, e di “darsi coraggio” (incitazione). Di stabilizzazione degli umori anche. Per lei è un rincorsa, che finisce presto nella ripulsa. E si acquieta nella malattia.

Tempo – Il tempo assoluto è un incubo, per tutti.

Kant: “È legge necessaria della nostra sensibilità e quindi condizione formale di tutte le percezioni che il tempo precedente determini il seguente”.
Sembra una castroneria e forse Kant non l’ha detto – anche se a volte diceva castronerie. E invece no: senza la memoria (mentale, fisica), il tempo non è. Pure in natura: l’evoluzione è casuale e non determinata, il tempo inconseguente, di uno o di mille unità, o di un milione, tra miliardi di esiti possibili. Il tempo non determina niente.

Morte -  Si può dire, come molte religioni e alcuni filosofi dicono, un incidente di percorso. Non ingrato se,  come avviene per molti, è una liberazione  dalle seccature: i doveri, la fatica, i malanni. Per continuare a vivere nella memoria, anonimi o celebrati, in fisionomie più o meno lusinghiere, in branco o in un angolo, ogni giorno o a ogni morte di papa, ma senza doversi occupare e preoccupare di nulla. A volte col dubbio di vivere veramente: agire, fare, intervenire.

Non da ora c’è il dubbio, è dai versi di Euripide che Platone cita nel “Gorgia”: “Chi può sapere se il vivere non sia morire,\ e se il morire non sia vivere?”

zeulig@antiit.eu

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