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giovedì 20 giugno 2013

Bellissimo il libro, più del “Decameron” per tutti

Un bellissimo manufatto: un libro di quasi duemila pagine maneggevole. In cui si può leggere il “Decameron” originale a corpo ancora decente all’occhio, oppure farselo semplificare in linguaggio scorrevole, con note lunghe quanto il testo. E farselo inquadrare da ogni punto di vista, letterario, storico, filologico, da un centinaio di pagine di introduzioni. Sottraendo il narratore alla sterile diatriba (dialettica?) sulla borghesia mercantile, finanziaria, e la libertà repubblicana dei Comuni. Per non dire della transizione dal feudalesimo al capitalismo: i racconti del “Decameron” hanno anch’essi un sottofondo “esemplare”, ma secondario rispetto alla felicità narrativa, delectare viene prima che docere - se non altro per farsi leggere, fatica non lieve.
Ma è un’edizione non si sa se più triste o entusiasmante. Per leggere Boccaccio oggi, che pure rimane piacevole intrattenitore, scorrevole (“moderno”), bisogna semplificarlo? Abbiamo perso il lessico e la sintassi, constata Amedeo Quondam, l’italianista della Sapienza che ha curato questo piccolo grande libro, insieme con Giancarlo Alfano e Maurizio Fiorilla. All’improvviso i classici, i nostri classici, della tradizione italiana, che non è morta e non è nemmeno tanto remota (le città sono sempre quelle, le società pure), sono diventati “sistemi di senso remoti”.
È da dubitare che questo sia lo stato della comunicazione. O meglio sì, è come dice Quondam, “l’economia dei processi comunicativi” è mutata. Ma la lettura non è solo un processo comunicativo. Ha a monte un processo formativo. Oggi come sempre. È un errore confondere la comunicazione con la formazione, anche se su presupposti democratici – sono falsi presupposti, falsamente democratici cioè. Che porta al successivo errore, del depauperamento della formazione come ineluttabile, e forse auspicabile. Per un altro equivoco democratico - tutti letterati, giacché tutti sono, possono essere, laureati.
Malgrado tutto, resta questa l’unica nuova edizione del “Decameron”, dopo quella cinquant’anni fa di Vittore Branca. Che si può rileggere alla luce di due temi affascinanti, e forse veritieri, proposti da Quondam. Qui non si celebra lo spirito capitalistico (che, si può aggiungere, è una tardiva invenzione, e un travisamento, di e su Max Weber): i mercanti nel “Decameron” sono rari, e nessuno risplende. Boccaccio è, modernamente, indaffarato a rilanciare la nobiltà di armi e di spirito: la lealtà e l’ardimento, sono questi i suoi valori “moderni”. Da lui mediati nella lunga permanenza a Napoli, attorno alla “vera nobiltà” della corte angioina – Boccaccio napoletano è troppo dimenticato.Un terzo tema, che  Quondam propone da studioso consolidato di Petrarca, è la successiva sterilizzazione di Boccaccio alla scuola del poeta, da lui venerato servilmente, col maestro che riduce i racconti, in volgare!, a divertimento, “iocosa et lenia”, avendoli letti controvoglia.
Giovanni Boccaccio, Decameron, Bur, p. 1851 € 18

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