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Né italiano né francese, l’immigrato è niente
Un
romanzo di debutto, a 36 anni, docente apprezzata di Letteratura al liceo
Carnot a Parigi, durissimo. Con la Francia. Da figlia di immigrati poveri, due
braccianti, lui, Ruggero, di Refrontolo (Treviso), e lei, Teresina, di Vicenza. Due
degli ottocentomila “ritals” che dopo la Grande Guerra invasero la Francia per
occupare le campagne svuotate dalle trincee. Confinati in una landa abbandonata
e da bonificare, di sassi e malerbe, in Aquitania, Sud-Ovest della Francia – il
posto più lontano dal Veneto. Nell’ostilità praticamente universale, della gente,
dell’amministrazione. e della politica.
Questo
primo romanzo è il racconto, duro, durissimo, di questa povertà e dell’isolamento.
“In un paese di paludi, piovischio e foschia”. Inès, terza di cinque sorelle,
Elsa, Gilda, Annie, Anabel, ha scoperto il mondo alle elementari. Un mondo
ostile. “A scuola”, spiegherà così in sintesi la materia del racconto, vissuto
dall’alter ego quattordicenne, Galla, “maestri e allievi mi picchiavano perché ero
diversa. Soffrivo e mi vergognavo. Colpevole di essere povera. Colpevole di essere
altro”.
Colpevole
di non essere francese. Il romanzo è anche di un’estraneità. Voluta, dichiarata, anche se non vissuta. Alla Francia, da insegnante
di francese, e scrittrice francese. Dovette imparare il francese a scuola, a casa
parlavano la lingua della madre, il vicentino. Isolata e osteggiata per questo,
e per essere povera, poverissima. Poiché era nata in Francia, è stata naturalizzata di diritto francese, e questo la spoglia ancora di più: “Non ero francese
e non ero più italiana, non ero niente”. Fino all’ultimo, è morta nel 2007, di
settant’anni. A 67 anni avendo ribadito: “Non mi sono mai sentita francese”.
Questo
e i successivi romanzi di Cagnati sono di una sorta di rancore – la scrittrice,
che ora si riscopre in Italia e in America, è rimasta per questo parecchio
isolata in Francia. Di non essere italiana, come era cresciuta, e di non sentirsi
francese. Il suo libro di maggior successo, “Génie la matta”, dedicò alla madre
compitandone il nome in italiano, Térésina Stédile (qui purtroppo ricorre un Antonnella, per una delle sorelle). Ma un rancore non sterile:
“Con la mia testimonianza ho voluto rendere meno assurde certe vite fatte solo
di miseria”, ha spiegato in una rara intervista. Il giorno di vacanza è il
giorno in cui tutte le disgrazie culminano - il sabato che Galla, convittrice
interna a 35 km da casa, decide di tornare dalla madre con la vecchia
bicicletta. E il padre manesco la lascia fuori casa la notte. Un racconto serrato di poche ore. Di solitudini e emarginazione, alla Olmi. Un raro caso di scrittura, di creazione letteraria - di scrittura da autore.
Inès
Cagnati, Giorno di vacanza, Adelphi,
pp. 151 € 18
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