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Bloomsbury – È Bloumbsburry nell’argotico francese di Céline, “Londra”, la pronuncia
più corriva per un latino, e più condona al “parlato” dello scrittore – altrove
detto correttamente Bloomsbury, ma è uno dei quartieri dove la “feccia” della
narrazione si sviluppa.
Bovary all’opera – “Madame Bovary e l’opera italiana” è un seminario, della serie “Drama
Queens”, annunciato dalla “New York Review of Books” con Daniel Mendelssohn, per
una sessione di tre sedute dal 7 gennaio. Si parlerà di “Lucia di Lamermoor”, “La
Traviata”, “Madame Butterfly”, e di “Madame Bovary” di Guido Pannain, 1955.
Carciofi fritti – In uso a Roma in alternativa a quelli “alla romana”, avevano fatto gola
a Colette. Lo scopre Giuseppe Scaraffia (“Sole 24Ore Domenica” del 12 novembre)
alla mostra parigina “Le mondes de Colette”. Era a Roma durante la prima guerra
mondiale per scrivere corrispondenze giornalistiche, e vi aveva conosciuto D’Annunzio
- di cui poi ha tenuto “sempre sulla sua
scrivania” la foto con dedica: “Una volta chiarito che non era disposta a
cedere alla sua corte, lo scrittore si era trasformato in una perfetta guida
della capitale, di cui Colette aveva molto apprezzato i carciofi fritti”. Il
vate dei carciofi?
Sono tornati “fritti” invece che “alla giudia”, come comunemente si chiamano,
dopo Gaza?
Graal – Un residuo
dell’epoca delle reliquie, di quando si credeva alle reliquie. Prima Sacro Catino.
Poi Calice di Antiochia, o coppa eucaristica dell’Ultima Cena, “resa leggendaria
dai romanzi cavallereschi del Medio Evo”. Ora è la coppa col sangue di Cristo
che Giuseppe d’Arimatea portò con sé quando sbarcò in Inghilterra – tenuta in
custodia “in un centro benessere ispirato alle filosofie New Age”. Il filologo,
“specialista di materia arturiana”, Claudio Lagomarsini sintetizza così sul
“Sole 24 Ore Domenica” la sua storia “Come scoprire il Graal. Storie di
cavalieri, occultisti, cercatori”.
Il Sacro Catino proveniva dalla cattedrale di Genova - attesta Jacopo da
Varagine (da Varazze), l’arcivescovo della città famoso autore della “Legenda
aurea”, la raccolta di vite dei santi, spesso spericolata - dove era arrivato
alla fine del Duecento. Come reliquia prelevata in Terrasanta, bottino di
guerra intorno al 1100: “I libri degli inglesi chiamano questo vaso Santo
Graal”. Il vaso si è poi scoperto essere di vetro soffiato, forse del IV
secolo.
Il “calice di Antiochia”, con la figura del Cristo, emerge nel 1910: “Acquistato
da un antiquario siriano a New York, il manufatto è data al I secolo da Gustav
Eisen, naturalista svedese massimo esperto di fichi” (vero).
Quanta letteratura su falsi.
Inglesi – “Sono strane mescolanze all’interno degli
inglesi”, sbotta a un certo punto Céline, giovane mutilato di guerra del 1914 inviato
in vacanza - in missione - a Londra, nel racconto “Londra” che ora si pubblica:
“Shakespeare è così”. Così come? “Pioggia o no, sono felici di aspettare gli inglesi.
Farebbero non importa che per il loro piacere anzitutto quelle persone, ma
tristemente…Guerra o pace, gli inglesi amavano la fila, il teatro, se ne abbuffavano,
kaki del fronte, della caserma accanto, prendevano spesso fino a tre
rappresentazioni dello stesso, in fila, e dodici tè al limone durante, sempre
senza parlare. Si votavano al piacere, alla ruminazione e alla morte. Shakespeare
lui è così”.
Marx – C’è Marx nell’opera
del (giovane?) Céline, “Londra. Nella persona del suo grande amico anarchico, un
vecchio Borokrom, che è stato di tutte le rivoluzioni, ora sempre battagliero
ma deluso: “Vedi, Ferdinando”, Céline si fa spiegare da Borokrom, “non c’è più
niente da fare con gli uomini, non hanno più umiltà,… ciò che gli piace in
Marx, ora te lo dico, è il gigante d’orgoglio, qualcosa come Victor Hugo ma allora
da briccone, capisci, un romantico delirante con numeri e precisazioni. Triste!”.
Pasolini - Recensendo la raccolta degli articoli originali di Pasolini come pubblicati
ora dal “Corriere della sera”, “Pasolini e il «Corriere della sera» 1960-1975”,
Emanuele Trevi rileva che rieditando buona parte di questi articoli per i due
volumi “Scritti corsari” e “Lettere
luterane”, “opportunamente rivisti e spesso scorciati”, o anche solo cambiando
il titolo, quello del “pezzo” più famoso (“Io so”), che sul giornale era “Che
cos’è questo golpe?”, in “Il romanzo delle stragi”, “Pasolini diede un esempio
luminoso della sua lealtà verso i lettori”. Perché l’“io so” è contrappuntato
in finale da: “Ma non ho le prove”. E “fuori dal romanzo”, chiosa Trevi, “oggi
più che mai è necessario ricordarlo, il sapere privo di prove è ripugnante”.
L’idea di “Petrolio”
sarebbe nata quando Piero Ottone invitò Pasolini a collaborare al “Corriere
della sera”. È probabile: la Montedison, cioè Cefis, era la proprietà reale del
“Corriere della sera” (stante l’impecuniosità della proprietà formale, di Giulia
Maria Crespi), e la cosa era indigesta a Ottone e al sindacato dei giornalisti
che lo sosteneva. Ottone si professava liberale ma era soprattutto uno snob,
che disprezzava gli affari, quindi Montedison, quindi Cefis (pessima prova se
ne ebbe qualche ano dopo, da presidente dell’Editoriale la Repubblica, di Formenton-Mondadori).
Cefis si voleva, dai rivoluzionari dell’epoca, lui come altri imprenditori,
Pesenti (Italcementi) o Monti (petrolio), il Grande Burattinaio che combatteva
la “rivoluzione”, naturalmente d’accordo con i servizi segreti, e anzi voleva “i
colonnelli” – è su questa base che proliferò il brigatismo. Facile associare
questo Cefis agli eccessi di ogni tipo che Pasolini assommava nel “romanzone” –
quello che faceva, in parallelo, al cinema col progetto di “trilogia della morte”:
“Salò o le 120 giornate di Sodoma”, “Porno-Teo-Kolossal”, e un titolo ancora da
definire.
La persona di Montedison
che si occupava del “Corriere”, come di ogni altro giornale, era Gioacchino
Albanese, mitissimo direttore delle relazioni esterne, socialista. Cefis era stato
un capitano dell’esercito, nel 1944 nella Resistenza, distintosi nella Repubblica
dell’Ossola - Mattei, che era un politico, se l’era messo a fianco all’Eni per
questo suo passato nella Resistenza bianca – queste cose allora non si potevano
dire o sapere.
Dr. Spock – Maria, Marjorie
e la narratrice, tre vicine di casa nel racconto-memoir di Lucia Berlin
del suo primo matrimonio da adolescente ad Albuquerque (il racconto “Lead Street
Albuquerque”, nella raccolta “Sera in paradiso”), nella casa di adobe in
mezzo al nulla, tutt’e tre incinte, che poi avranno il bambino a distanza di
uno o due giorni l’una dall’altra, passano il tempo bevendo tè ghiacciato “mentre
ci leggevano a vicenda il Dr. Spock”. Il “Dr. Spock” è stato il manuale pratico
per le giovani coppie al primo figlio, negli anni 1960-1970, quado si tendeva
ad allontanarsi dalla famiglia, e quindi si rinunciava all’esperienza dei genitori.
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