Un film-romanzo storico. Il primo in mezzo secolo ormai. Non solo del tema a soggetto - il rapimento, il processo, la condanna, e l’assassinio di Moro, dopo l’eccidio di via Fani - ma di un mondo, un’epoca. Non detta ma rappresentata, plasticamente in immagini: apodittica. Di anni terribili: bastano i rapidi accenni alle violenze alla Sapienza, di mestieranti del bau-bau, brutti e cattivi, dei cortei con le spranghe di ferro e le devastazioni, delle “masse” Cgil immemori degli eventi. Senza le smancerie di rito per il Pci, e per Moro santino del Pci. Questo per la verità: un atto di coraggio di Bellocchio, che comunque già da un paio di film vuole narrare la “vera storia”.
Ma più conta,
pesa, prende, la resa tecnica o estetica. L’atmosfera carceraria, notturna,
grigia, poco promettente, che Bellocchio ha impresso ai vari episodi: le
direzioni Dc, i ministeri, le nooti, di Moro, di Cossiga, le incomprensioni
familiari, le insonnie, la lezione alla Sapienza, i colloqui con lo
“specialista” americano di rapimenti. Accentuata dalle nevrosi di Cossiga e del
papa Paolo VI, che hanno la scena nella prima puntata.
Con la solitudine,
anche, del potere, della politica, nella mediocrità generale. E dell’uomo
potente negli affetti, in casa, con i figli, con la moglie. Con aneddoti anche
sorprendenti o non noti, ma armonizzati in un quadro di eccezionale forza. Basta
la giornata di Moro, che apre ai comunisti, parlandone alla direzione Dc, con
gli americani via Cossiga, col papa dopo la messa, nei giardini vaticani,
accompagnato e protetto dal maresciallo Leonardi, e la sera a casa si fa l’uovo
al tegamino, si apparecchia, cena su un tavolinetto, ancora col cappotto, e per
addormentarsi cerca un contatto umano, mettendo il nipotino nel letto.
Marco Bellocchio, Effetto
notte, Rai 1
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