martedì 9 dicembre 2025
Il governo si fa il primo gruppo bancario nazionale, senza opposizione
Il governo è entrato come un bulldozer
nel mondo bancario e del risparmio, nel silenzio, anche delle opposizioni.
Con Mps-Bpm-Mediobanca ha già il terzo gruppo bancario nazionale, e con l’assorbimento
in corso di Generali si farà il primo. Per bancassurance, che è il settore più
redditizio, e per attivi. Nel silenzio delle opposizioni, che pure su ogni
altra quisquilia sono in armi ogni giorno e ogni momento del giorno.
Ammuìna sui fondi russi
È
tema obbligato, da mesi, l’utilizzo delle riserve finanziarie e monetarie russe
in Occidente, e degli investimenti di soggetti russi in titoli del Tesoro sempre
in Occidente. Che non si può fare in base al diritto internazionale privato. E
a lume di logica: il mondo disinvestirebbe dal debito occidentale.
È
tema obbligato praticamente solo in Italia. Sulla base di una ipotesi della Commissione
di Bruxelles. Che però è una parte dei servizi finanziari della
Commissione. Ed è stata avanzata a titolo dissuasivo nei confronti di Mosca.
Una ammuìna finanziaria – faciti
‘a faccia feroci. Come quella degli aiuti militari all’Ucraina, che di mese
in mese si rinnovano, con processione di Zelensky in ogni capitale, ma non si vedono
sul campo.
L’amore per caso
Una gradevole commedia all’americana, con poca suspense,
e lieto fine assicurato. Un maturo ma giovane uomo d’affari è irresistibilmente
attratto da un’aspirante ballerina un po’ sventata, conoscenza occasionale di
aeroporto – da cui iltitolo. Che convive con una coetanea incinta, di uno che
non ne vuole sapere, nemmeno di lei. E con un farfallone servizievole, il
“devoto delle donne” - a tempo perso toyboy
della padrona di casa cinquantottenne, per farsi ridurre l’affitto. L’aspirante
ballerina è ovviamene anche lei attratta, ma non ne vuole sapere: non vuole protezioni
né raccomandazioni.
Una tramina leggera. In una Napoli perfetta, senza
traffico, senza rumori, gentile e colorata. Un racconto che si anima da solo,
anch’esso senza spinte, né artifici né sorprese - sapendo il finale, si gode di
più (vediamo come ci si arriva)? O per l’aderenza degli interpreti ai
personaggi, un casting curato: Denise Tantucci e Francesco Arca nei
ruoli principali, i debuttanti Erasmo Genzini e Anna Lisa Pierro compagni di
casa, e di contorno grandi professionisti, Beppe Servillo vecchio zio che ha
ballato con Nureyev e Vassiliev, Mauro Graiani
omo-immagine, che scombina e combina i piani, Rosalia Porcaro cui basta
la sola presenza per dare corpo alla suocera che non ne vuole sapere.
Manfredonia, il regista dei Cetto La Qualunque, qui torna alle radici
familiari, dei Comencini. Della misura, nell’introspezione e nel ridicolo.
Giulio Manfredonia, Hotspot, amore senza rete,
Sky Cinema
lunedì 8 dicembre 2025
Secondi pensieri - 574
zeulig
Consapevolezza – Un lusso, Dostoevskij lo fa dire dal
memorialista delle sue “Memorie del sottosuolo”, a inizio racconto. E una condanna,
dopo un certo punto: la consapevolezza ci vuole, dice il narratore di Dostoevskij,
ma fino a un certo punto. Quella, p.es., “di cui vivono tutte le cosiddette persone
spontanee e gli uomini d’azione”. Quanto basta per (soprav)vivere e agire, modestamente.
“Sì, perché l’autentico, diretto, immediato frutto della consapevolezza è
precisamente l’inerzia”.
L’attivismo in particolare è stolido: “Lo ripeto, con forza anzi lo ripeto tutte
le persone spontanee e gli uomini d’azione sono tali appunto perché sono ottusi
e limitati”.
La filosofia allora? Come dire che la conoscenza (qui chiamata
consapevolezza) non ha senso né valore. Non buono. Una negazione inattuabile,
se non che, successivamente – successivamente a Dostoevskij - c’è stata la
conoscenza in forma di psicanalisi. E l’analisi, la psicoanalisi, non farà più
danni di quanti benefici (terapeutici) possa comportare? Dostoevskij – il suo
narratore - sapeva già di sì: “Forse che la persona consapevole può avere il benché
minimo rispetto di sé?”
P.es.: “La consapevolezza del torto subito tramutandosi in spirito di vendetta
riduce l’uomo a un vendicativo isolamento”.
Dostoevskij, certo, potrebbe parlare per sé, della tentazione, o del beneficio,
di isolarsi dopo l’ingiusto confino?
Intercultura – S’intende, più o meno scopertamente,
accettazione, se non pratica, di fedi diverse – fedi religiose. Di religioni
cioè, che invece sono patrimoni molto caratterizzati, quasi esclusivi, per
impianto e, soprattutto, per concezione storica, di molteplici eventi, accaduti
o procurati, azioni e reazioni. Come dialogare non nel senso di conoscere ma di
appropriarsi, fare proprie, realtà che sono per natura, per conformazione e
sviluppo, diverse e anche antitetiche, e molto spesso dichiaratamente ostili,
nei propositi o nella conformazione.
Irrazionale – S’intende tutto ciò che non è scientifico.
Mentre è “nativamente”, in radice, inizialmente, illogico, inconseguente,
assurdo, e anche volontaristico - voler uscire dal consequenzialismo, anche soltanto
dall’abitudine, dal modo di essere. Una conformazione che fa della razionalità non
l’innervazione del mondo, ma un cantuccio, o un circoletto, dentro una grande
nuvola, una meteora, una galassia.
Male – “Unde malum”, l’eterna questione di chi crede
in un Dio creatore-salvatore, può risolversi come la scrittrice Flannery O’Connor
argomenta nei suoi racconti – e nella corrispondenza: il male è il mondo, da
cui ci si salva per la grazia di Dio. Il
male come un sostrato, un campo, o un mezzo divino per essere benedetti da Dio,
prescelti, folgorati dalla sua grazia – dal suol arbitrio.
Che spiega il male (ne dà una spiegazione), ma annienta Dio, la creazione.
Il male resta l’anti-creazione.
Stupidità –
È il nostro substrato, della psiche e dell’esistenza, giacché si procede
per trials and errors.
Il libero arbitrio è farcito di (è la voce della) stupidità.
“Signori, poniamo che l’uomo non sia stupido” – Dostoevskij, Memorie del
sottosuolo”, § VIII – “e in effetti, che egli sia stupido non lo si può proprio
dire, se non altro per l’unica ragione che, se fosse stupido lui, chi rimarrebbe
più da potersi dire intelligente?” (ed. Oscar, p. 44).
Verità – Resta -residua – dalle religioni. Ma anche lì con
dubbi.
È il contrario della confusione (mentale, emotiva), o della furbizia, per
quanto introiettata, e quindi indismissibile. Accertabile (esistente) benché
latitante, in dipendenza da “ordinamenti” storici.
Volontà - È
per natura incerta – volubile. “Se davvero si riuscisse un giorno a scoprire la
formula di tutti i nostri desideri e i nostri capricci, ovvero ciò da cui essi
dipendono, e le leggi precise per le quali essi si producono, e il modo in cui
essi effettivamente si appagano, e ciò a cui tendono nella tale e nella
tal’altra occasione, ecc. ecc., se si riuscisse cioè a scoprire la loro vera
formula matematica, magari allora l’uomo potrebbe anche smettere di volere, e
anzi, smetterebbe di certo” - F. Dostoevskij, “Memorie del sottosuolo”, § VIII,
Oscar p. 40.
zeulig@antiit.eu
Ombre – edizione speciale
“L’EUROPA
SOTTO ASSEDIO”
“Mosca si allinea all’attacco di Trump: «Condividiamo
la sua visione sul Vecchio Continente»
“Musk ancora contro la Ue: Quarto Reich”
Cohn-Bendit: “Vogliono eliminarci, è un nuovo patto
Molotov-Ribbentrop” (Cohn come Coen, non il con francese).
(la Repubblica”)
Amore e morte nella topaia
Una miniserie a forte impatto emotivo, con tentativi
di stupro, adulteri, due assassinii e un suicidio. Un dramma, una serie di drammi,
per niente, per nessun motivo e nessun obiettivo, se non la voglia da “piccolo-borghese
provinciale”, come si sarebbe detto una volta (la solita Bovary, più che lady Macbeth),
di andare a letto con chi vuole – insomma, amore e morte. Sopraffatto da una
musica debordante, come nelle cavalcate dei film – Šostakóvič fu fertile autore
di musiche da film, all’opera è arrivato praticando da ragazzo questa arte: mai
una pausa, un idillio, un sospiro.
Chailly, l’orchestra e il coro della Scala esaltano
il ritmo della scrittura musicale. La messinscena e gli interpreti l’appannano.
L’appiattiscono in una sorta di commedia all’italiana. No, di attardato, o neo
(v. il cinema coreano) neorealismo: troppi corpi sfatti, di cinquanta-sessantenni,
per una regia che li vuole preferibilmente in canottiera sudaticcia alla Bossi,
e anche nudi. E la poesia si perde. Anche il dramma, lo scontro degli opposti
egotismi. Si salvano i personaggi di contorno, per voce, intonazione e gestualità:
il basso Alexander Roslavets, suocero di Lady Macbeth, Ekaterina Sannikova, brillante
“operaia”, concupita dagli omaccioni, il baritono-basso Ivan Shcherbatykh, il capo-reparto
che la palpeggia. Le voci principali, Sara Jakubiak e Najmiddin Mavlyano, la
Lady e l’amante Sergej, sono incolori. Per
effetto della scena, dei costumi, dei debordanti poignets d’amour? Lei
ha un giustificativo: deve lavorare molto, per tutt’e quattro gli atti, su più
di un registro.
Si vuole “Lady Macbeth” un’opera femminista, ma non
lo è. Lei difende, sì, una serva da un tentativo di violenza sessuale. Ma è, si
sente, colpevole, perfino di fronte a una polizia corrottissima. E muore per i
dispetti di un’avida e furba compagna di sventura in Siberia. Semmai, un’opera
libertina. Sarebbe, con altro approccio registico che non questo alla Scala.
Una critica della “Pravda”, il temibile giornale del
partito Comunista Sovietico, alla prima stagione dell’opera, nel 1936, che si
vuole scritta o dettata da Stalin, una stroncatura senza appello, ne ha fatto
un oggetto di culto. E per molti aspetti lo è ancora. Per il soggetto: non si è
osato nulla di dremmaticamente così ardito. E per la tensione sonora, che è
costante. Ma, si direbbe, da vera “musica da film”, su una partitura a un solo tempo,
se ci fosse, l’“incalzante”. Qui peraltro su fondo ammosciante.
La regia, molto vantata, di Vassily Barkhatov (lui,
sì, personaggio da “Lady Macbeth”, con un gigantesco ciuffo biondo a volute
molto curate – ogni “uscita” gli deve prendere molta cura), ambienta il dramma in
una topaia. Anche nelle scene in cui, per dire l’affluenza che circonda la Lady,
si sta dentro un ristorante apparecchiato, di molti tavoli. Un fondale grigiotopo.
Per lo più di luci spente. E costumi marroncino.
Undici minuti di applausi, ma alla Scala alla prima sono ormai obbligati. Pochi alla tv, pochissimi per Rai1, meno di un milione.
Dmítrij Dmítrievič
Šostakóvič, Lady Macbeth del distretto di Mcensk, Teatro alla Scala
domenica 7 dicembre 2025
Ombre - 802
Ci sono due posizioni che ci concernono nel nuovo documento
americano di difesa nazionale, distinte e chiare. Una è che l’Europa della Nato
deve avere un potenziale e una strategia di difesa, , non possono – non devono,
non vogliono, le priorità americane sono altre - garantirgliela gli Stati Uniti.
L’altro è politico, e riflette l’attuale amministrazione: l’irritazione verso
un’Europa illiberale per essere troppo liberal – di sinistra all’americana,
woke nel gergo attuale: per il primato delle minoranze.
È generale, ma curiosa, l’indignazione per l’aggiornamento
della National Security americana – che al solito si imputa al “tycoon”. Curiosa
perché il documento dice la verità. Oggi forse in maniera più rude (non nel
contest o), ma lo dice da tre decenni, più o meno. L’Europa era famosa per le
“scoperte”, ogni tanto scopriva un’altra parte del mondo. Adesso che dovrebbe
scoprire che è nuda ha rigurgiti di pudore – cattivo Trump, cattivi americani.0
Ma, poi, si dice Europa ma è l’Italia: nei media transalpini
tanto sdegno – o è paura – non si trova. L’informazione in Italia è sempre al
tempo del Pci, dell’anti-americanismo.
L’Italia è andata ai sorteggi per il Mondale americano
di calcio nel “quarto pot” (potenziale) o “ovr” (valutazione complessiva) della
Fifa, l’ultimo, in questa fascia: Capo Verde, Curaçao, Giordania, Ghana, Haiti
e Nuova Zelanda. E ha problemi a vendere in tv la serie A.
Dopo anto battage contro, l’editore di estrema
destra alla fiera del libro di Roma può vantare di avere venduto tutto nei
primi due giorni, e di avere la fila dei visitatoti-curiosi. Magari non è vero.
Ma: 1) sicuramente è passato dall’anonimità di provincia, a San Casciano Val di
Pesa, a editore d’area di primo piano, e 2) difficile pensare che anti neofascisti abbiano pagato il biglietto,
10 euro, e si siano sbobbati una fila per solidarietà: Oppure: c’è una solidarietà
di destra, da perseguitati? Ahi, ahi!
La separazione delle carriere in magistratura, tra inquirenti
e giudicanti, è attiva in Portogallo da mezzo secolo, dalla “rivoluzione dei
garofani”, e funziona. Tanto che la riforma Nordio viene detta a Montecitorio
“alla portoghese”. Però il sindacato degli inquirenti portoghese fa comunicati per
dire che la in Italia è “un pericolo per la democrazia”. I giudici deludono non
tanto per non sapere o volere amministrate la giustizia ma per la rozzezza.
La giudice Albano, che a Roma ha presieduto il sinedrio
delle giudici incaricate di bloccare il progetto Meloni di tenere fuori d’Italia
gli immigrati irregolari in attesa del riconoscimento del diritto d’asilo (senza
la possibilità, cioè, di eclissarsi nelle more dell’accertamento, che è la
chiave della tratta mediterranea dell’immigrazione: metti piede in qualche posto
in Italia ed è fatta) va al festival Meloni, Atreju. È la “dialettica politica”,
spiega. Che i migranti si affidino ai mercanti, strapagandoli, anche se ogni tanto
muoiono, a decine, a centinaia. La politica del cinismo? Albano ha già fatto carriera
– presiede lo speciale Tribunale anti-Meloni – ma evidentemente non le basta.
Il presidente cinese Xi siede a una manifestazione all’aperto
con cappotto ad alti revers – la Cina ha clima continentale, il freddo d’inverno
è duro. Accanto a lui il presidente francese Macron sorride in giacchetta e camicia
aperta. L’immagine dell’Europa, frilli e autocelebrazioni.
Il giornale di Xi, il “Quotidiano del popolo”, la “Pravda”
cinese, del partito Comunista Cinese, fa la prima pagina con Macron in varie
pose, tre o quattro fotografie. Nelle pagine interne comunica in piccolo, comunica
lo sguinzagliamento della flotta cinese in tutte le aree contese, col Giappone,
con le Filippine, e con la Russia – con la quale fa congiuntamente esercitazioni
navali.
“Non tutti sano che tra gli anni Cinquanta e i Novata
non era permesso agli emigrati di ospitare i propri figli in casa, in
territorio elvetico”, Andrea Biavardi, il direttore di “Oggi”. I genitori di Biavardi
erano emigrati in Svizzera, ma sua madre per partorire dovette spostarsi a
Varese. Biavardi è del 1958.
Retromarcia del Pd su tutti i fronti, Torino, Napoli,
Firenze, Bari, Reggio Emilia, Bologna, che aveva eletto Albanese loro concittadina
ad onore, con le “chiavi della città”. Quelli di Jesi e di Fabriano invece tengono
duro, non si fanno restituire le chiavi. Tutti sindaci Pd di matrice ex Pci.
Che quindi non ha finito di fare danni? O è sempre il “partito dei sindaci”,
che invece che amministrare pensano a pazzo Chigi? Albanese, di che eroismo è portatrice,
giusto perché è un personaggio tv?
Sinner in vacanza non ha trovato un minuto o un social
per dire una parola in morte di Pietrangeli. Non per sbadataggine, è coadiuvato
da un esercito di collaboratori, all’immagine, alla pubblicità, ai social
stessi. Non è disattenzione. Come tutti i sudtirolesi, italiani ormai da un secolo,
Sinner accetta l’Italia perché lo arricchisce – chiedere a tutti gli altri tedescofoni,
dei tirolesi del Sud. Ma senza gratitudine, povere vittime.
Ilary Blasi, dopo avere tradito Totti, suo marito,
prende a perseguitarlo quando lui si fa un’altra vita. Tra le tante sue
iniziative, una denuncia per abbandono di minore. Solo perché una sera Totti è
uscito a cena con la sua nuova compagna. La bambina lasciando accudita da baby-sitter
– come i Carabinieri hanno accertato, che la Blasi aveva allertato. Su denuncia
della Blasi si fa un processo. E non per ridere. Poi si dice che si fanno leggi
contro i giudici. Iù che una legge ci vorrebbe un codice decenza nella giustizia.
Lo scrittore curdo di Turchia Burhan Sönmez, presidente
del Pen International, denuncia la mostra romana “Più libri, più liberi”: “La situazione
degli scrittori nel mondo” è in netto peggioramento, ”molti nostri membri sono
attualmente in carcere”. Con un innuendo come se fossero in carcere in Occidente.
Mentre sono tutti in carcere nei paesi mussulmani, la Turchia soprattutto,
l’Algeria – e qualcuno in Venezuela e in Cina.
Dopo il siluramento, obbligato, di Yermak, l’alter
ego di Zelensky, si fanno lunghe liste di affaristi e affari sporchi in questi
anni di guerra, e quasi sempre con le forniture belliche. Prima non si sapevano
o non dicevano? Si sapevano, se le ricostruzioni sono così accurate, dettagliate.
Non ha trovato molti cristiani il papa in Libano, dove
erano i più numerosi dopo gli islamici -come un tempo in Palestina, in Iraq, in
Siria, in Turchia. Gente pacifica, ma lo stesso invisa a islamici ed ebrei,
anche non integralisti – in Egitto ci hanno provato, ma i Copti si sono difesi,
col potere non con la chiesa.
È sempre record di occupati, e di occupati a tempo
indeterminato. Con lo spread sotto quota 70. Sono numeri importanti per l’Italia
– soprattutto se messi in rapporto con l’abbandono della siderurgia e dell’automotive,
del settore metalmeccanico nell’insieme. Ma nessun commento positivo. Ragioni di
opportunità politica? Cioè, i media importanti sono per il Pd? Che però
appartengono a ricchi e riccastri, Elkann, Caltagirone, Cairo. Il Pd è la
scelta dei ricchi e riccastri?
Né si può dire che gli editori ricchi e riccastri navighino
“a sinistra” perché è di sinistra il p0bblico dei lettori. Dato che i lettori
sono in calo costante. È solo opportunismo: l’opinione pubblica è infetta.
Vincono tutti le elezioni, un po’ a destra, un po’ a
sinistra. Ma prendono meno voti, a destra e a sinistra. Vincono le percentuali.
Capodanno con Topolino
“Una cena speciale” è quella di San Silvestro per
Montalbano, di una superinventiva che è tenuto a escogitare per passarlo da solo
in casa di Adelina pea mangiarsi “otto suplì”, come una corsa a ostacolì per evitare
tutti coloro che lo vorrebbero al “veglione”. Finisce male, nel senso che finisce
a un veglione in maschera, di maschere di Topolino, il peggio del peggio, perché
Livia si materialzza all’improvviso e, non
invitata da Adelina, “siccome che Adelina e Silvia non si facivano sange”, si è
impuntata. Ma lì ha una sorpresa che gli risolve molti problemi. Anche con gli
arancini.
È l’aneddoto migliore… Testi un po’ annacquati – a
Capodanno siamo tutti buoni?
Si riedita la raccolta del 2012 con grafica attraente,
ma di rilettura stanca.
Aa.vv., Capodanno in giallo, Sellerio, pp. 280,
€ 12
sabato 6 dicembre 2025
Trump impone all’Europa la difesa comune
La vera novità della National Security
Strategy americana che indigna l’Europa è che gli Stati Uniti vogliono che l’Europa
impari a difendersi. Detto brutalmente, nello stile di Trump (ma forse nemmeno:
nei media americani, pure attenti a ogni detto o fatto di Trump, non se ne parla),
che però è anche l’unico linguaggio che l’Europa capisce.
A ottanta anni dalla fine della guerra l’Europa
non ha una difesa: una organizzazione militare, armata adeguatamente, con piani
strategici aggiornati. La difesa è anzi la cosa da cui finora più ha rifuggito.
Era stata la primissima idea di Europa,
insieme con la Ceca (carbone e acciaio in comune). René Pleven, ministro della Difesa
e poi presidente del consiglio a Parigi nel 1950, discutendosi della riammissione della Germania alla spesa
militare, propose di imbrigliarla in una Comunità europea di difesa (Ced): la
Ced fu firmata, dai futuri fondatori della Comunità europea, ma la stessa Francia
la bocciò nel 1954 con referendum. Poi se ne è molto parlato, ma per non farla.
La Ue che grida “al lupo, al lupo” contro
Putin, che afferma che la Russia sta per invaderla, che si svena con ondate
inutili di sanzioni, ne è il segno: l’Europa è imbelle. Spende molto in armi,
ma a nessun effetto: armi da parata. Spende per cinque (o sono sei?) caccia
diversi, otto (o dieci?) carri armati diversi, missili di ogni tipo e provenienza,
e nessun piano strategico comune, o coordinamento, a parte le chiacchiere, e le
scartoffie.
Cronache dell’altro mondo - migratorie (371)
“Il clero di San Diego offre sollievo agli
immigrati – e uno scudo contro l’Ice (Immigration and Customs Enforcement – la polizia
di frontiera, n.d.r.). In nessun’altra città la comunità religiosa si è mobilitata
su così larga scala per difendere gli immigrati dal governo federale”.
Nel caso che si segnala si tratta della
comunità cattolica. A iniziativa del primo vescovo nominato in America da Leone
XIV, a maggio, Michael Pham, un vietnamita arrivato negli anni 1980 come
rifugiato. Con l’ausilio del parroco di Nostra Signora di Guadalupe, nel Barrio
Logan, Scott Santarosa. Che s’incrocia in abito talare, ma “è la versione statunitense
di un teologo della liberazione”.
“All’inizio della guerra agli immigrati
del Trump 2, il vescovo di San Diego, Michael Pham, scoprì che l’Ice era meno
propenso ad arrestare in massa gli immigrati in presenza di membri del clero.
Così decise che il clero si sarebbe recato in tribunale ogni giorno di
sessione, e affidò a Santarosa la gestione del progetto – noto come Faith, “faithful
accompaniment in trust and hoe”.
Santarosa ha creato un San Diego
Organizing Project, al quale collaborano un centinaio di volontari. Che presidiano
gli uffici dell’Ice e i tribunali.
(“The Nation”)
Toccherà rifare il “Viaggio” di Céline
L’amministratore delegato e direttore editoriale di
Adelphi analizza “Londra”, il corposo inedito ricomparso “un po’ misteriosamente
una sessantina di anni dopo la morte dell’autore”. Per cercare di datarne la scrittura.
“Il coro degli studiosi, con rare eccezioni, è unanime: Guerra e Londra”, due degli inediti fatti ritrovare
tre anni fa e già pubblicati, “sono stati scritti tra il ’34 e il ‘35”. Tra i due
grandi romanzi di Céline, dopo il “Viaggio al termine della notte” e prima di “Morte
a credito”. Colajanni non ne è convinto. Basandosi sulla corrispondenza, e sulla
mole del lavoro, spiega persuasivamente che i due testi dovevano fare parte del “Viaggio”,
ma poi sono rimasti fuori. Per motivi che non sappiamo. Anche se con probabili
rilavorazioni successive.
Un riesame che Colajanni basa sulla corrispondenza.
Ci sarebbero altri elementi, si può aggiungere, stilistici e (orto)grafici, per una diversa, più probabile,
datazione. Resta il fatto che “Céline a quei
manoscritti teneva moltissimo, e ha continuato a rimpiangerli per tutta la vita”.
Un saggio alla fine più complesso e ambizioso che la
datazione degli inediti. L’intervento su “Londra” porta a un riesame del “Viaggio”,
del progetto e della scrittura del “Viaggio”, l’opera prima (in realtà no, ma è questione complessa) e più importante di
Céline. Colajanni ne avvia la rilettura. E individua, attorno al “Viaggio”, una
sorta di “ciclo di Bardamu”, il nome diminutivo, ironicamente spregiativo, che
lo scrittore si dà nel primo ciclo di narrazioni, nei primi anni 1930.
Roberto Colajanni, I castelli in aria di Céline,
“La Lettura” 16 novembre 2025
venerdì 5 dicembre 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (616)
Giuseppe Leuzzi
Si legge su Instagram una tabellina degli
“espatriati” per regione, costruita all’inverso, dal meno al più:
10.Calabria 290.00
9. Puglia 300.000
8. Toscana 320.000
7. Emilia-Romagna 420.000
6. Piemonte 470.000
5. Lazio 510.000
4. Campania 530.000
3. Veneto
614.000
2. Lombardia 690.000
1. Sicilia 844.000
Uno scherzo? Non è detto il periodo, né la
fonte, né i motivi. Ma la migrazione dice una costante “normale”, un modo di essere
e di vivere come un altro.
Parla sul “Corriere della sera” Allegra
Gucci, che a 14 anni ha perso il padre Maurizio, fatto assassinare dalla madre
Reggiani, e per i sucessivi trenta si è occupata della mare assassina, in carcere
e fuori. Sempre insolentita, da bambina e dopo, dalla stessa. E dalla madre di
lei – “una dona malvagia”. Entrambe di Vignola, il cuore dell’Emilia tutta
cuore. Che eprò non si dice: la malvagità non fa parte del “racconto” Emiliano.
“Data Center, 14 nuovi progetti, per un investimento
da 2,5miliardi”. Tutti attorno a Milano. Ricchezza chiama ricchezza. Magari
saranno serviti da tecnici meridionali, magari formati al Sud, ma il “processo
di sviluppo” no si raddrizza, al meglio va per accumulo – chi più ha più ha.
Il “Sole
24 Ore” compila la graduatoria della “qualità della vita” in cu le ultime 25
posizioni sono di città meridionali. E nelle prime 40 c’è una sola, Cagliari - peraltro
39ma. Senza ironia. È una classifica dura, ma per Miano, per chi l’ha
compilata.
La giustzia settentrionale
Dialogo sul “Corriere
della sera” tra Giuseppe Guastella, corrispondente a Bruxelles, e Alessandra Moretti,
eurodeputata del Pd, inquisita dall’apparato repressivo belga:
“Lei è sospettata di associazione
criminale finalizzata alla corruzione”.
“Non mi viene imputato nessun passaggio di denaro. Non ho mai ricevuto
benefici, regali e vantaggi da nessuno e tanto meno dal Marocco o dal Qatar”.
“Le contestano viaggi in questi
due Paesi”.
“Smentiti documenti alla mano. Mi è stato contestato di aver viaggiato più
volte in Marocco, dove non ho mai messo piede in vita mia, come ho dimostrato
producendo i miei passaporti dai quali emerge chiaramente. Mi è stato
contestato che sarei andata ad assistere a una partita di calcio durante i
Mondiali in Qatar, e anche questo ho smentito. Mi è stato contestato di aver
fatto dichiarazioni in favore del Qatar, che poi sarebbe un mio diritto, ma ho
prodotto in commissione un video dal quale emerge che non è vero. Contestazioni
tutte smaccatamente false”.
Questo il giorno in cui il Belgio
arrestava l’ex ministro degli Esteri Federica Mogherini, in qualità di rettrice
del Collegio d’Europa, l’ambasciatore Stefano Sannino, direttore generale della
Commissione per l’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa), e un ex direttore
del Collegio, Cesare Zegretti. Con sei imputazioni, tutte gravi: turbativa d’asta,
frode in appalti pubblici, conflitto d’interessi, violazione del segreto
professionale, violazione delle norme sulle gare d’appalto, e naturalmente
corruzione. Poi i tre sono stati rilasciati senza nessuna restrizione. Ma dopo
che la carcerazione aveva fatto la cronaca di tutto il mondo per tre o quattro
giorni, che Mogherini si era dimessa, che Sannino se n’era andato in pensione.
Un processo mediatico, di grande impatto. A carico di tutti italiani.
È il secondo. Il primo è quello
detto “Qatargate” nel qale ha impattato Moretti. Anche qui arresti, tre anni fa.
Di tutti ialiani – con la vice-presidente del Parlamento europeo, Eva Kaili,
greca, perché moglie di un italiano. Il giudice di quel caso finì lui per primo
malamente, e il processo dopo tre anni ancora non è stato istruito. Il Belgio non
era il posto giusto per un’Europa che avesse avuto ambizioni. È razzista – lo è
stato feroce con gli italiani quando aveva le miniere – ed è tribale. Non per
nulla inviso ai franecsi, quando era francofono – anche ai francesi esuli, Victor
Hugo, Baudelaire. Insomma, un Nord con molti limiti, conclamati. Ma si prende
sul serio – viene preso sul serio dai media italiani. Il Nord ha sempre
ragione - Nord, basta la parola.
Il “trattameto inumano” che Eva
Kaili, la vicepresidente greca sposata con un italiano, subì a Natale del 2022
in carcere – sedici ore in camera di sicurezza, senza cappotto e senza coperta,
con la luce accesa, con perdite copiose per il ciclo, senza potersi lavare – “è”,
secondo i suoi avvocati, “estremamente rara, la si usa nei crimini di mafia”.
Questa invece, se non fosse stata una tortura, si direbbe una vendetta:
italiani tutti mafiosi, nel tutto è mafia – nel Qatargate e nel Collegiogate
sono tutti settentrionali.
Il Sud indigesto a Pasolini
Nelle molteplici celebrazioni
di Pasolini si trascura la trascuratezza per il Meridione – quando non insorge
per l’urgenza sessuale. Non c’è traccia nella sua straripante opera. Nemmeno
quando per ragioni di location e di budget dovette lavorarvi,
come nel “Vangelo secondo Matteo”. Ha vari accenni, specie nelle prose
giornalistiche, a giovani napoletani, calabresi, africani, ma giusto per il
bisogno sessuale, vissuto come vergogna e quindi rifiutato con tutti i
comprimari – nulla al confronto con l’esasperato sentimentalismo di analoghe
esperienze della prima mitizzata giovinezza, nel Friuli di pianura. Il rapporto
speciale, “paterno”, che aveva instaurato con Ninetto Davoli, calabrese, ruppe
quando Ninetto decise di sposarsi.
Qualche apprezzamento, ma
locale, e sempre legato al sesso, giusto in “La lunga strada di sabbia”, il reportage
delle coste d’Italia che fece nel tra il giugno e l’agosto del 1959,
commissionato dal mensile “Successo”. Sembrerebbe di no, arrivato al Circeo
annuncia: “Il cuore mi batte di gioia, di impazienza, di orgasmo. Solo, con la
mia millecento e tutto il Sud davanti a me. L’avventura comincia”. Ma non sa
che dirne, eccetto qualche luogo comune – come il viso scuro dei mafiosi…
Giusto a Portopalo si emoziona: “La gente è tutta fuori, ed è la più bella
gente d’Italia, razza purissima, elegante, forte e dolce”.
Nel poemetto “L’umile Italia”,
della raccolta “Le ceneri di Gramsci”, 1957 (ma già pubblicato nel 1954, sulla
rivista “Paragone-Letteratura”), mette a fronte il Meridione, nella
fattispecie dell’Agro romano, di cupa tristezza, e la limpida luminosità del Settentrione.
Il Nord, connotato dal volo delle rondini, è puro e umile, il Sud è “sporco
e splendido” – l’antinomia del peccato. “È necessità il capire / e il fare: il
credersi volti / al meglio”, cercando di lottare, pur soffrendo, senza
lasciarsi andare alla “rassegnazione-furente marchio/ della servitù e del sesso
-/ che il greco meridione fa/ decrepito e increato, sporco/ e splendido".
Reggio Calabria, o
del sottosviluppo
Per il secondo o terzo anno
consecutivo “Il Sole 24 Ore” mette Reggio Calabria all’ultimo posto per qualità
della vita. Scandalo, proteste, il lungomare, lo Stretto, il museo, l’aria, l’università,
i licei, l’ospedale etc. - e poi, non è la città cn il clima migliore a dicembre, “Men’s Health” dixit? In buona fede, chi abita a Reggio fatica ad accettare
la degradazione. Per chi vive nel reggino no, compresa la cintura di paesini che
fanno la conurbazione di Reggio, da San Roberto e gli altri santi viciniori, a Fiumara,
Villa San Giuseppe, e giù, per gli stessi ex paesi ora rioni periferici della città,
Spirito Santo, Consolazione, Ravagnese, eccetera: lo stato di abbandono è
visibile, fisico, nella viabilità, nella segnaletica, nel disordine edilizio, nel
disordine. Come una putrefazione.
Dello stesso tipo è la
percezione nelle tre grandi aree della provincia, di cui Reggio è la “città
metropolitana”, che perciò dipendono da Reggio: la Piana di Gioia Tauro sul
Tirreno, la Jonica che ora si vuole Locride sull’altro versante, e nel mezzo le
pendici dell’Aspromonte. Di povertà in froma di degrado – in mezzo a consumi privati
in stile lombardo, voyant.
Nonché lo sviluppo, al Sud, comunque
a Reggio e dintorni, sarebbe più utile studiare il sottosviluppo, come si
sperpera il capitale invece di metterlo a frutto. Bisognerebbe studiare il
sottosviluppo perché delle tre province calabresi Reggio era in partenza, ancora
nel secondo dopoguerra e per tutti gli anni 1960, la più ricca e la meglio organizzata.
Poi, all’incirca con la rivolta “Reggio capitale”, si è abbandonata. La città
non si è amministrata, se non per un breve periodo in coincidenza con l’interramento
della ferrovia per magnificare il lungomare. Che portò all’assassinio di
Ludovico Ligato, il presidente di Ferrovie dello Stato che aveva propiziato l’opera.
Abbandonandosi a piccole mafie – che agivano alla luce del sole. E all’inerzia.
Mentre le province di Cosenza e Catanzaro, e le neonate province di Vibo
Valentia e Crotone marciavano spedite sulle regolarità della vita politica
(sanità, istruzione, comunicazioni, regolamenti edilizi, etc.). Con università,
ospedali, centri urbani regolati e curati.
Il passaggio di molti poteri alle ex province, specie le
strade, ha ridotto il reggino a una realtà impraticabile. Anche fisicamente, visibilmente
- oltre che politicamente, amministrativamente. Per frane, abusi, cattiva
manutenzione. E niente ospedali: la Regione non riesce a venire a capo dell’inerzia
reggina. Reggio ha avuto l’aeroporto da tempo immemorabile, ma i nuovi aeroporti
di Catanzaro (Lamezia) e Crotone lo surclassano – ogni anno di Reggio si discute
la chiusura.
Cronache della
differenza: Puglia
Bari festeggia san
Nicola, insieme a mezza Europa, da Rowaniemi a Venezia, di cui è compatrono con
san Marco, e alla Turchia – dove a Myra (Demre) ancora lo celebrano, benché in
ambito islamico. E di fama ora mondiale come Santa Klaus, il Babbo Natale. Era
di culto nell’odierna Turchia - Costantinopoli contava 26 chiese a lui dedicate.
Le spoglie furono rubate a Myra dai pugliesi, non dai veneziani: era il 1087 e
Venezia era di là da venire, mentre Bari e la Puglia erano molto “levantini” – ancora
nel dopoguerra avevano legami commerciali fino all’area del mar Nero.
Il trafugamento
delle reliquie da Myra la città celebra il 7-9 maggio, con un corteo storico che
è un festa anche per gli ortodossi, specie i russi.
Sentendo parlare i genitori di Tatiana, la giovane di Nardò, vedette di Instagram, si
capisce perché ha voluto isolarsi per una settimana – non osando abbandonare la
famiglia: due mondi antitetici. Uno passivamente tradizionale, seppure di buonissime
intenzioni (i genitori hanno adottato Tatiana e il fratello, ucraini) e un modo
di essere e vivere totalmente diverso – Nardò è una cittadina, ma pur sempre di
provincia.
Tatiana non ne poteva più? Tra due mondi, due generazioni, un salto, nn un moto progressivo, un adattamento. Tale è il balzo che ha fatto la Puglia in pochi anni. Tutta la Puglia, non solo Bari, dalla Capitanata a Santa Maria di Leuca.
L’ex presidente del consiglio e capo dei 5 Stelle
Conte si può dire l’ultimo “uomo forte” della Puglia, di cui è originario, dopo
Aldo Moro e Massimo D’Alema. Ma al voto regionale ha preso meno voti della Lega
di Salvini. La Puglia si libera dall’assistenzialismo? Votando Lega?
All’impovviso è
Foggia l’epicentro nazionale della malavita. Caporalato, pizzo, rapine, evasion
fiscal, e pure la violenza giovanile. L’Italia ha bisogno - l’abitudine - di un
centro del male. Su cui scaricare tutte le sue infamie. Era Palermo – non senza
ragione – poi l’improbabile ‘ndrangheta, proclamata tale dai servizi segreti,
ora Foggia. Senza una causa o congiuntura che vi porti. L’antimeridionalismo non
sa più che inventare?
Si vota in Puglia
per la Regione e molti capoccioni della politica restano fuori. Il più illustre
è Vendola, ma anche altri, specie del Pd: il capogruppo al consiglio regionale
uscente Paolo Campo, gli assessori Pd uscenti Stea, Amato e Lopane, Licia Parchitelli,
candidate di Elly Schlein, e il potente direttore 5 Stelle della Cultura,
Patruno. Mentre non si è potuto ricandidare il president uscente Emiliano, uno
di quelli che brigavano per il terzo mandato. Un voto contro il padrinaggio?
leuzzi@antiiti.eu
Scuola (di sesso) per generazione
Alla terza serie il format catalano Merlì vira sul generazionale. In aula professori amicizie all’antica e sesso eterosessuale. In classe turbe e
pratiche di monosesso. Con un senso di innaturalezza - di schematico. Che per lo spettatore è
stanchezza – ma anche Gassmann ha perduto lo sprint.
Audience in
calo, lo vedono tre milioni – pochi per Rai 1. Curiosa la differenza culturale:
il format risponderà allo spirito catalano, dei “primi sempre, in tutto”, l’Italia gradisce poco, va ancora col passo lento.
AA.vv., Un professore, Rai 1, Raiplay
giovedì 4 dicembre 2025
Cronache dell’altro mondo – giudiziarie quinquies (370)
“George Soros ha cambiato la giustizia
penale in America. Il finanziatore liberal ha speso decine di milioni di
dollari per influenzare decine di elezioni a procuratore distrettuale.
“Quando le pubblicità che
denigravano il procuratore distrettuale Jonathan Sahrbeck iniziarono a
diffondersi nelle cassette postali e in televisione circa tre settimane prima
delle primarie democratiche del 2022, sia lui che il suo avversario rimasero
ugualmente sbalorditi.
“Come molti attacchi alle campagne
elettorali moderne, gli annunci provenivano da un comitato politico
indipendente finanziato da un miliardario, in questo caso l’ex gestore di hedge
fund e filantropo liberal George Soros, che dieci anni fa si era
proposto di eleggere procuratori distrettuali che avrebbero indirizzato i
criminali della droga e i minorenni verso la riabilitazione anziché verso il
carcere, si sarebbero opposti alla cauzione in denaro per i reati minori e
avrebbero represso la cattiva condotta della polizia”.
(“The Washignton Post”)
“Billionaire Nation” - la nazione dei
miliardari - è una serie del “Washington
Post” che esamina come i più ricchi abbiano accumulato un potere politico senza
precedenti.
L’effetto Di Pietro a Bruxelles – o l’Europa abbandonata
Eva è Eva Kaili, greca, socialista, giovane, bella,
vice-presidente del Parlamento europeo. Rovinata a Bruxelles, nella carriera
politica e nella vita, da un emulo di Di Pietro, un avvocato che si era fatto giudice
istruttore per entrare poi da salvatore in politica, un certo Michel Claise (lo
fece, un anno dopo avere imbastito il caso, ma ebbe solo 5 o 6 mila voti –
peggio del giudice Ingroia). Carcerata e umiliata in vari modi, lei, suo padre,
suo marito, la figlia, di due anni. Il suo avvocato ne fece subito denuncia, senza
essere contraddetto: “Per sedici ore è stata in una cella di polizia, non in
prigione, e al freddo. Le hanno tolto il cappotto e le è stata negata una
seconda coperta. Aveva il ciclo con perdite di sangue abbondanti e non si è
potuta lavare. La luce della cella è sempre rimasta accesa e lei non poteva
dormire”.
La difesa-denuncia di Eva Kaili è d’ufficio. Ma
Guastella è il decano dei giornalisti a Bruxelles, sa come si fanno le cose attorno
al Berlaymont – e non aveva fatto un eroe in un primo tempo dell’avventuroso Claise,
“il coriaceo giudice”, “celebrato in patria come integerrimo paladino
dell’anticorruzione” (di Eva Kaili scrivendo tranquillo “arrestata in flagranza
per corruzione”)?
Una storia di varia umanità. E di malagiustizia – lo scandalo
per il quale Kaili è stata arrestata e torturata, il “Qatargate” dei cronisti
giudiziari, nessun successore di Claise si è sentito di portare in tribunale, a fronte di prove false. In
una capitale che si dimostra ogni giorno di più un handicap per l’Unione
Europea, per razzismo, più o meno velato (fa scandalo solo di italiani), divisioni
etniche, riserve sulla stessa Europa, burocrazia spaventosa. E ora pure i processi
“mediatici”. I belgi non si scoprono ora.
Un po’ di autocritica sulla politica fatta dai
cronisti giudiziari non sarebbe stata male.
Lodovica Bulian-Giuseppe Guastella, Il peccato di
Eva, Fuoriscena, pp. 240 € 17,50
mercoledì 3 dicembre 2025
Se la “pastetta” Mps-Caltagirone è del Tesoro
Ma allora, se è vera la testimonianza
di Orcel in aprile alla Procura di Milano, che Unicredit aveva offerto un
premio del 10 per l’acquisto di Mps - l’aveva offerto alla dirigenza del Tesoro
dopo averne parlato col ministro Giorgetti. E che la dirigenza ha rifiutato. Allora
l’indagine milanese sul “concerto” non è politica, c’è aria di concussione e di
corruzione. E qui si mette male per Mps, per i suoi nuovi padroni, e per la
burocrazia del Tesoro. Perché non c’è neanche bisogno di dimostrare la concussione\corruzione,
basta il “concerto”, che in questo caso è nei fatti.
“Su Mps una battaglia con due perdenti”,
questo sito poteva titolare quattro anni fa, il 31 ottobre 2021
http://www.antiit.com/2021/10/su-mps-una-battaglia-con-due-perdenti.html
Quindi il gioco del Tesoro era partito
prima del governo Meloni – col governo Draghi. Ministro del Tesoro Daniele
Franco, altro grand commis della grande burocrazia pubblica (Banca d’Italia).
Il Tesoro è sempre stato il dicastero
più professionale e considerato, vestale come nessun altro dell’interesse dello Stato – non si fa la “pastetta” Mps per incapacità. Ma è anche vero che Roma
è “prensile”.
La sindrome del tribunale
Si ragiona sui media italiani (solo
su quelli italiani) come se la Russia fosse davanti a un tribunale di
Norimberga. Trascurando il fatto che ha vinto la guerra e non la perde. Che la
Cina, e ora anche gli Stati Uniti, sono con la Russia. Che il tribunale che si
vorrebbe, la Corte penale dell’Aja, non eisiste per Cina e Stati Uniti, oltre
che per la Russia. Che a Norimberga si fece un processo politico, per quanto giusto,
che comunque ora è impossibile fare. Che a Ue non solo non ha vinto la, guerra,
ma è poca cosa negli assetti politici mondiali, che sono cosa diversa dal pil,
rispetto alla Russia.
Stupidità non è, i dati di fatto sono evidenti
– la stupidità vorrebbe compassione. C’è un moralismo d’accatto, vittimista,
che dovrebbe lavare l’inconsistenza e\o l’incapacità. Se la guerra in Ucraina è
la nostra guerra, ha ragione Putin: facciamola. Il problema è che gli Stati Uniti
hanno voluto punzecchiare la Russia, e l’Europa ne paga le conseguenze.
Ma neanche questo si dice, neanche ora
che gli Stai Uniti (non gli Stati Uniti dell’aborrito Trump, quelli di Clinton,
di Bush jr., di Biden e di Trump) tengono l’Europa di scorta.
“Montalbano” al lavoro in Toscana
Sotto un titolo improbabile storie vere. Di incidenti sul lavoro, mortali. Che sono numerosi, quasi quotidiani, e sempre per colpe, gravi. Alessio Vassallo lascia i panni grevi dello “scannatore” del “Giovane Montalbano” per quelli barbuti e tristi dell’ispettore, vedovo inconsolabile, che torna a Lucca, all’ufficio provinciale del Lavoro, da Reggio (Calabria) dove ha vissuto a lungo. Con una bambina vivace da accudire. E una metodologia e una capacità di analisi in grado di fargli risolvere ogni caso – due per puntata. Un “Montalbano” meno teatrale, ma altrettanto simpatico, e più vero - la materia lo è, nuova. Con ambientazioni e tempi convincenti e misurati - come nei “Montalbano” . Il buco nero della morte del padre tiene le fila della miniserie.
Un vecchio amico del padre, Cesare Bocci, lo ospiterà
provvisoriamente, accudendo con intelligenza e brio la bambina, mentre si spende
tutto nel “sociale” – ma con qualche segreto inconfessabile, del tipo racket.
Mentre due ex compagne di liceo, che al tempo “non lo vedevano”, al ritorno lo
scoprono attraente e anzi irresistibile, Francesca Inaudi e Silvia Mazzieri.
È come dice la regista, “un ispettore senza pistola,
che per risolvere i suoi casi non usa la violenza, ma la gentilezza, la
competenza, lo studio, l’intelligenza, l’empatia”. Per storie ricavate dalla cronaca.
Con metodologie, psicologie, maniere ricalcate sui libri di Pasquale Sgrò - lui
stesso ispettore del Lavoro a Lucca per lungo tempo, proveniente da “Reggio” (Motta San Giovanni). Ma senza “regionalismi”.
La Rai non ha
promosso la miniserie, che quindi ha debuttato senza le grandi file. I casi e
la qualità della sceneggiatura meritavano di più.
Paola Randi, L’altro
ispettore, Rai 1
martedì 2 dicembre 2025
Letture - 598
letterautore
Giorgio Caproni
- La scuola Primaria Statale ex Crispi - poi
Gianicolo, ora Ic Largo Oriani, in ossequio alla “riforma” Gelmini – si doveva intitolare
a Giorgio Caproni. Che vi aveva insegnato, e ha abitato una vita in una casa
dietro la scuola. Ma il consiglio d’istituto, cioè la dirigente del “plesso” e
i rappresentanti di docenti, personale ATA e genitori, ha detto di no, meglio l’indirizzo
postale.
Casanova – “Figlio di attori
e principe degli avventurieri, chierico a Venezia e in Calabria, segretario del
cardinale Acquaviva a Roma, soldato della Serenissima in Oriente, violinista
nel teatro San Samuele a Venezia”, Armando Torno, recensendo “Casanova” di Stefan
Zweig sul “Sole 24 Ore Domenica”: “Condusse vita randagia tra Dresda, Praga e
Vienna, Svizzera, Olanda, Russia e Polonia; particolarmente in Francia, dove
introdusse il gioco del lotto dopo essere fuggito dalla prigione dei Piombi.
Con il nome di cavaliere di Seingalt seduceva donne, duellava, praticò la magia;
riuscì financo a diventare confidente degli inquisitori. Morì bibliotecario del
conte di Waldstein a Dux, in Boemia”. E scrisse, in francese per farsi capire da
tutti, una “Storia della mia vita”, in quattromila pagine, tradusse l’“Iliade”
in veneziano in ottava rima, galoppante, e in toscano, scrisse racconti e commedie,
un romanzo di fantascienza, “Icosameron”, nonché saggi di storia e di politica,
e risolse problemi matematici.
Fellini – Riviveva
Kafka. Milo Manara, che ebbe un lungo rapporto con Fellini per un progetto che
poi restò sulla carta, “Viaggio a Thulum”, ricorda il primo incontro nel suo
studio in Corso d’Italia a Roma: “Mi colpì che il nome sul campanello fosse «Il
disperso». Capii in seguito che era un’allusione a Kafka”. Al romanzo
“America”, “il cui titolo in origine era appunto «Il disperso»”.
Ma era legato a una cultura popolare, dell’immagine. Sempre Manara:
“Fellini amava i fumetti e i fotoromanzi. Li considerava gli strumenti culturali
con cui la gente si avvicinava alle immagini e alla scrittura” - come nel Medioevo,
arguisce poi: “Gli affreschi nelle chiese erano come fumetti, che scatenavano
la fantasia degli umili fedeli più delle prediche”.
Italia – Fra le tante beatitudini
di Stendhal in Italia, questa del saggio “Dei pericoli della lingua italiana”
(“Memoria per un amico incerto nelle sue idee sula lingua” – l’amico sarebbe
Silvio Pellico) è fuori concorso: “Questo giardino dell’universo, questa bela
Italia che ai tempi dei Romani assoggettò tutti gli altri popoli, che sotto
Leone X li civilizzò, che sotto Gregorio VII, senz’armi, fu la seconda volta la
padrona del mondo allora tutto armato, e che oggi tagliata a
pezzi dalla forbice delle parche regna ancora sugli altri popoli con l’impero
dei più dolci piaceri. Da quando i barbari, stanchi delle loro
sanguinose contese, vollero dimenticare le ferite e cicatrizzare le piaghe dei
loro cuori, noi li vediamo accorrere nella nostra bella patria. Essi vengono a
consolarsi dei dolori della vita con gli accenti incantevoli di Rossini,
davanti alla ‘Ebe’ di Canova o contemplando i furori di Otello e le grazie seducenti
di Desdemona”.
Con un solo problema: “La causa che ferma il cammino dello spirito di un
popolo così interessante per tutto l’universo, del primo popolo del mondo, non
può che essere curiosa da indagare…” – la causa è la lingua, lo scollamento fra
la lingua d’uso e la lingua letteraria, artificiosa, trecentista.
Henry James – Fu “europeo”
per ragioni familiari? John Banville, analizzando il saggio “Hawthorne” di H.
James sulla “New York Review of Books”, ricorda che “fin dall’inizio”, dell’attività
di scrittore, “James ebbe diverse ragioni per abbandonare la sua «cara terra
natale», che è quella di Hawthorne” - salvo professarsi da ultimo “americano”.
Fra le tante una pesò di più sull’esilio – “un esilio felice, va detto”, un
autoesilio: “La presenza costante e spesso rumorosa del suo amorevole ma rivale
fratello maggiore, il filosofo William James”.
Il padre, eccentrico, ricco e spendaccione, da cui lo scrittore prese il
nome, Henry James sr., aveva investito gran parte della ricchezza ereditata in
viaggi familiari in Europa, con la moglie, i quattro maschi e la figlia Alice.
William non ne subì l’influsso: “Era tanto un vero yankee quanto un bramino del
New England, ed era contento di essere l’«americano» che Henry, negli ultimi
anni, aveva devotamente ma in modo poco convincente affermato di essere, se
avesse rivissuto la sua vita. Il fatto è che Henry aveva una sensibilità
europea quanto un non europeo potesse coltivare”.
Tornò in America due volte nel 1882: a gennaio per la morte della madre,
a dicembre per quella del padre. E poi nel 1910, per rivedere William, malato
terminale.
Machiavelli – “Una finissima
stratega. Potrebbe aver letto Machiavelli?” “Ne sono quasi certa. Suo padre, Lord Morley, ha tradotto parte
dell’opera di Machiavelli, e l’ha regalata a Thomas Morley, protettore di Jane” - spiega la scrittrice
Philippa Gregory, che di Jane ha ricostituito le vicende nel romanzo storico “La
traditrice”. Jane è Jane Parker, Lady Rochford, moglie di George, il fratello
di Anna Bolena. Che quando Anna e il fratello vengono decapitati alla Torre di
Londra dal volubile Enrico VIII, riesce a rimanere a corte, nel sul ruolo, cioè
“a sopravvivere a cinque regine”, di cui era la prima dama di compagnia, finite
male. Ci voleva un solido metodo, era difficile sopravvivere agli umori di Enrico
VIII – che continuò a praticare il cattolicesimo malgrado lo scisma, spiega
Gregory, e si volle “seppellito con rito cattolico”.
Pietroburgo – “La città più
astratta e più premeditata di tutto il globo terrestre (ci sono città
premeditate e non premeditate)”, F. Dostoevskij, “Memorie del sottosuolo”.
Scrivere – Un caso - una
forma? - di ipocondria? Dostoevskij lo fa dire al memorialista di “Memorie del
sottosuolo”, a inizio del racconto: “Tutti quanti si vantano delle proprie
malattie e io, forse, più di qualunque altro”.
Umberto Saba – Soffrì molto
le leggi razziali perché, “pur essendo di razza mista”, annotava all’epoca
Leonetta Cecchi Pieraccini nelle “Agendine” che ora si pubblicano, “per
solidarietà con la madre abbandonò fin da giovinetto la casa paterna e ha
sempre vissuto con la madre, e si iscritto all’associazione ebraica e ha sposato
un’ebrea e ha una figlia ebrea”. Pur volendosi italiano: “Ora si trova rinnegato
come poeta italiano mentre egli era ambizioso di essere forse il primo. È
avvilito e scorato fino a rasentare il pensiero del suicidio”.
Stati Uniti – Un’America non
romanzabile, a metà Ottocento, secondo Nathaniel Hawthorne, perché non ha – non
aveva – un passato? In un s aggio su Hawthorne pubblicato nel 1879, Henry James
gli imputa questo problema: come ambientare un “romanzo” in America, la sua “cara
terra natale”, giacché non ha “nessuna ombra, nessuna antichità, nessun
mistero, nessun tono pittoresco e cupo, né altro che una prosperità comune,
alla luce del sole”.
Un saggio autoreferenziale?
Rileggendolo, John Banville così ne sintetizza sulla “New York Review of
Books” l’argomentazione, in difesa dell’indifendibile Hawthorne – una lunga lista
di “elementi di alta civiltà”, essenziali per un artista, di cui l’America era carente:
“Nessun sovrano, nessuna corte, nessuna lealtà personale, nessuna aristocrazia,
nessuna chiesa, nessun clero, nessun esercito, nessun servizio diplomatico,
nessun gentiluomo di campagna, nessun palazzo, nessun castello, nessuna tenuta,
nessuna vecchia casa di campagna, nessuna canonica, nessuna casa con il tetto
di paglia, nessuna rovina ricoperte d'edera; nessuna cattedrale, nessuna
abbazia, nessuna piccola chiesa normanna; nessuna grande università, nessuna
scuola pubblica, niente Oxford, né Eton, né Harrow; nessuna letteratura, nessun
romanzo, nessun museo, nessun quadro, nessuna società politica, nessuna classe
sportiva, niente Epsom o Ascot!” Salvo poi pentirsene, di “questa tremenda
salva”. Per concludere: “Il lato negativo dello spettacolo a cui Hawthorne
assisteva
potrebbe, in effetti, con un po’ d’ingegno, essere reso quasi ridicolo”;
sebbene molto possa mancare negli Stati Uniti ancora giovani, “molto c’è”. E di
questo “molto” il “dono nazionale” fa “quell’«umorismo americano» di cui negli
ultimi anni abbiamo sentito tanto parlare». Di Mark Twain?
letterautore@antiit.eu
Tutti da Goffredo
L’arcipelago è
nazionale, di fatto – “Voci e luoghi della cultura italiana” è il sottotitolo. Non
è un libro sul Sud, né si può dire visto dal Sud, se non per l’esperienza di
Fofi con Danilo Dolci negli anni giovanili, formativa probabilmente ma
limitata. Né c’è una prospettiva meridionale o meridionalistica in Fofi.
Una antologia di
scritti di Fofi e delle “vite” da lui raccontate in varie trasmissioni radio (il titolo è di una rubrica di Radio 3),
organizzata e rivista dallo stesso autore, fino al 16 giugno 2025, alla vigilia
della morte – quel 16 rivide l’ultimo, Sciascia. Impaginata in ordine
alfabetico.
“Vite” anche di una
pagina, Di Vittorio, Giuseppe De Santis, Jolanda Insana, più spesso di due, il
dimenticato Marotta, Modugno, De Rita, Ernesto De Martino. Molti sconosciuti.
Una rivisitazione –
curiosamente, tema agonico. Di persone più che di personaggi. Come di una
grande, estesa, compagnia, di amici e di conoscenti, che Fofi ha voluto
rivivere, fra i tanti suoi scritti. Attorno a sè, come per un saluto.
Goffredo Fofi, Arcipelago
Sud, Feltrinelli, pp. 344 € 22
lunedì 1 dicembre 2025
La bolla intelligente
Gita Gopinah, prima Vice Direttore del Fondo Monetario
Internazionale, calcola che una “correzione del mercato”
analoga a quella che a fine anni 1990 fu provocata dalle dot.com, le nuove
entranti nei mercati finanziari che avevano portato i listini ai massimi, cancellerebbe
una “ricchezza” pari al 70 per cento del pil americano, 20 trilioni di dollari –
venti miliardi di miliardi. Negli Usa. E al di fuori degli Usa poco meno, 15
trilioni.
La “correzione” oggi è vista come
improbable, per le mutate condizioni del mercato. I listini sono ai massimi,
indipendentemente dalle guerre, militari e commerciali. Ma i titoli tecnologici
oggi sono i più solidi, oltre che più ricchi, del mercato.
Secondo il Fondo Monetario i mercati sono
oggi meno sopravvalutati che a fine Novecento. E il capitale coinvolto è molto più
concentrato, e quindi gestibile – il 33 per cento del totale è delle
“magnifiche sette” dell’alta tecnologia, e tutte fanno capitalizzazioni trilionarie.
Le stesse che contano sempre per un terzo e più, il 35 per cento, della capitalizzazione
delle prime 500 società quotate. E anche la natura della “bolla” è diversa:
quella di oggi sarebbe “industriale”. Sorretta cioè dagli investimenti enormi
attorno all’Intelligenza Artificiale.
I titoli tecnologici hanno assicurato il
boom di Borsa, del 100 e anche (Oracle) del 200 per cento nell’anno. Ma a novembre
sono quelli che hanno appesantito il listino, con perdite consistenti, dal 6,2
di Amazon e Microsoft al 22 di Oracle, e qualche scricchiolio di OpenAI – il listino è stato tenuto su, a nuovi massimi,
dai titoli old economy, Walmart, Johnsn&Johnson, Eli Lilly, e perfino
Coca Cola.
Indagine francese su Mps-Mediobanca-Generali
Non c’è armonia fra gli eredi Del Vecchio
sull’affare Mps-Mediobanca-Generali. Non c’è armonia tra i fratelli, ma in
questo caso per fatti specifici, e con effetti probabili su Milleri, il manager
scelto per gestire la successione, e sull’indirizzo da lui dato a Delfin, la
finanziaria di famiglia. In particolare dopo gli avvisi di garanzia della
Procura di Milano, ma già da prima. Per la decisione a suo tempo della Procura
di Milano di aprire l’indagine Modello 21, a differenza di Roma, che la
derubricava a Modello 22: cioè un’indagine su presunzione di reato invece che su
elementi giudicati probanti. E dopo le critiche dell’ex ministro francese
delle Finanze, Éric Lombard, in carica fino a metà settembre, ex dirigente di
Generali France – nonché ad a lungo della Cdc, la Cassa depositi e prestiti
(Cdp) francese.
Delfin è azionista di maggioranza di EssilorLuxottica,
società parigina, che rientra nella vigilanza della Consob francese – Ami, Autorité
des Marchés Financiers. La quale si è mossa per analizzare il procedimento
milanese contro Delfin e Milleri.
L’inchiesta milanese ha indebolito la
posizione di Milleri in Francia, e potrebbe portare a una sua decadenza d’autorità,
o a una sospensione cautelativa.
Un carosello del buon amore
La storia ventennale di “Carosello”, la pubblicità serale
sceneggiata alla Rai a partire dal 1957, camuffata da storia d’amore. Anch’essa brillante
- il giusto - come “Carosello”, e lieta. Fra la ragazza neo assunta, “mi porti
il caffè”, e il regista giovane di grandi ambizioni.
Un film semplicissimo: una rievocazione storica, con materiali
di archivio, che la scelta felice dei due protagonisti, Ludovica Martino, la
ragazza “mi porti il caffè”, lei specialmente, e Giacomo Giorgio, il regista
vicino di casa e di quartiere, rendono gradevole e perfino viva. Altrettanto
semplice e ispirato il contorno d’epoca, linguaggi, ambienti, valori.
Jacopo Bonvicini, Carosello in love, Rai 1, Raiplay
domenica 30 novembre 2025
Ombre - 801
Niente Filosofia per i militari all’università: Bologna
“alma mater” filo-Soros sulle piste del “Che” Guevara – che però i militari li ha
voluti all’università? Da qualche tempo. Era al centro della politica moderata
a inizio millennio, con Prodi, Casini, Fini, Nomisma, i circoli. Poi è passata alla
goliardia con le “sardine”. E subito poi alla guerriglia urbana, col sindaco
che dà le chiavi della città alla temibile Albanese, e non vuole israeliani a
Bologna nemmeno se giocano a basket – anzi vorrebbe puniti gli agenti che li
hanno protetti. I bolognesi sono diventati troppo grassi, si annoiano?
Dieci righe e una fotina al corteo romano di Greta –
poco di più in cronaca romana: “la Repubblica”, il gruppo Elkann, serra i ranghi
dopo l’assalto alla “Stampa” a Torino. I terribili anni Settanta sono
ineguagliabili, e poi non ci sono più i furbi incitatori, né Ottone né
Scalfari, ma l’albero dell’odio è sempre vivo. E sempre, farà pure vendere
qualche copia, ma ha un solo frutto, velenoso.
Il consigliere Yermak sostituito dal consigliere Umerov
può fare avanzare il negoziato con la Russia, ma nel senso che l’Ucraina dovrà
accettare le condizioni di Putin. Una debolezza si aggiunge a una debolezza. E
c’è anche Mindich, il socio in affari di Zelensky, in fuga da un anno. E c’è
il tentativo di Zelensky qualche mese fa di indebolire l’autorità anti-corruzione.
Soprattutto riemerge quello che si sapeva prima dell’attacco russo, che l’Europa
si è assunto con l’Ucraina un compito gravoso, molto.
Settimana di passione per l’oro: resta alla Banca
d’Italia, se lo prende Meloni? Pagine su pagine, sdottoramenti di esperti, scenari
apocalittici, mentre era solo un’esca del governo per distogliere l’attenzione dai
punti controversi della Finanziaria. Se le cose non si dichiarano, i media non
le capiscono.
Demografia, produttività, pil, “Italia in coda tra i paesi dell’Eurozona”: Trovati implacabile sul “Sole 24 Ore” documenta ritardi
inoppugnabili dell’Italia negli ultimi dieci anni. E potrebbe aggiungerci la
diffusione della “povertà percepita”. Se non che l’Italia è un Paese invidiato,
per il suo tenore di vita – invidiato in Europa e fuori, anche in America. E uno
non se lo spiega. Il pil stagnante sì, perché la produzione italiana è legata
alla (ex) Fiat-automotive e alla Germania, che sono da anni in crisi. Ma riesce
ancora a risparmiare – troppo, secondo le banche. E il risparmio, non statisticizzato,
spiega il “miracolo”.
Isolato ma eloquente (dirimente), sempre sul “Sole”, il
lamento di Confindustria: “Per gli alti costi dell’energia stiamo perdendo
pezzi d’industria”. E questo è vero. Da cinquant’anni, dalla crisi del petrolio
del 1973. L’Italia, paese probabilmente unico in Europa, non si è mai data
una politica dell’energia – a parte il “risparmio” (alti costi? meno consumi! –
non una grande politica).
Però, i manovratori dell’operazione
Mps-Mediobanca-Generali erano intercettati da tempo, Lovaglio e Caltagirone. E i
gestori di Akros. E i dirigenti del Tesoro. E su che basi? Si pensava su un esposto
Unicredit, alla Consob o/e in Procura, per l’esclusione un anno fa dall’asta Mps che ha avviato la caccia a Mediobanca-Generali.
Ma l’esposto non c’è. Ora si dice l’indagine avviata su una denuncia per diffamazione,
di Mediobanca, cioè dell’ex amministratore Nagel. Ma allora siamo alla
primavera. Mentre Tesoro e Akros erano intercettati un anno fa, e anche prima.
“Anonima Nigeria”, i vescovi italiani scoprono su
“Avvenire” che in Nigeria si fanno rapimenti a raffica, specie di ragazzini, specie
nelle scuole cattoliche. Che si fanno da anni, se non da decenni. Hanno i
riflessi ritardati? Pensano che il vangelo sia il dialogo delle fedi? Con i
mussulmani? Che sono quelli che rapiscono. In Nigeria, in Sudan, ovunque ci siano scuole e chiese cristiane.
All’assalto alla scuola cattolica, 300 ostaggi fra bambini
e insegnanti, giustamente cinque colonne, si affianca un colonnino del papa,
che rimuove il vescovo di Cadice – non ha sanzionato bene la pedofilia. Non
aveva altro cui pensare. È il ritratto della chiesa, che non capisce in che
mondo si trova. Forse per l’anestetico del dialogo delle fedi. Al quale però crede
– se ci crede – sol lei. Tanta barbarie nelle altre fedi monoteiste è senza
precedenti – come ogni barbarie.
Perfino “il Foglio”, il giornale intelligente della
destra, si lascia irretire dalle modelle rivestite di tuta mimetica, come quelle
che “hanno spezzato un tabù nell’esercito di Kiev”. Come quelle di Gheddafi. Che
le agenzie di pubblicità vendevano a Gheddafi, che le smerciava gratis ai media
occidentali.
“il Foglio” si cautela titolando “le droniste ucraine”,
assonanza molto dismissiva, quasi porno. Ma non se ne può più della pubblicità
professionale che dal primo giorno di guerra ha esibito l’Ucraina – degli altri
non sappiamo, perché ci facciamo un pregio di non sapere nulla di Mosca e
viciniori. Una “notizia” al giorno, roba di agenzie britanniche o di Madison Avenue,
che in questa guerra hanno trovato una miniera.
Fra tutti gli “obiettivi” che si potevano trovare i
kollettivi giovanili torinesi puntano “La
Stampa”, il giornale forse che più equamente ha coperto la guerra in
Palestina. Questa è una vera rivoluzione. C’è una ritualità persistente dopo il
Sessantotto: okkupazioni, manif, kollettivi. Che dovrebbero essere un rito di
passaggio all’età adulta e alla politica, e invece sono una deriva, di stupidità
oltre che di danni. Una componente, i danni, che nell’età del mercato pesa. Finora
soprattutto per le scuole, non per i giornali, che ci guazzavano. Ora non più?
Per la prima visita fuori d’Italia il papa Leone ha
scelto un dittatore. Anche integralista islamico, seppure per finta. La chiesa
si vuole proprio perdere, un martirio al rovescio?
Poi, a Istanbul, il papa Leone deve visitare la Moschea
Blu. Per celebrare la grandezza dell’islam. Non Santa Sofia, che fu un grande tempio
cristiano, poi museo, e Erdogan ha convertito in moschea. Anche il papa
americano, come già quello argentino, onora le massonerie (il mondo sunnita, da
Erdogan a Bin Salman, è il pilastro del libero pensiero)?
Il consigliere Yermak sostituito dal consigliere Umerov
può fare avanzare il negoziato con la Russia, ma nel senso che l’Ucraina dovrà
accettare le condizioni di Putin. Una debolezza si aggiunge a una debolezza. E
c’è anche Mindich, il socio in affari di Zelensky, in fuga da un anno. E c’è
il tentativo di Zelensky qualche mese fa di indebolire l’autorità anti-corruzione.
Soprattutto riemerge quello che si sapeva prima dell’attacco russo, che l’Europa
si è assunto con l’Ucraina un compito gravoso, molto.
Settimana di passione per l’oro: resta alla Banca d’Italia, se lo prende Meloni? Pagine su pagine, sdottoramenti di esperti, scenari apocalittici, mentre era solo un’esca del governo per distogliere l’attenzione dai punti controversi della Finanziaria. Se le cose non si dichiarano, i media non le capiscono.
Kafka sulle orme di Dostoevskij
Una riedizione, con nuove traduzioni, di Daria Biagi –
la memorialista apprezzata di Berto, Fusco, Erich Linder, nonché traduttrice di
Anna Seghers. Che si impone per avere cambiato il titolo classico del più
classico della raccolta, “Die Verwandlung”, da “La metamorfosi” e “La trasformazione”.
Senz’altro più assonante il vecchio titolo - nelle lingue neolatine ma anche in
inglese. Ma si cambia col nuovo, perché?
Si parte con Hannah Arendt: “Le cosiddette profezie
di Kafka sono soltanto una sobria analisi delle strutture nascoste che oggi
sono venute alla luce”. Ma non c’è niente di esoterico in Kafka, il signor K. del Processo e del Castello - almeno per un lettore
immune alle credenze esoteriche, per quanto “rivelate”. Si finisce con Cacciari,
“Sulla soglia”, sull’essere al limite delfico, del “conosci te stesso”.
Una “edizione Biagi”, si può dire. Ma la sua lunga introduzione,
“Kafka narratore diabolico”, è più difensiva che persuasiva – molte ragioni sono
possibili per rieditare testi anche molto noti.
Altre curiosità solleva la riproposta, la rilettura. Di
Kafka manierista, peer esempio – nei racconti e anche nei romanzi. Una ipotesi
di metamorfosi fra le tante è proposta dal memorialista del sottosuolo
dostevskjano, ed è proprio in un insetto - è una delle prime “riflessioni”\provocazioni
del narratore di “Memorie del sottosuolo”: “Ora mi viene voglia di raccontarvi…
come mai io non sia risucito nemmeno a diventare un insetto…. Più e più volte
volli diventare un insetto”, etc. etc., “ma neanche questo mi è riuscito”.
E c’è anche poco più in là, poche righe, sempre in Dostoevskij,
sempre nelle “Memorie del sottosuolo”, “il colpevole senza colpa” – “e, potremmo
dire, per legge di natura”. Che non è possibile. Ma “colpevole, in primo luogo,
perché tu sei il più intelligente fra quanti ti circondano”.
O anche di Kafka che pratica lo “straniamento”, quale
poi sarà teorizzato da Brecht – ma come già un Ariosto, per dire, o negli stesi
“veristi”?
Franz Kafka, I racconti, Einaudi, pp. LXIV +
584 € 28
sabato 29 novembre 2025
Problemi di base giudiziari - 890
spock
“La cultura della
giurisdizione è ormai una vuota astrazione speculativa”, Carlo Nordio?
Giudici e
avocati non studiano più?
Vanno i
giudici al referendum come la Cgil trent’anni fa, a testa bassa - ma vergini?
Schierarsi al
referendum per mostrarsi indipendenti dalla politica, o per assicurarsi un posto
di senatore?
Perché i sindacati
dei giudici sono partiti politici?
“Giustizia divina,
giustizia naturale e giustizia formale non sempre coincidono”, papa Leone XIV?
spock@antiit.eu
La bolla del debito – e la rivincita dei pigs
L’“America First” di Trump vincerà sicuramente
la gara del debito. Il Rapporto del Fondo Monetario Internazionale sul debito pubblico
nel mondo prevede statisticamente per gli Stati Uniti un incremento del
rapporto debito\pil, tra il 2024 e il 2030, quindi a breve, di 21 punti percentuali,
dal 122 al 143 per cento.
Il debito Usa aumenta in un quadro di rapida
crescita del debito pubblico globale, che già prima, entro il 2029, supererà il
pil. Non è un fatto nuovo, era già successo nel 1948, a ridosso dell’ultima
guerra mondiale, ma ora la base del rapporto è cambiata: cresce il debito e non
cresce o cresce poco il pil.
La Cina aumenterà il suo debito in
misura ancora maggiore che gli Usa, del 28 per cento, dall’88 al 116 per cento
del pil.
In Europa, curiosamente, saranno i pigs,
i paesi disprezzati della crisi del debito (o gigantesca manovra al ribasso)
quindici anni fa, i paesi più virtuosi. La Francia accrescerà il debito di 16 punti
del pil dal 113 al 129 per cent), la Germania di 10 (dal 64 al 74 per cento),
l’Italia di soli 2 (da 135 a 137). Mentre la Grecia lo diminuirà di 25 punti (da
155 al 130 per cento), il Portogallo di 18 (dal 95 al 77), l’Irlanda di 11 (da
39 a 28), la Spagna di 9 (da 102 a 93).
Céline salvato dalla Resistenza
La storia dei ritrovamenti dei manoscritti di Céline
asportati a fine 1944 dalla sua abitazione parigina, che lo scrittore aveva abbandonato
precipitosamente dopo lo sbarco di Normandia. Conservati in buono stato, e
fatti ritrovare ad agosto del 2021, qualche mese dopo la morte della vedova, titolare
dei diritti. E un primo tentativo di datare la scrittura dei tre inediti fin
qui pubblicati, “Guerra”, “Londra” e “La volontà di re Krogold”. Altri due testi
sono in fase di elaborazione editoriale, “Casse-pipe”, una narrazione
incompiuta, e “La légende du roi René”.
Da una serie di elementi, Joset data la scrittura di “Guerra”
e “Londra” fra il 1934 e il 1936. Come di un seguito al “Viaggio al termine
della notte”. Opere non rifinite per il sopravanzare di “Morte a credito”, che
veniva lavorando in contemporanea, e che rappresenterà il secondo successo
editoriale.
Un’altra ragione della mancata finalizzazione\pubblicazione
delle due narrative Joset trova nel soprassalto polemico che prendeva Celine a
partire dal 1936 – fino a fine guetra. Contro tutto e tutti, e contro gli ebrei.
Molto Joset discute l’antisemitismo – ma senza una spiegazione significativa,
se non l’antisemitismo. Tiene conto de “La chiesa”, il primo scritto esornativo
noto di Céline, ben prima del “Viaggio”, in forma teatrale, ma senza cogliervi il
nodo dell’odio anti-ebraico, nella dirigenza della Società delle Nazioni a
Ginevra, dove Céline lavorò per quasi dieci anni – una burocrazia che sanzionerà
ben più ferocemente, cinquant’anni dopo, Albert Cohen, “Bella del signore”, che
aveva vissuto anch’egli quella esperienza, in anni successivi.
Che Céline non fosse obnubilato dall’odio lo prova la
fuga da Parigi nell’ottobre del 1944: lo scrittore sapeva bene che la guerra era
perduta, era perspicace e non fanatico.
Andrea Lombardi, celiniano emerito, che ha curato l’edizione,
arricchendola di notevoli foto, facsimili dei manoscritti, e altri materiali,
la rimpolpa con alcuni dei suoi articoli sul “Giornale”, su Céline e i
ritrovamenti.
Joset, belga francofono, anche lui si occupa di
Céline per passione – è più noto come ispanista e medievista, le sue
specializzazioni accademiche.
Una punizione, il sequestro delle carte di Céline, che
ha finito per essere un grosso regalo, rilanciandone la figura e l’opera. Un po', paradossalmente, come Heidegger, quando programmava i cosiddetti quaderni neri a congrua distanza dalla morte.
Jacques Joset, I tesori ritrovati di
Louis-Ferdinand Céline, Eclettica, pp. 107, ill. € 13
venerdì 28 novembre 2025
L’inchiesta Mps-Mediobanca è contro il governo
Caltagirone a Milano, addirittura “padrone
di Milano”, non poteva che suscitare un’inchiesta, era prevedibile. C’era anche
un esposto di Unicredit, non invitato alla festa, anzi escluso, che rendeva l’inchiesta
obbligatoria.
Che si arrivi a una condanna di Mps, Caltagirone,
Delfin (eredi Del Vecchio) è improbabile. Il “concerto” è fattispecie di reato indimostrabile
– a meno che i “concertanti” non vadano dal notaio…: è nel codice per dire che
il mercato è pulito e onesto. L’esito sarà, è già, politico prima ancora che
penale.
La Procura di Milano sanziona la
destra, il governo, dopo la sinistra? Sicuramente la vicenda sarà “buttata in
politica”, come dire che lascia il tempo che trova. Ma, come già a sinistra con
la casa, ora a destra la Procura tocca un altro tasto sensibilissimo a Milano,
il risparmio. Che vi è diffuso e pesa molto. Più della casa.
L’inchiesta è solo all’inizio. E a Milano
non si vota presto, non prima di un anno e mezzo. Ma la memoria dei (mis)fatti
finanziari è lunga. Meloni ha preso di mira le banche, perché “non c’è niente
di più antipatico della banca”. Ma il populismo in questo caso è attardato, la
banca siamo ora un po’“tutti noi”, con la gestione del risparmio.
L’arte senza l’artista
La Quadriennale romana è organizzata quest’anno per
forme espressive. Non più per tendenze o “manifesti”, e naturalmente nemmeno per
autore – gli autori esemplificano una delle forme espressive prescelte. L’autoritratto
(la soggettività). L’autorappresentazione (della realtà): una lettura che è una forma
di socialità – dove l’io non prevarica ma sintetizza “generi, etnie, nazionalità
e classi sociali”, spiega Bonami, il curatore, collegandolo al bantù ubuntu,
“io sono perché tu sei”.
“Il tempo delle immagini” visita l’arte “nella “inondazione
di foto, selfie, meme, scheenshot, gif, reel, stories che sommergono la nostra
vista”. La sezione più evocativa – più godibile anche. L’ultima sezione, “Senza
titolo”, è libera, atematica.
La Quadriennale è una officina più che una celebrazione
dell’arte contemporanea da qualche anno, dal rilancio dieci anni con la
gestione di Franco Bernabé. E tuttavia la personalità di artista è, dove c’è, ancora
il suo forte – come lo è del mercato dell’arte. La parallela evocazione della Quadriennale
1935 può esibire una trentina di nomi poi “classici”: Luigi Bartolini, Mario
Broglio, Cagli, Capogrossi, de Chirico, de Pisis, Leonor Fini, Carlo Levi,
Longanesi, Mafai, Marini, Martini, Morandi, Prampolini, Scipione, Severini, Sironi….
L.M.Barbero -
F.Bonami - E.Mazzonis di Pralafera - F.Stocchi - A.Troncone, Fantastica.
18ma Quadriennale d’arte, Roma, Palazzo delle Esposizioni
giovedì 27 novembre 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (615)
Giuseppe Leuzzi
“Le Alpi sono una delle due prove dell’esistenza di
Dio”, afferma il maestro Muti risoluto a Cazzullo che lo intervista per il
“Corriere della sera”. “Perché?” “Perché hanno preservato una mediterraneità
che ci appartiene”.
Non se ne può più degli Odini.
Michelangelo Mammoliti, supercuoco italiano dello
stellario Michelin, che esercita nelle Langhe, si dice “di origine piemontese”.
Mentre sarebbe “piemontese, di origine calabrese”. Ma fa piacere, che una persona
di seconda o terza generazione si identifichi col luogo e la cultura dove ha avuto
e dato il suo contributo di saperi e capacità, e per questo prospea – è
premiato. L’“origine meridionale” connota un lamento, una ricerca di buona volontà, di
carità, per di più corredato da rivalsa.
La guerra dei trent’anni
a Milano
Gianni Santucci fa sul settimanale
“La Lettura” del “Corriere della sera” una recensione-sintesi che lascia senza
respiro del volume di Laura Antonelli Cali e Nicola Erba “Atlante storico della
mala milanese” – un atlante che consta di ben 521 pagine, e non comprende i “bravi”,
anzi riguarda solo trent’anni, dal 1963 al 1993.
Leggere per inorridire:
“S’ammazzavano come cani.
Sparavano come invasati. Pippavano come ossessi (la terza è ancora
attualissima). E ofrivano servizi ai regolari: donne, bamba,
bische. L’amarcord è una lente che li distorce. Il tempo li deforma.
Ingiustificatamente li imbelletta. No, erano cattivi, spietati, a volte sadici,
spesso sociopatci. Erano tantissimi. Banditi d’ogni risma e d’ogni provenienza.
In brutale competizione. Erano famelici e feroci, aspiranti principi d’una città
che in un anno contava centocinquanta morti d’eroina e più di cento morti
ammazzati. Non un secolo fa: negli anni Ottanta e Novanta. Roba che le Gomorre
di oggi (sulle quali il pelosissio stomaco della politica contemporanea
prospera spremendo voti e consenso) sono quiete province coi giardinetti
all’inglese. Così era Milano: generazioni di innocenti falciate dalle spade
in vena; la rapinetta con la siringa asfissiante abitudine; quotidiane rapine
in banca con mitra e pistole; sequestri di persona a nastro; evasioni di
gruppo dal carcere; rivolte a San Vittore; clan stranieri animatori di
sparatorie in strada”.
E ancora: di che parliamo? “Di
quella Milano che è stata una portaerei per tutte le droghe. Una piattaforma
per tutte le mafie. Una savana per tutte le masnade del banditismo predatrio:
dai clan sardi agli uruguayani. A questi, sovrapponete i decenni della violenza
politica”.
Non senza il richiamo di
prammatica: “Aggiungete il progressivo piantar radici di Cosa Nostra,
‘ndrangheta e camorra”. Però, “una città putrida, corrotta, indecorosa. Sporca
nell’anima e sporcacciona nel costume”.
“Offrivano servizi” apre un
altro abisso: la mala come parte di un “sistema”, per usare la lingua delle
antimafie.
Mi-To, o come Milano
di bevve Torino
L’Olimpiade invernale è
l’ultimo scippo. Di Milano a Torino. Della piatta Milano a vocazione alpina –
come già della provinciale Milano, di fiere e commercianti, a vocazione transalpina.
A un certo punto era sembrato
che Mi-To diventasse una conurbazione, tanto massicio era il trasloco dalla
capitale sabauda, capitale di un regno bene o male, al centro della politica
europea, a quella degli affari. Mi-To come un sifonamento, con autostrada a tre
o quattro corsie, affiancata da complessi direzionali e produttivi, e treni a
frequenza e articolazione metro. Poi l’ideologia green, contro il consumo
del territorio, altrettanto improvvisa ha cancellato l’ipotesi. Ma i fatti restano.
La banca, i telefoni, i libri in fiera ultimamente, tutto quello che Torino ha inventato e prodotto Milano se l’è già
preso. Non le automobili, troppa fatica l’industria, me se ne è prese le
finanze, riducendo il tutto in poltiglia. Come già aveva fatto con Olivetti, un
campione mondiale subito ridotto a niente.
Rileggendo Cattaneo e
Salvemini si scopre anche che Milano ha minato il Risorgimento, pur di sottrarlo a
Torino. Con le Cinque Giornate per il verso giusto, democratico. Ma subito poi
alleandosi pronta, nobili e notabili, con la Torino sabauda, Carlo Alberto e il
conte di Cavour – che da giornalista e deputato nel ’48 voleva piazza pulita
dei democratici: “Ciò che soprattutto è indispensbile è di reprimere
energicamente il minimo movimento repubblicano in Lombardia. Fatemi fucilare il
primo lombardo che mandi un grido sedizioso”. Già fatto, senza forche. E nel
1859 la Lombardia si farà sabauda senza nemmeno il solito plebiscito di
facciata, caso unico fra gli ex staterelli italiani, nobili e
notabili erano già in linea.
Dalla brigata Catanzaro
con orrore
Bisogna salire presto alla
piazza del Municipio, alla Posta il bancomat rischia altrimenti di esaurire la
provvista. Ma è andata bene, è anche fresco e la piazza è vuota. Se non per un suono
di tromba. Incerto, ma è il “silenzio”. Di mattina? Sarà qualche ubriaco, il
suono viene anche ovattato, remoto. La grande piazza è vuota. O no, sotto il
Milite Ignoto ci sono dei ragazzini. A quest’ora, già in villa – la piazza fa da
“villa comunale”, uno spazio chiuso alle macchine? Prima della scuola? Ma no,
oggi è festa. E uno ha la tromba. È più
alto degli altri, e ora la imbraccia di nuovo: è lui che prova il “silenzio”, al Milite Ignoto. Al
cenno di un barbuto, che lo riprende, sarà il maestro. Ma sì, oggi è il 4
novembre, il governo raccomanda che si celebri la vittoria, con i morti, e la scuola
di musica per cui siamo celebri avrà preparato quache piccola cerimonia, con
gli allievi più piccoli, per la solita corona d’alloro del sindaco.
Ma è una festa triste quest’anno,
avendo letto ieri, riletto, la storia della brigata Catanzaro, come fu decimata
dai carabinieri, su ordine dello Stato maggiore, italiano. Non se ne parla, e
non è un bene, anzi fa male.
Si fanno ancora film di
richiamo ed evocazioni appassionate di questo o quell’episodio eroico o cruento
della Grande Guerra e niente, neanche un richiamo, al più terribile di tutti,
l’esecuzione sommaria della brigata Catanzaro. Lo ha ricordato ieri,
incidentalmente, e nemmeno tanto simpateticamente, “l’altravoce, il Quotidiano
– Reggio Calabria”, come per collegare i Morti con la Vittoria. Un fatto terribile,
che non ha trovato nessuna documentazione storica (giusto un tentativo di
ricostruzione di due giovani appassionati di storia locale una ventina d’anni
fa, Irene Guerrini e Marco Pluviano) e una sola narrativa, incidentale, nei racconti
di guerra di Corrado Tumiati, allora medico militare, scrittore a tempo perso.
Un caso non unico, la memoria
in Italia fa difetto. In Francia si era scritto della guerra qual era in corso
d’opera, Barbusse, “Il Fuoco”, Genevoix, vari racconti (“Sous Verdun”, “Nuits
de guerre”, “Au seuil des guitounes”), Dorgelès, “Les croix de bois”. E poi
naturalmente Céline, volontario mutilato di guerra. In Italia niente durante e
poco dopo. Giusto un libello di Malaparte, “Viva Caporetto! La rivolta dei
santi maledetti”, 1921 – che accuratamente non tiene conto della brigata
Catanzaro, un fatto trucido e non un’esclamazione retorica.
Nonché della Catanzaro, nemmeno
un cenno nelle storie e nelle evocazioni delle esecuzioni sommarie per scarso
rendimento, una barbarie. Di reclute peraltro quasi sempre male addestrate e
spesso male equipaggiate. Che sono anche la parte più viva, e raggelante, di
“Addio alle armi” di Hemingway: le decimazioni, che tanto orrore susciteranno nell’occupazione
tedesca dell’Italia, furono sperimentate nella Grande Guerra variamente dai
carabinieri. Nel 1917, prima di Caporetto, contro la brigata Catanzaro che sul
Carso s’era rivoltata dopo dieci campagne di fila in prima linea: presero una
trentina di fanti a caso e li fucilarono. Ne accenna commosso, per inciso,
D’Annunzio nei “Taccuini” - giusto lui contro il quale, nell’adiacente suo
“campo di aviazione”, i rivoltosi avevano tentato di dirigersi.
Poco si sa – si è detto - sui
motivi della rivolta, e sul suo svolgimento. Solo l’esito è chiaro, non
potendosi sottacere la relazione di Cadorna: “La rivolta è stata
sanguinosamente repressa con la fucilazione di 28 militari e con la denunzia di
altri 123 al Tribunale di guerra”. La brigata Catanzaro, benché fosse ovunque
nel Carso, è praticamente cancellata dalle storie militari. La ricostruzione di
Davide Scaglione su “l’altravoce” ne dà un quadro prima dell’eccidio voluto dai
vertici militari.
La brigata era inquadrata nella Terza armata, comandata
dal duca Emanuele Filiberto d’Aosta. Composta dal 141° e dal 142° reggimento di
fanteria. Con effettivi in maggioranza calabresi, più siciliani e pugliesi. Fu
impiegata come brigata d’assalto sul Carso, dal luglio 1915 al settembre 1917. Con
turni logoranti, praticamente ininterrotti, in prima linea, nei settori più
contesi. Il 141° reggimento aveva meritato la medaglia d’oro al valore militare
(per l’audacia dimostrata tra luglio 1915 e agosto 1916), il 142° la medaglia
d’argento.
Una ricostruzione dei fatti per la verità c’è, su “Calabria Sconosciuta” n. 131
di fine 2011. Dove si spiegano anche i fatti. La brigata Catanzaro aveva
protestato a fine maggio 1917, dopo la decima grande offensiva. Era una
protesta vocale e la cosa venne taciuta dai comandanti. La notte del 15 luglio,
all’ordine di partenza in prima linea per l’ennesima campagna dell’Isonzo, i due
reggimenti si ribellarono, con urla e tiri di mitragliatrice. Tre militari
morirono, tra essi un ufficiale e un sottufficiale, e una ventina furono
feriti. Dopo circa sei ora la rivolta si spense, verso le quattro del mattino.
Si preparava l’XIma battaglia carsica dell’Isonzo, detta di Bainsizza (la XIIma
sarà detta di Caporetto). La Brigata aveva ininterrottamente, per due anni,
partecipato alle dieci precedenti. A Castelnuovo, Bosco Cappuccio, Oslavia, sul
monte Mosciagh, durissimo, sul Cengio, sul San Michele, a Nad Logen, a Nova
Vas, sul Nad Bregom e a Hudi Log. Non per punizione, anzi con grandi elogi e
medaglie al merito. Ogni campagna implicava tre-quattro settimane di prima
linea. Dopo Caporetto la brigata Catanzaro combatterà sul Pria Forà, in Val d’Astico
e in Val Posina. Sempre con impegno, e anche con successo: un mese dopo la
rivolta la brigata Catanzaro veniva nuovamente elogiata.
Nell’offensiva di ottobre-novembre 1915, in soli quindici giorni la brigata
aveva perso 2.037 uomini – di cui 55 ufficiali. Nella terza battaglia, dal 18
settembre al 4 novembre 1915, aveva perso più della metà degli effettivi,
4.348 uomini - feriti 2.579, gli altri morti. Nel 1916 aveva subito perdite in
varie battaglie, e in due era stata di nuovo annientata. In quella per Gorizia,
nella seconda parte dell’attacco, nel mese d’agosto, aveva perso 3.496 uomini
(2.484 feriti). Nelle tre battaglie successive era restata in linea dal 16
settembre al 7 novembre, perdendo i due terzi degli effettivi: 3.434 uomini
(2.749 feriti). Secondo una remota pubblicazione dell’Ussme, l’Ufficio storico
dello stato maggiore dell’esercito, “Brigate di fanteria” (1928), vol. 6, p.
63, la Brigata Catanzaro ebbe nei primi due anni e mezzo della guerra (le
perdite del 1918 sono dette irrisorie), 162 ufficiali morti e 281 feriti
gravemente, 4.540 soldati morti, 12.500 feriti. Ma questo è il rovescio della
medaglia, dei cafoni immolati.
Tumiati, che si trovò nel pieno della sedizione e della decimazione, ne fa nel
racconto “Errori” una rappresentazione amareggiata. I fucilandi vengono scelti
a caso, senza colpe specifiche. A lui, che ardisce difendere i portaferiti,
avendoli visti al lavoro tutta la notte, viene opposto uno scaricabarile. Fino
al generale, che lo tratta da intruso: “La notizia disturba, evidentemente, i
giudici si guardano l’un l’altro seccati”. Il “giudizio” è veloce. Questo lo ha
già scritto Hemingway in “Addio alle armi”, il romanzo della guerra, anche lui
in difesa dei portaferiti. Lo ha scritto anche in dettaglio, ma senza averlo
vissuto. Tumiati è testimone oculare: del “giudizio” sommario si conferma
subito mentre si allontana, sentendo urlare dall’interno della baracca: “I
trenta condannati avevano compreso d’un tratto la loro sorte e, dopo un attimo
di stupore incredulo, avevano gridato. Che altro potevano fare?”.
Forse per la fretta non ci sono agli atti i nomi
di chi ha preso le decisioni e su quali criteri: “In un’ora il campo fu
levato”, continua il racconto, “e i battaglioni, incolonnati, musica in testa,
ritornavano in linea. Tararilla, tararà. Tararilla, tararà”. Il racconto
angosciato degli eventi Tumiati fa precedere da uno ilare su un caporale
calabrese in forza alla Brigata, giovane muratore biondo con “l’estro vivo del
cantastorie”, che scriveva e gli portava da leggere per svagarsi poemi che
ancora lo commuovono. Esca alla testimonianza: “La Brigata Catanzaro fu
certamente una delle più gloriose e delle più provate nella grande guerra. Il
suo proverbiale eroismo la condannò a due anni ininterrotti di guerra carsica.
Stremata, mutilata, consunta, risorgeva dal sangue e dalla morte con energie
nuove”.
Da vittima, volontario finito mutilato, questa verità
celata della Grande Guerra la spiegava Céline sardonico nel 1939 a Pierre
Ordioni, scrittore già trentenne, monarchico legittimista, biografo di Pozzo di
Borgo, l’“altro corso”, nemico di Bonaparte, volontario del secondo carnaio (nell’antologia
“Céline e l’attualità letteraria”, curata quarant’anni fa da Giancarlo
Pontiggia): “Si faceva la coda per andare a crepare…. (Ma presto) quelli che
avevano ancora un po’ di cuore l’hanno perso. È a partire da quei mesi lì che
hanno cominciato a fucilare i soldati semplici per tirargli su il morale, a drappelli
interi, e che il gendarme ha cominciato a essere citato all’ordine del giorno
per il modo come conduceva la sua piccola guerra personale, quella profonda,
vera tra le vere”.
