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venerdì 23 maggio 2025

Ombre - 775

Grandi spazi ogni giorno alla revisione del processo Poggi, ma nessun cronista giudiziario, che pure sa di che si tratta, ricorda che l’imbroglio è opera della Cassazione. Che non ha poteri d’indagine - solo formali, sul processo - ma se li è presi. Finendo per dire Stasi “colpevole oltre ogni ragionevole dubbio” di sua iniziativa, contro le sentenze delle corti d’assise d’appello – e contro il parere della sua stessa Procura.

Colpevoli del papocchio? Sì, qualche maresciallo. I giudici non si toccano, non si sa mai – sono vendicativi?

 
La vicenda – della condanna di Stasi oltre ogni ragionevole ragionevolezza (senza la Cassazione si sarebbero fatte indagini serie, a suo tempo) - la dettaglia solo Adriano Sofri sul “Foglio”. La dettaglia sabato ma le iper-redazioni giudiziarie di tg e giornali fanno finta di nulla. Solo, qualcuno si ricorda che Vittorio Feltri ha sempre detto la condanna una baggianata, e glielo fa ripetere – tragico per una volta e non esilarante.
Destra e sinistra unite nella lotta? Ma sempre perdenti?  
 
Volendo vedere una fiction Mediaset fino in fondo, “Maria Corleone”, di mafiose belle e feroci, si sono contate per 97 minuti di film sette interruzioni pubblicitarie, per 26-27 minuti. Ci vuole un pubblico di grande attenzione – o semplicemente addormentato?
 
“L’Ue rivede le norme sui «paesi terzi sicuri». Stretta alle richieste di asilo. Più facile trasferire i migranti in Stati extraeuropei”. Poche righe, taglio basso, per la questione che un anno fa, sei mesi fa, faceva paginate fluviali. Se non c’è un giudice di mezzo, che dà torto al governo, non interessa ai lettori. Degli immigrati, della questione immigrazione di massa, del mercato dell’immigrazione, non frega nulla a nessuno.
 
Ci si chiede perché Macron privilegi la Polonia, nei suoi colloqui a tre o a quattro per il riarmo, e trascuri l’Italia. Una delle ragioni è che la Polonia è il Paese europeo che più spende per gli armamenti, rispetto al pil, in Europa. Il 4,12 per cento (secondo l’annuario Nato) nel 2024. E quest’anno va verso il 6 per cento. Ma soprattutto spende per gli armamenti, più che per il personale o il commissariato: il 51 per cento del totale ( l’Italia è al 22 per cento, Germania e Francia al 28).
 
L’emozione domenica per il calcio minuto per minuto, tutto il campionato in contemporanea, la sera, invece di due ore di noia insofferente, che i commentatori sono obbligati a riempire di scemenze, con un linguaggio assurdamente “tecnico”. In ogni momento di ogni giornata – il calcio è per pensionati.


Nel contesto spicca l’assurdità del o della Var. A cui evidentemente l’arbitro ha ceduto ogni potere di visione – e di decisione decisiva. L’arbitro Chiffi, che pure dicono bravo, non vede il gomito di Bisseck che si muove verso il pallone, come si vedeva a occhio nudo e a velocità. E non vede l’abissale, doppio, fuorigioco interista nel goal dell’ultimo minuto poi annullato.
 
Resta sempre inedito il romanzo degli oneri di sistema, impropria “imposta di scopo” (di fatto non sappiamo a chi vanno i soldi) con cui il governo grava da un paio danni i consumi di energia. Mentre si fanno grandi titoli per la “riduzione delle accise sulla benzina”. Di un centesimo al litro – peraltro passato sul gasolio. Del governo che “non mette le mani in tasca agli italiani”. In aggiunta a un’incredibile serie di “patrimonialine”. Poi si dice che non è vero che destra e sinistra non sono unite nella lotta – e perché gli italiani non vanno a votare? boh!
 
Una pagina e molte stelle per il film “La petite dernière” di Hafsia Herzi sul “Manifesto”, Poche righe e una striminzita stella di Mereghetti – critico di molto giudizio – sul “Corriere della sera”. Basta il lesbismo (e di una ragazza mussulmana) per fare un buon film? Rivoluzionario? Nelle “Mille e una notte” e nella letteratura esotica (Potocki, Pierre Loti, etc.), la donna “libera” s’incontrava nei paesi mussulmani, Il Cairo, la Persia, Algeri, Tunisi, Casablanca.
 
Guardando gli inguardabili film premiati a Cannes ultimamente, “Titane”, “Emilia Perez”, uno si meraviglia, salvo poi scoprire che sono stati premiati sull’onda di una “standing ovation”, debitamente registrata da wikipedia tra i “riconoscimenti”. È il termine critico oggi a Cannes: standing ovation di nove minuti (“Titane”), di sei minuti (“Emilia Perez”). E si capisce: ci sono le claques anche alla Croisette, più facili anche da montare che al teatro, e le giurie seguono le claques – gli organizzatori si raccomandano alle giurie di “seguire il pubblico”. Dalla mediocrità del cinema oggi non ci-si salvano nemmeno le giurie.


“Trump, insulti al Boss dopo le critiche: «È una prugna secca». Springsteen aveva detto: «Inadatto, governo canaglia»”. Chi ha criticato e chi ha insultato? 


Forse la colpa è di Trump, che ruba la scena con i suoi annunci ogni giorno, ma gli Stati Uniti sono stati governati a lungo (mesi? anni?) da un presidente in confusione mentale. Come non detto – giusto qualche recriminazione, per imputare a Biden la sconfitta del partito Democratico a novembre. Chi governava in sua vece? Come? E cosa diceva al G 7?


A nessuno degli ex collaboratori di Biden si chiede niente. A differenza di quelli di Trump, che ora si possono godere nei media l’anti-trumpismo dopo aver esercitato il potere con lui - come i pentiti di mafia. E gli psichiatri? Anni fa se ne trovarono dozzine per denunciare la pazzia di Trump, clinica, organica. Ora nemmeno uno? 


“Ho fatto coming out quando ancora non si usava nemmeno l’espressione”, Ivan Cattaneo: “Prima di Pasolini, di Testori e di Tiziano Ferro…Debuttai al festival di «Re Nudo» (il “festival del proletariato giovanile”, organizzato dalla rivista “Re Nudo” tra il 1971 e il 1878; quello qui ricordato è del 1975, al Parco Lambro, “il meglio riuscito” della serie, 100 mila partecipanti, n.d.r.)…. Mi presentai dicendo che ero omosessuale. Venne giù il modo, un putiferio, gente che fischiava…. La lapidazione. Mi spiegarono poi che per i comunisti di Lotta continua o Servire il popolo l’omosessualità non era che un vizio piccoloborghese”.
 
Il festival di Cannes impone un dress code. Alle donne, alle attrici. Ma non un lamento. La pubblicità val bene un patriarcato – non sappiamo bene di che cosa parliamo quando parliamo.
 
Contro la separazione delle carriere il presidente del sindacato dei giudici (Anm) Parodi afferma che “in tutti i paesi in cui c’è la separazione delle carriere c’è il controllo dei pubblici ministeri da parte del governo”. Cioè in Gran Bretagna? Svezia? Spagna e Portogallo? Il Portogallo in particolare Parodi ha nel mirino. Dove però il primo ministro Costa (ora presidente Ue) fu aggredito due anni fa con un’incolpazione resa subito pubblica che poi si manifestò artefatta, con omonimie e falsi testimoni.
 
Sembra incredibile che nella “battaglia” per i referendum ci sia anche Renzi. A cui si deve, contro venti e maree, l’abolizione dell’art. 18 – l’illicenziabilità - di cui ora un referendum chiede l’abrogazione. Ma come si fa?


Dei due volontari italiani morti in guerra in Ucraina si lascia intendere che fossero combattenti per un ideale, rinviando indirettamente alla epopea internazionalista della guerra di Spagna. Mentre sono assoldati - mercenari - con soldo elevato, da 3 a 4 mila euro mensili. Perché non dirlo?


Trump dice che il downgrading del debito americano da parte di Moody’s è dovuto a un analista noto militante Democratico. Può darsi che non sia vero – nelle agenzie di rating non decide un analista, per quanto importante. Più probabile è che l’annuncio di Moody’s sia servito a una speculazione – la sbandata del debito in conseguenza del rating è stata di breve durata. Padroni (soci, azionisti) delle agenzie di rating sono i maggiori fondi d’investimento, anche hedge, cioè speculativi. E questo è considerato normale.


Ma è vero che il giudizio delle agenzie di rating risponde agli interessi dei fondi – il downgrading fa lievitare gli interessi. Basta vedere l’equiparazione del debito italiano a quello del Paraguay. Peggio di quello di Bulgaria, Cipro, Perù, Filippine, Indonesia, Kazakistan. Molto peggio di Perù e Uruguay. Pagatori molto più attendibili dell’Italia sono valutati Malesia e Botswana – si investe nel debito del Botswana?


Tra immigrati e supermercati, mentre gli slavi si sterminano

Note sparse, prese occasionalmente tra il 1993 e il 1999. Di “cose viste”, alla Victor Hugo, e anche sentite.
Il mondo della metro prevalentemente. E dei supermercati e centri commerciali, Auchan, Leclerc, dove “la vita si svolge sempre più”. Scene di vita ordinaria che si direbbe sorda, sordida. Che Ernaux trova non più stupida di quando si svolgeva “tra i campi e il funerale o il bistrot”.
Note più variate sulla metro, da pendolare con Parigi sulla Rer, la rete extraurbana. Ma qui prevalentemente dei mendicanti, e dei “senza fissa dimora” - Ernaux usa sempre il linguaggio rispettosamente burocratico (con una sola eccezione, riusa “zigani”). Incuriosita dai tanti che provano a vendere giornali che nessuno compra – erano gli anni dei “giornali di strada”: “giornali della carità, che nessuno considera «veri» giornali, né la loro vendita come un «vero» lavoro”.
Sullo sfondo cupo degli eccidi in Bosnia, che non irritano più di tanto. E poi delle bombe sulla Serbia.   
All’ultima pagina, dei Russi che “sterminano tranquillamente i Ceceni”, un soprassalto. Veridico a ogni riflessione – tanto più che Ernaux ha buona conoscenza della Russia, tra visite, frequentazioni e amanti.
“Si è presa l’abitudine di considerare la Russia come una fiction sanguinosa con steppe ghiacciate, vodka, mostri e mummie o buffoni per personaggi principali. Che Yeltsin sia le tre cose insieme (oggi si direbbe Putin, nd.r. – senza la vodka) non è che il topos portato alla perfezione e il capitolo dei Ceceni è nella vena dei precedenti”.
Con un paio di sviste, imperdonabili per una italianofila - e per una casa editrice che avrà dei redattori. A p. 19, il 29 maggio 1993, dopo l’attentato ai Georgofili, la Maestà di Giotto agli Uffizi diventa una tela, del XVmo secolo. Anche il noto ristorante “Da Mimmo” (poi chiuso), boulevard Magenta, è maltrattato: è “Da Mimo” alla p. 74.
Annie Ernaux, La vie extérieure, Gallimard, pp. 131 € 15

giovedì 22 maggio 2025

Problemi di base storici - 860

spock


La storia prepara il futuro?
 
Il passato scrive il futuro?
 
Il passato riscrive il futuro?
 
La storia è fatta dalla preistoria?
 
La storia non è mai cambiata nei suoi 5.500 anni?
 
La sola rottura con la preistoria è il Cristo?

spock@antiit.eu

L’Italia cresce, ma – con Landini - senza più l’industria

E anche: “Ridotto il gap con Berlino”. Malgrado la ridotta produttività. Tutto vero. Ma nell’analisi di Trovati manca l’essenziale: l’Italia cresce nei servizi. Nei servizi del turismo e alla persona, a basso valore aggiunto e\o produttività. Mentre riduce la produzione industriale, quasi dimezzando la meccanica, l’automotive.
Da cinque anni la produzione industriale è in calo costante, a causa del covid e per il contemporaneo semi-smantellamento della Fiat. Senza contare i giudici senza giudizio del caso dell’acciaio, come per Taranto: la transizione verde come vendetta o mannaia, senza criterio, basta non lavorare (avendo già allontanato due o tre proprietà) – tanto gli operai hanno la cassa integrazione, e possono fare un secondo lavoro.
Nel 2024 sono state prodotte in Italia circa 310mila autovetture (- 42,8% sul 2023) e 591mila autoveicoli (- 32,3%), secondo i dati dettagliati Anfia, l’associazione delle industrie automotive.
La produzione di auto si è più che dimezzata negli ultimi anni, dopo l’era Marchionne alla Fiat: 542.007 autovetture nel 2019 (-19,5 per cento sul 2018), 451.718 nel 2020 (-16,7 rispetto al 2019), 442.432 nel 2021 (-2,1), 473 mila nel 2022, 751 mila nel 2023.
Per il 2024 si dà anche una produzione in Italia di 475 mila autovetture - cifra che contrasta col calcolo più attendibile dell’Anfia. Ma quello che è più significativo è che negli anni 1990 l’auto made in Italy era terza in Europa e quinta al mondo, con una produzione annua di quasi 2 milioni di veicoli (il massimo, 2.220.774 auto, fu toccato nel 1989). Poi le strategie aziendali dovettero farsi sempre più internazionali, in Serbia e Polonia, in Sud America, in Nord America. Nel 2011, a metà dell’era Marchionne, non si arrivò a produrre in Italia 800 mila autovetture.
E la responsabilità è solo – prima dello sganciamento di Elkann – del sindacato: non c’è altro motivo per investire in Serbia o in MRocco invece che a Termini Imerese. A Pomigliano, dove la Fiat aveva investito per rinnovare l’impianto, i lavoratori arrivarono a disobbedire al sindacato, che voleva lo sciopero a oltranza contro l’impianto rinnovato. A un sindacato che poi era già allora l’incredibile Landini.
Gianni Trovati, Pil pro capite, l’Italia raggiunge la Francia,
“Il Sole 24 Ore”

mercoledì 21 maggio 2025

Il riarmo è francese

I più attivi nel riarmo europeo, Francia e Gran Bretagna, sono anche i paesi con la maggiore industria degli armamenti.  
Il maggiore fatturato militare (dei soli sistemi d’arma, senza gli esplosivi e il commissariato) è britannico. Dei gruppi Bae Systems, Rolls Royce, Bancock, per un fatturato totale (2023) di 40 miliardi di dollari. Segue la Francia (Thales, Naval, Safran, Dassault, Cea) con 25,5 miliardi.
L’Italia verrebbe terza, con Leonardo e Fincantieri, 14,2 miliardi. Ma la Germania ha grandi progetti, dalla Zeitenwende socialdemocratica di Scholz due anni fa ai piani di riarmo del governo Merz e, a Bruxelles, di Ursula von der Leyen – gli investimenti complessivi annunciati sono di 1.200 miliardi, 600 a Berlino, 600 a Bruxelles. Allo stato (2023) ha fatturato con i tre maggiori gruppi (Rheinmetall, ThyssenKrupp e Hensoldt) 9,3 miliardi.
Ma la Francia è di gran lunga, e su tutti i sistemi d’arma, aerei, navali, terrestri, missilistici, il paese pilota in Europa, quello più impegnato nella progettazione e la produzione. Hanno infatti matrice francese, con siti produttivi e controllo azionario a prevalenza francesi – con partecipazioni anche qualificate ma non determinanti britanniche, tedesche, italiana e spagnola - i gruppi “trans-europei”, Airbus, MMDA e KNUDS , con un fatturato nel 2023 di 21 miliardi.

Perché i Democratici si accusano

Nell’elogio funebre in Campidoglio per l’architetto Mimmo Cecchini, assessore all’Urbanistica a Roma a fine Novecento nelle giunte Rutelli, ispiratore e autore dei Piano Regolatore Generale, l’ingegnere Maurizio Veloccia, assessore in carica all’Urbanistica, consigliere eletto del Pd, il secondo più votato nel 2021, ha concluso con questa considerazione: “Si difese con puntiglio da accuse ingenerose, che come sempre fanno più male quando provengono dal proprio campo. E che, peraltro, quasi sempre provengono dal proprio campo”.
Terribile. È una pratica che si pensava democristiana, fra potentati, ma evidentemente no. Con Mimmo Cecchini, a parte le familiarità, si ricorda un contatto nel 2001 per la grazia a Adriano Sofri, suo congiunto, cui il presidente Ciampi si riteneva propenso - anche perché la condanna era per due terzi scontata. Ma il ministro della Giustizia, Piero Fassino, si disse contrario a presentarla (poi tornò al governo Berlusconi, con un leghista alla Giustizia, Castelli, e la cosa diventò improponibile).
Del Pd romano si sapeva – è quello che è andato dal notaio per dichiarare la decadenza del suo sindaco Marino (dopo averlo fatto denunciare, senza nessuna colpa, dalle segretarie). Ma il fatto è più antico del Pd, e quindi più radicato. In che cosa, per quale deontologia, per quale assetto di potere?

Mafiose belle, e feroci

Sorpresa, ora si può dire, sono due donne giovani, belle, determinate, a sovraintendere alle fortune\sfortune del clan Corleone – e alle fortune della serie? Altrimenti persa in un numero incalcolabile di assassinii, si va sul fim d’azione, con relativi tradimenti - non di sa più di chi contro chi (anche perché molto dialogo è sussurrato, o si è perduto nella copia). Sono assassine fredde, e anche spietate. L’una stilista a Milano, compagna di un integerrimo Procuratore della Repubblica.  L’altra, sua assistente, nonché fidanzata amorevole del di lei fratello sopravvissuto, ragazzo simpatico, spregiatore delle mafie, ma figlia del capomafia concorrente, che gliel’ha messa alle costole per spiarla, fredda e spietata, contro il suo stesso, gentile, innamorato.
Una serie, al secondo anno, decisamente “innovativa”: la mafia delle donne ci mancava. Delle donne donne, belle, in carriera, di successo, e feroci.
Mauro Mancini, Maria Corleone, Canale 5, Infinity

martedì 20 maggio 2025

Ma non c’è la fuga dal dollaro

Trump non ha spaventato i mercati. Le altre monete derivano, effetto dei dazi minacciati, il dollaro resta centrale – la bocciatura Moody’s del debito americano non ha influito sull’uso del dollaro né sul debito. Che pure si è accresciuto nel 2024, presidenza Biden, di 1.800 miliardi di dollari – il 6,4 per cento del pil (in Italia, in Europa, la soglia limite è il 3 per ceto – ma anche la Germania di Merz si è fatta autorizzare a raddoppiare la soglia). E più elevato sarà il disavanzo quest’anno, 1.900 miliardi.
Malgrado questa marcia d’indebitamento, e malgrado Moody’s, il premio di rischio dei Treasury e del dollaro rimane molto basso. Nessun investitore, Cina compresa, si è disimpegnato – non ha interesse a svalutare il proprio investimento. Gli Stati Uniti restano l’investimento di gran lunga maggiori di tutti i surplus commerciali e valutari. Anche perché: quale altro altrove? La posizione patrimoniale netta americana verso l’estero era e resta a un record di 26.200 miliardi a fine 2024.
Il Brics coin non esiste. Allo yuan cinese non si affida nemmeno Pechino. E l’euro è quello che vuole essere, malgrado i tanti ammonimenti, di Draghi per ultimo: una moneta comune – non ci sono eurobond, che pure sarebbero vantaggiosissimi, e anzi non c’è nemmeno una regolamentazione unitaria delle banche.
Il Fondo Monetario Internazionale censisce che tre quinti delle riserve valutarie mondiali, il 57,8 per cento, è in dollari (l’euro segue a molta distanza, il 19,8 per cento – i vari mercati euro). E analogamente per i pagamenti internazionali: sono in dollari tre pagamenti su cinque, il 59,6 percento – la Cina, il maggior performer del commercio mondiale, usa lo yuan per il 4,3 per cento.
E le prospettive a breve, malgrado Trump, restano positive, poiché la Federal Reserve non ha intenzione di ridurre i tassi, fermi al 4,25-4,50 per cento.  

Meloni il nuovo Fanfani

Giorgia Meloni è alta 1,63 come Fanfani. È diventata presidente del consiglio a 45 anni, come Fanfani. E predilige le tribune internazionali – Fanfani tentò perfino di fare la pace in Vietnam. In più sa le lingue - ma questo in Italia non conta.
Come Fanfani è pure per il fare, piena di idee e di progetti. E svelta a decidere, benché abbia un partito personale da gestire, e una coalizione da tenere compatta. A differenza di Fanfani, non ha consorti ingombranti.
Non ha il record di Fanfani – http://www.antiit.com/2024/11/fanfani-il-piu-grande-di-tutti.html
Ma ha governato solo due anni e poco più. “Fa” però – propone e realizza – allo stesso ritmo di Fanfani. Il piano Mattei – con uffici e scuole sparse per l’Africa. La politica Ue per il Mediterraneo (Algeria,Tunisia, Libia, Egitto, Turchia, Siria, Giordania, Israele, penisola arabica), sempre promessa da mezzo secolo e mai nemmeno pensata. Una qualche politica per l’Africa. La regolamentazione dell’immigrazione, contro lo schiavismo assassino transmediterraneo. L’atlantismo di ritorno – non da poco, in questi mesi di furore anti-americano.

A differenza di Fanfani, non ha mai tentato la via di Mosca.
Fanfani aveva anche il vezzo di strafare, e quindi di isolarsi, scomparendo sul più bello - salvo riemergere, lo chiamavano il Rieccolo. Meloni non si sa, ma potrebbe avere lo stesso vizio - p.es. con le banche, con la supertassa prima e ora con Unicredit (più abile Salvini con Mps-Mediobanca-Generali, mentre Schlein può contare su Unipol, con le affiliate ex Popolari Bper e Bps).

Droga e transizione non fanno una bella storia

Un polpettone – riscattato da qualche canzone nella parte iniziale, quelle di Zoe Saldana, che impersona l’avvocata tuttofare impecuniosa cui tocca sbrogliare gli impicci di cui s’intesse la trama (premiata giustamente con l’Oscar – ma non da protagonista, giustamente non hanno voluto sopravvalutare il film).
Un capomafia della droga barbuto e spietato, il messicano-tipo, padre tenerissimo di due figli, è infelice dalla nascita, perché non è femmina. Assolda l’avvocata ammirata in tv, che gli trova il chirurgo adatto, lo fa morire ammazzato dalla concorrenza, gli sistema moglie svampita e figli a Ginevra, e con lui diventato lei avvia un sostegno contro le violenze sulle donne. Finché la moglie scema, che lo tradiva già quando era onnipotente, non si rimette con l’antico amante, altro signore della droga, anzi più violento.
Karla Sofia Gascòn, l’attrice spagnola transgender di fatto, lui\lei, è espressiva – e anche simpatica, nel film e nella presentazione del film, in un italiano godibilissimo. Ma non basta.  
Un altro regalo di Cannes, festival irriconoscibile, ai produttori, a danno degli spettatori – dopo Julie Ducourneau, certo inarrivabile. Flop in Messico e negli Stati Uniti, dove Cannes non conta, il film ha incassato in Italia e in Spagna, e (meno) in Francia.
Sky l’ha anche accorciato, di una dozzina di minuti, ma non è servito – alcune scene, rimontate, forse darebbero un senso e un ritmo. 
 Jacques Audiard, Emilia Pérez, Sky Cinema

lunedì 19 maggio 2025

La “liberazione” di Trump

Lo yen si è apprezzato sul dollaro del 6,5 per cento da metà febbraio – ora a 145 yen per dollaro (era a 100 durante il covid, a fine 2020). La sterlina da 1,21 a 1,33. L’euro da 1 a 1,13  (era 1,23 a metà covid, fine 2020). Lo yuan cinese si è mosso poco, da 7,39 un mese fa a 7,20. Ma, anche se lieve, la quotazione – molto eterodiretta, la Cina ha pur sempre un’economia dirigista - significa che Pechino riconosce la richiesta di rivalutare, in qualche misura (il cambio è uno dei segreti più inattaccabili della Cina, forte regime comunista).
Il Liberation Day di Trump comincia a dare i suoi frutti. Sul fronte commerciale, dei dazi, la Gran Bretagna ha già concluso accordi più favorevoli agli Stati Uniti, Canada e Messico li stanno trattando, la Cina ne ha riconosciuto l’esigenza. E la Ue, per quanto improvvisamente anti-americana, per la difesa, l’immigrazione, i diritti, e Trump, riconosce che qualcosa in materia di dazi e doppie tassazioni c’è da fare, e sulle spese militari ha perfino superato subito le pretese di Trump.  

Trump-Ue, storia vecchia

Nel gennaio 1981 si insediava a Washington Ronald Reagan, un presidente poi passato alla storia (per avere sconfitto l’Urss, ridotto la burocrazia, chiuso il ciclo quasi ventennale di appannamento degli Stati Uniti - Cuba, assassinio Kennedy, crisi del dollaro, Vietnam, Nixon, Iran - e avviato un ciclo trentennale di crescita dell’economia, fino alla crisi delle banche), ma visto all’epoca come un personaggio minore (attore e sindacalista fallito, etc.) e un forte destrorso. Anche lui repubblicano, come Trump, anche lui portato dall’ala reazionaria – populista - del partito, che allora aveva anche un’ala liberal, dei Rockefeller. E analogamente rifiutato.
Nello stesso mese i principali istituti politici europei, la tedesca Dgap (Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik, società per la politica estera), il britannico Royal Institute of International Affairs (Riia), e l’Ifri francese, Institut français des relations internationales – cui si accodava negli Usa il Council on Foreign Relations, fondato negli anni 1920 dai Rockefeller - pubblicavano un rapporto preoccupato. Sul presidente, e sulla difesa europea.
La preoccupazione era che Reagan ponesse fine alla distensione – il primo passo verso la globalizzazione - e anche ai rapporti transatlantici. La proposta comune era che gli “Stati chiave” dell’Occidente procedessero al riarmo. Nell’ottica di una “responsabilità” speciale per la pace – fino alla formazione di una “coalizione di volenterosi”, con compiti di polizia internazionale.
Il documento del 1981 era seguito due anni dopo da uno studio dei tre istituti europei, con l’italiano Iai (Istituto Affari Internazionali) e l’olandese Clingendael, dal titolo: “La Comunità Europea di fronte alla decisione. Progresso o declino”.

Secondi pensieri - 562

zeulig


Cinema – “Il cinema è l’arte della verità”, P.P.Pasolini. Lo è – l’arte della finzione suprema – inattaccabile - che è la realtà. Come lo è di tutte le narrazioni. Ma al cinema con l’“evidenza”, invce della “descrizione” – per quanto immaginifica.

Crimini di guerra – Fattispecie diffusa postbellica, ora dilagante, sebbene senza criterio o fondamento giuridico, solo l’autoproclamazione, di solito del vincitore o del potente: il nemico è un criminale. È quello che emerge dall’applicazione del crimine. E, a contrariis, dal fatto che gli Stati Uniti, che hanno inventato e applicato la nozione, in tribunali speciali, non abbiano aderito alla Corte Penale Internazionale dell’Aja e anzi la avversino – non intendono sottostare a un giudizio “terzo”.
 
Un delitto al plurale, quasi a indicare, onestamente, che si tratta di un criterio politico prima che giuridico: sono i crimini del nemico - il nemico si vuole criminale. Il nemico del vincitore.
È un fatto che i bombardamenti Alleati, in Europa (in Sicilia e in Calabria su ogni minuscolo centro abitato e su ogni quartiere e monumento cittadino), e di più in Asia, per la “dottrina” specifica del generale Curtis LeMay, fino alla bomba atomica contro un Paese già vinto, non sono, nonché giudicati, nemmeno mai discussi. Benché avesere alla programmazione intenti  “dissuasivi”, di scoraggiamento della popolazione, e non militari.
Dei bombardamenti sulla Germania WE. Sebald, “Storia naturale della distruzione”, 1997, ha fatto un calcolo”esatto”: un milione di tonnellate di esplosivo, su 131 città, con 600 mila morti. Ma Sebald è un romanziere, non un giudice.
Le bombe in città le ha divisate la Luftwaffe, su Guernica, Coventry, Londra, Stalingrado, e sulla Francia che fuggiva per le strade di campagna, mitragliata a vista. Pure la strategia suona tedesca: a regimi di massa bombe di massa - Hitler, che “alla radio aveva una bella voce”, attesta Peter Handke, amava pianificare con gli slogan. Ma gli Alleati ne sganciarono di più – senza contare la Bomba.  Sebald nel 1997 poneva il problema. Addossava alla Germania di Hitler la prima teoria della guerra aerea totale e i primi attacchi. Ma al contempo rilevava, da anglista, lo speciale impegno della Raf negli attacchi aerei massicci notturni, a scopo di terrore, sulle città. Sotto l’impulso di “Bomber Harris” o “Butcher Harris”, il Macellaio, sir Arthur Harris, il maresciallo dell’Aria della Raf, l’aviazione britannica, a capo del Comando Bombardieri. Harris, teorico dei “bombardamenti a tappeto notturni”, a scopo di terrore, era molto influente su Churchill, che invece sui bombardamenti dei civili aveva riserve.
L’equivalente del maresciallo Harris fu nel Pacifico il generale dell’Usaf, l’aviazione americana, Curtis LeMay. Il generale, di cui si è persa la memoria, che nel Pacifico teorizzò e utilizzò le bombe incendiarie, la sua “dottrina” diceva “omicida”, diretta contro le persone più che contro gli obiettivi bellici - il suo allora sergente George Wallace lo avrebbe voluto nel 1968 nel suo ticket, vice nella corsa alla candidatura alle presidenziali, ma LeMay si tenne convenientemente alla larga. La sua dottrina era che “non ci sono civili innocenti”. In sei mesi in Giappone distrusse 64 città con le bombe incendiarie, “missioni” facili perché le case erano prevalentemente in legno. Hiroshima e Nagasaki, che erano in cemento, le distrusse con l’atomica, un milione di morti. Mentre professava: “Se non vinciamo saremo criminali di guerra” – i grandi criminali sono-fanno i cinici.
 
Opinione - Fluisce incontrollabile – si forma e si trasforma. Contro o sotto ogni forma di limitazione o vincolo, parentale, relazionale, religioso, sportivo, militare. Anche in prigione o sotto violenza, tortura compresa. Si veda oggi nei paesi islamici, Algeria, Tunisia, Egitto, tre paesi altrimenti diversi, per etnia, storia, lingua. O l’Iran, o l’Afghanistan. O la Turchia, che pure si vuole europea. Accomunati dalla religione, e dalla repressione dell’opinione. Che per nessun vantaggio, o per altro motivo di continuità, continua a essere professata in libertà, per quanto sotto torchio.
È la forma - il fondamento e l’espressione, della libertà.
  
Storia – La storia è fatta dalla preistoria. Molta, se non tutta. La guerra, p.es., tanto illogica fuori da famiglia-clan-tribù, e tanto ricorrente. In qualsiasi assetto socio-demografico, per qualsivoglia motivo, anche banale, e sempre radicalmente distruttiva - la dissoluzione del nemico, spesso con dileggio, comunque senza pietà.
La storia ha cinquemila anni (scrittura)? La preistoria un milione novecentonovantacinquemila.
Con una sola cesura, il Cristo. Che però è rifiutato - dileggiato – dalla sua gente, gli ebrei. E anche dalla sua chiesa non è trattato granché bene. Specie in fatto di guerre.
 
La preistoria, anche prima di Babele, della scrittura, è tutta la storia, anche quella propriamente detta?
Cristo è la sola rivoluzione della storia. La sola rottura con la preistoria – a parte l’applicazione ai segni, alla conservazione dei segni. Ma gli ebrei lo deridono, il suo popolo. E i cristiani se ne fanno – se ne sono fatto - vessillo sanguinoso, assassino, distruttivo.
 
Traduzione – Si aggiornano, come è giusto, riproponendo un testo, poetico o narrativo, a una platea rinnovata, comunque attuale, contemporanea. Ma la traduzione non dovrebbe contemporaneizzare. Non il testo di cui si vuole preservare, celebrare, l’originalità – la classicità. L’autore e l’opera sono storicizzati, storicizzabili. Inevitabilmente. Il contemperamento dei due tempi sarà il massimo inciampo della traduzione.
La patina fa parte del linguaggio.

zeulig@antiit.eu

La Germania è stanca, e un po’ confusa

Un instant book, di uno che si può dire massimo conoscitore delle economie tedesche, di cui fa la summa. Senza novità – è la riedizione di analisi e critiche già scritte per il “Financial Times”, di cui Münchau è forse il redattore più sperimentato (già direttore del “Financial Times Deutschland”, in lingua tedesca, che ha chiuso nel 2012 – quando vendeva 112 mila copie…). Ma messe insieme fanno notizia.
La Germania in effetti non è mai stata miracolata. Ha puntato sull’“eccellenza” -  sull’autopropaganda - di tutto ciò che è meccanica e chimica, ma con applicazione, faticando, duro e duraturo. Senza scoraggiamenti, senza tentennamenti. Salvo da qualche tempo, finiti i russi a Berlino, dirsi e sentirsi ricca e grande, importante, decisiva. Mentre approdava a inizio Millennio, ieri, con molte produzioni delocalizzate nell’Est Europa, perfino in Russia, e cinque milioni di disoccupati – veri, non finti, come spesso in Italia, nell’economia nera. Li ha eliminati eliminando il mercato del lavoro – i pilastri sindacali, a garanzia di orari e paghe orarie - con la liberalizzazione praticamente totale. Ed è venuto il miracolo dei lunghi anni di Merkel: l’arricchimento con una politica mercantilistica perfino esagerata, che si poteva appendere i nastrini della politica più “impegnata”, per gli immigrati, per il clima, e “per la Russia” (per il gas in quantità e a buon mercato). La produttività non ne ha beneficiato – non ha tenuto il passo. L’investimento si è adagiato sulla  spesa sociale - sulle facilitazioni offerte dal radicale jobs act del cancelliere socialista Schröder prima di Merkel. E su una delocalizzazione moltiplicata, in Cina in grande misura, e nel Sud -Est asiatico.
Il mercato interno ha finito per non reggere più il passo. E da qualche tempo, già prima della confrontation imposta da Trump, la Cina, grande serbatoio di vendita e di riesportazioni, è a rischio: non “beve” più (il vecchio problema delle politiche di consumo: “Puoi portare il cavallo alla fontana ma non puoi obbligarlo a bere”). In particolare compra sempre meno tedesco: il cinese è mezzo tedesco, sa vendere anche l’“eccellenza”, e il regime che sovrintende a Pechino si sottovaluta, è ferreo oggi come lo era ieri.
La Germania, spiega ripetutamente Münchau, resta sempre la maggiore economia europea, la quarta o quinta più importante al mondo per fatturato (pil), ma è stanca, troppo dipendente da mercati autoritari, Russia e Cina, e indietro sull’economia digitale. Che è la verità fino a ieri. Oggi? Il nuovo governo, del cancelliere Merz, si è fatto subito forte di un grande battage di investimenti multimiliardari, per la difesa, per il clima, per la digitalizzazione, per le infrastrutture – essendosi fatto autorizzare dal vecchio Parlamento a una spesa senza limiti. Mentre naviga con difficoltà nella politica, nel paese e anche al Bundestag. Di questo Münchau non può tenere conto - il libro è uscito un mese fa - ma è l’handicap maggiore.
Wolfgang Münchau, Kaput: The End of the German Miracle, Swift Press, pp. 256 €15

domenica 18 maggio 2025

Problemi di base cinematografici - 859

spock

Il pubblico al cinema non c’è più, ci paghi il pubblico?

 

Io so’ io e voi non siete un cazzo - E. Germano al governo?

 

Ma i David di Donatello sono ancora del Pci, ex – tutti?

 

E Geppi Cucciari, è una comica (brillante) o una vestale?

 

Il cinema è un divertimento o un’afflizione – a pagamento?

 

Anche le sale, meglio polverose e zoonotiche?

spock@antiit.eu

La Francia protagonista e la storia di Marx

La storia del miglior Marx, che si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come commedia, è bene espressa, testimoniata, certificata dall’Unione Europea. Per molti aspetti. Il più attuale è la Francia protagonista. Non a teatro, in politica internazionale - a parte il fatto che la storia può essere commedia sempre, e tragica, ma lasciamo perdere.
Al tempo di De Gaulle, sessant’anni fa, coi “non possumus”: niente Nato, o “anglosassòni”, niente Inghilterra, e niente, alla fine, di fatto, Germania (il genera le non amava Adenauer e non ne era amato) – “l’Europa dall’Atlantico agli Urali”. Un gigante, 1,96, a cui l’Italia poteva opporre, allora come oggi, un brevilineo – Fanfani era 1,63 (come oggi Meloni).
Ora, Macron è alto solo 1,78. Ma aspira in alto. Si erge nemmeno lui sa a che cosa, ma sempre molto in alto. Voleva mandare la Legione Straniera in Ucraina. E fin qui sembrava avere ragione, per un corpo d’élite da decenni in naftalina, finite le colonie – già peraltro attivo sottotraccia a Kiev e dintorni dal 27 febbraio del 2022. Ma ci voleva di rincalzo i tedeschi e gli inglesi, Che hanno detto sì per compiacerlo, traccheggiando, finché se l’è dimenticato. Voleva mettere le sue atomiche in Polonia, la Polonia ha detto sì, ma aspetta la prossima elezione (ce n’è sempre una, o del presidente, o del presidente del consiglio) – perfino i Baltici fanno finta di nulla. Aveva pure messo dazi contro Trump, ma poi gli hanno detto che li può mettere solo la von der Leyen – brutta sconfitta.
Ma è così che va l’Europa, al carro della Francia. Volubile – si diceva delle belle donne, adesso è bestemmia. Nel 1952 bocciò la difesa europea – pensare come sarebbe stata l’Europa oggi, altro che euro. Voleva l’Europa “continentale”, la vuole ora a metà, fino a Polonia e Ucraina – sì, ma domani? Vuole governare l’Europa con Berlino – a cui non gliene po’ frega’ de meno. E alla fine non le resta che rompere i coglioni all’Italia, in Libia, a Ventimiglia, in Ucraina, perfino a Tirana -  magari anche, attraverso il Grande Oriente, con i giudici italo-italofobi.
Ora, da Carlo VIII a Napoleone si capisce, i galli si davano un diritto di saccheggio. Ma oggi? A parte che, che cosa resta da rubare in Italia?

Il papa della fede in Cristo, e di Maria

Non è facile costruire in pochi giorni una biografia, per giunta di un papa, per di più “venuto d al nulla”, praticamente uno sconosciuto, Vecchi non ci prova. Molto qui è di papa Francesco. E di sant’A gostino. Con spigolature del conclave. E naturalmente con la “pace”, la prima e intensa parola, specialmente oggi, che Leone XIV ha pronunciato dal balcone. Ma forse molto i vaticanisti dovranno riabituarsi ad analizzare, di un papa in Vaticano. Che per adesso a loro sfugge - si vede ogni giorno: molte pagine, molte ore in tv, molti concilii e conciliaboli, e l’animus del papa e il senso che vuole imprimere al suo papato, che pure sono tangibili, ancora sfuggono.
Un papa – ha detto subito, all’annuncio, alle prime parole del primo discorso, vibrate ma calibrate, scritte, lette – che il cristianesimo intende quello del Cristo-Dio, dell’uomo che vive nell’amore e nella fede di Dio. Subito dopo intonando – intonando, non recitando, cosa mai successa – l’“Ave Maria” con tutta la folla in attesa. Per un senso corale della professione di fede – no divisorio, non “correntizio”. E per l’amore particolare della Vergine, proprio di chi è cresciuto con la madre, e quindi nel rispetto o venerazione della donna (un amore e un culto che intensificherà nei secondi e terzi atti, le prime uscite dal Vaticano, e col “Salve Regina” anch’esso intonato, e sempre in coro con gli altri fedeli).
Un papa che canta molto, in coro. Non un papa giornalistico, uno cioè che parla molto e ogni giorno prepara una sorpresa. Un papa della fede. Che sarebbe una novità, ma poco “giornalistica”.
Gian Guido Vecchi, Leone XIV, “Corriere della sera”, pp. 63, gratuito col giornale

sabato 17 maggio 2025

La corsa agli armamenti

Si cambia allegramente, dall’oggi al domani, un assetto finanziario della difesa - una distribuzione della spesa pubblica - inalterato per ottant’anni, di cui quaranta in una terribile “guerra fredda”, con minaccia atomica, come stappando un brindisi. Mentre è una spesa tipicamente “improduttiva”, ed è pericolosa – si fanno le armi per usarle. Con un programma di spesa a breve senza precedenti, di 1.200 miliardi.
È anche un “risveglio” principalmente tedesco, del governo di Berlino e di von der Leyen a Bruxelles, e anche questo è un fattore nuovo. Il programma del nuovo governo Merz prevede spese per la Difesa al 5 per cento del pil – l’annuncio è stato dato dal ministro degli Esteri, democristiano, irritando i socialdemocratici, ai quali fa capo il ministero della Difesa, ma gli Esteri sono stati voluti per il suo partito dal cancelliere Merz, dopo mezzo secolo di ministri Liberali, Verdi e Socialdemocratici, e dunque l’annuncio non è balzano.
Si spende così tanto e così in fretta senza un motivo preciso - la Russia non giustifica la spesa (la Russia, 144 milioni di persone, superficie e minerali incalcolabili, ha un pil inferiore a quello dell’Italia).
È vero, ed è giusto, che l’Europa si deve dotare di una politica di difesa. ma questa deve passare, più che per il riarmo di 27 eserciti nazionali, per una forza armata europea. Il progetto è politico e giuridico, prima che di acquisto di missili e carri armati.
L’Europa si è difesa per quarant’anni da una minaccia dichiarata, programmata, e ben peggiore di quanto Putin possa prospettare, quella dell’Unione Sovietica, con i russi a Berlino, organizzandosi con l’1,5 per cento del pil. Ora il vanto è di aver portato la spesa italiana al 2 per cento. Ma sono ben 1,2 miliardi in più. Una cifra enorme per un paese in ristrettezze finanziarie, com’è l’Italia. E con quale effetto?
Passare dal 2 al 5 per cento del pil, come il ministro Crosetto promette, significa quasi eguagliare la spesa per la sanità – 6,2 per cento. È tutto dire.

La Germania è lontana

È ripartita la macchina della Germania Grande: è bastato il ritorno alla cancelleria della Cdu\Csu, i democristiani o popolari tedeschi, per cancellare d’un tratto l’appannamento di Berlino e rilanciare il filone trionfalistico del quindicennio Merkel – a cancelliera del “troppo poco, troppo tardi”. Partendo dal già visto: “L’Italia non conta”, “No, non è vero, l’Italia conta”, e così via, il ludibrio.
Il nuovo governo ha all’Interno un antitaliano dichiarato, il bavarese Alexander Dobrindt, Csu, antagonista in pectore di Merz. Uno emerso nella crisi del debito del 2012, perché tuonava ogni giorno per la cacciata dell’Italia dall’euro – insieme col presidente dell’Ifo, l’influente istituto bavarese della Congiuntura (e con la Deutsche Bank, che speculava sui Bot, e la Bundesbank).
Merz non è bavarese, e non è Csu. Ma è stato l’anti-Merkel nel 2006 per la candidatura Cdu\Csu alla cancelleria, così come ora Dobrindt tallona lui, in attesa di un passo falso. Allora Merkel praticamene cacciò Merz, oggi Merz ha dovuto imbarcare nel suo governo il suo antagonista.
Nella sfortunata campagna del 2006 il giovane Merz era consigliato e protetto da Wolfgang Schäuble, bavarese anche lui, leader della Csu, ma di tutt’altra pasta che Dobrindt, politico colto e riflessivo. Merz ne terrà conto. E poi i Popolari a Bruxelles e dintorni hanno bisogno di Meloni. Anche per sapere come si fa nella sfida cruciale ad Alternative für Deutschland, l’arrembante destra tedesca, per esorcizzarla, se non per cooptarla - la funzione storica dei Popolari nella Germania Federale, specie della Csu. Quindi Merz farà gli attesi “baci e abbracci” domani a Roma.
Il dialogo però, che non c’era, non c’è. E non c’è alcun motivo che ci sia – non c’è stato con tutti i governi post-Berlusconi: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi.

A Garlasco il processo è alla Cassazione

La Procura di Pavia ci ha abituati alle revisioni. Sulla morte di Enrico Mattei ha tenuto banco per decenni. Sul “delitto di Garlasco” - l’assassinio di Chiara Poggi - dunque non si smentisce. Ma i presupposti oggi sono diversi.
Innanzitutto si è lavorato quasi dieci anni alla riapertura delle indagini. Da una denuncia del 2017, per stalking, presentata dai legali di Alberto Stasi, l’assassino di Chiara Poggi secondo la Cassazione. Poi, quattro morti collegabili all’assassinio di Chiara Poggi non indagate: rubricate come suicidi ma avvenute in forme impossibili con l’autoassassinio. Soprattutto, e di nuovo, una condanna, quella di Stasi, confusissima, decretata infine dalla Cassazione, senza la necessaria “certezza processuale assoluta” che la legge richiede, anzi tra mille ripensamenti (il processo è andato su è giù per una mezza dozzina di corti d’Appello). E contro il parere della Procura, che riteneva necessario un terzo o quarto processo. La stessa Procura a cui la Cassazione demanda ora nuove indagini.
Le nuove indagini devono essere “estesissime”. Quelle di prima, cioè, non lo erano.

Il corso delle cose - il terzo Simenon

La morte, per suicidio, di un recente amico sempre gioviale porta un medico di professione alla scoperta di faglie nelle vite di tutti i giorni, di figli, padri, mariti, mogli, amanti, rassegnati, che seguono il corso delle cose. Senza entusiasmi e senza rigetti. La vita di ogni giorno, un affare di letto qui, una malattia là, lunghe conversazioni, grandi bevute, grandi dolori sottaciuti, per primi a se stessi. Un racconto di mondi modesti. In toni sommessi: il racconto parte moderato, continua lento, finisce adagissimo.
Un terzo Simenon, non quello dei gialli Maigret né quello dei romanzi “duri”, sorprendenti di crudeltà, odii, bassezze, eroismi nella “normalità”. Narratore della vita di tutti i giorni, nelle famiglie, al lavoro e nel tempo libero. Con e senza figli, con gli amici, con le conoscenze, tra incontri più o meno scelti, più o meno casuali. Di un’umanità inguaribilmente grigia, anche a Montmartre, come in questo racconto, e lungo la Senna in campagna fuori Parigi. E specialmente a letto.
L’ultimo dei romanzi scritti da Simenon in America, nel 1954. Alla fine dell’autoesilio di dieci anni che si era imposto nel 1945 per sfuggire alla canea del collaborazionismo – ne era colpevole il fratello, per questo condannato a morte (rifugiatosi nella Legione Straniera, era morto due anni dopo nella guerra d’Indocina). 
Un racconto che prende rilievo forse nell’autobiografia: la storia di una crisi coniugale, creata e alimentata da lui, alla moglie lasciando pochi insignificanti interventi, e una parallela vicenda minima, sordida, di letto. In America Simenon aveva abbandonato la moglie “Tigy”, insieme alla quale aveva vissuto gli anni migliori, per sposare una segretaria che lo eccitava ma non amava – e con la quale continuerà una vita sessuale disordinata e  insoddisfacente (il Simenon di “una puttana al giorno”). 
Il racconto, se vuole avere un senso, è della leggerezza della coppia, anche solo di un rapido rapporto di letto, in un alberghetto anonimo, contro la pesantezza della famiglia - la biografia di Simenon uomo è, come si sa, indecifrabile, a petto della sensibilità dello scrittore. Oppure, viceversa - chissà, alla fine, in un moto di generosità verso Tigy? - la storia di una copia non bella, non avventurosa, non di successo,  che vive - ha vissuto - luno per laltra, e viceversa.
Il corso della vita. Con molto parlato, in modi ordinari, di cose ordinarie. Con una strana svista: il protagonista-narratore, medico di professione, enumera una cifra imprecisata ma abnorme di aborti spontanei della protagonista, moglie fedele, una dozzina, due dozzine – un miracolo. A pochi mesi peraltro l’uno dall’altro. Si direbbe di un amore tragico. O di un modo di essere svampito.   
Georges Simenon, Il grande Bob, Adelphi, pp. 166 € 19

venerdì 16 maggio 2025

Ombre - 774

Difesa al 2 per cento del pil? Fatto. Al 5 per cento? Sarà fatto. Il capo dei 5 Stelle Conte imbordellisce la questione, che però è di suo  assurda. Passare quest’anno dall’1,5 al 2 per cento del pil significa 1,2 miliardi in più. Per un’Italia che stringe la cinghia su ogni centesimo d’indebitamento è già molto. Passare al 5 per cento, come Crosetto si sbraccia di promettere, significa quasi eguagliare la spesa per la sanità – 6,2 per cento. Insensato. Oltre che stupido: a chi Meloni deve fare la guerra?
 
Effettuare fuori della Ue, della libera circolazione Schengen - e dell’attivismo di avvocati senza causa - p. es. in Albania, l’accertamento del diritto d’asilo no, scandalo, persecuzione. Anche se il commercio dei nuovi schiavi, gli immigrati, si fa forte soprattutto dello sbarco in area Schengen. Delocalizzare, cioè deportare, i detenuti immigrati in carceri a buon mercato, p.es. in Kossovo, sì. Non è una doppia morale, è la politica zero: chi vive di social non pensa.
 
Basta un nulla per scatenare le tribù a Tripoli, con centinaia di morti. Un inferno creato dai “democratizzatori” americani, la zarina Hillary Clinton e il debole Obama. Col contributo volenteroso del corrotto Sarkozy, il presidente francese che voleva seppellire i finanziamenti ricevuti da Gheddafi – assassinandolo – e scalzare l’Italia dalla Libia.
 
C’è accanimento della Procura di Taranto contro l’acciaieria? Sì, c’è. Contro l’impianto convertito su criteri ambientali? Si. Ha allontanato i due vecchi proprietari stranieri, ne ha già allontanato un terzo, e intimorisce il quarto. Vuole la chiusura dell’acciaieria, malgrado un’Autorizzazione Integrale Ambientale che è la più severa d’Europa. Non vuole un’acciaieria, nemmeno “verde”, la vuole chiusa. E l’ha chiusa, di fatto. Con quale autorità. E, soprattutto, perché?
 
Si rivive a Taranto la chiusura di Bagnoli 35 anni fa. Che da allora attende di diventare polo dell’economia del turismo, invece che della industria, che caratterizzava il napoletano – del  “Rinascimento dei camerieri” che indignava l’economista illustre della città, Mariano D’Antonio, tanto da indurlo, in tarda età, a lasciare Napoli per Roma. Ora Meloni ne promette l’avvio, il quarto, per l’America’s Cup. Nel 2027 - terminata la bonifica (per due miliardi di spesa).
 
L’Italia è stata depennata dal Weimar +, il coordinamento ristretto europeo (Germania, Francia, Italia, Polonia, Gran Bretagna, Spagna) sulla guerra in Ucraina? Sì. No. Colpa dei socialisti tedeschi. Il neo cancelliere Dc Merz rimedierà domani a Roma.
No, colpa di Merz, che nel suo governo ha voluto, dopo 50 anni, gli Esteri. Non è un  “cordone sanitario” socialista contro il centro-destra di Meloni: il “triangolo Weimar”, Germania-Francia-Polonia, un accordo in disuso del 1991, quando serviva a scaldare il posto per la Polonia nella Ue, è stato rilanciato e allargato il 13 febbraio u.s. dal governo socialista a Berlino. Ma si sottovaluta la Germania, quantum mutata ab illo, dopo la riunificazione – senza più i russi a Berlino.
   
Festa grande all’Olimpico di Roma e a Bologna per la Coppa Italia. L’anno scorso la vinse la Juventus, con analoghe manifestazioni. Poi deragliate nella lite dell’allenatore contro il direttore sportivo. Uno che ha fatto di tutto nella stagione per ostacolarlo. Assumendogli anche un sostituto, in segreto ma facendolo sapere. Col quale poi ha spento 250 milioni per calciatori inutili. Mentre liquidava giovani che ora sono colonne altrove, di Nazionali e grandi. Errori? No, è una dirigenza sempre al comando. Ma allora, che affari?
 
Che i sindacati revochino lo sciopero di 24 ore domani, perché domenica si insedia il papa in tv, questa era da vedere. Niente carità cristiana per i milioni di pendolari e altri viaggiatori che sarebbero rimasti a terra – con biglietto difficilmente trasferibile o rimborsabile. Un sindacato di signori.
È Landini, personaggio tv? È la Cgil che intronizza Landini - con un fido Bombardieri tale e quale il nome (non solo Craxi, anche Nenni fa rivoltare nella tomba). E la cosa non si ridicolizza.
 
E così avvenne “la scoperta di Unicredit” – che pure esiste da alcuni decenni. Lunedì o martedì diventa il gruppo bancario a maggiore capitalizzazione di Borsa, e oh meraviglia. Niente meraviglia prima, in questi quattro anni. Durante i quali un titolo che navigava a 12 euro è passato a 56 - e viaggia verso i 65 (65,5 per l’esattezza).
Può succedere in Borsa. Ma non per caso. Il caso è che i media se ne accorgano per il record.  
 
Non c’è più informazione. Neanche in affari – nemmeno per qualche intrallazzo. Per sapere come va il mondo bisogna sapere le lingue – è il “vantaggio”, in chiave ippica, della altrimenti leggerina Meloni (ma un vantaggio énaurme, si direbbe nel teatro dell’assurdo).
 
Rivela il “New Yorker” lo shock di George Clooney il 15 giugno 2024, a un evento da lui organizzato “con migliaia di donatori” per la campagna presidenziale, quando incontrò Biden: “Non era l’uomo che conosceva da anni, e quel che è peggio Biden non mostrò nemmeno di riconoscerlo”. Non connetteva, e Obama che doveva presentarlo ai “donatori”, restò senza parole.
 
Biden, “reduce da un lungo viaggio dal vertice del G 7 in Italia, apparve a Clooney come se fosse invecchiato d’un colpo di dieci anni”. Qualcun altro ricorda: “Era come vedere qualcuno in piedi che non era vivo”. E al G 7? Come e cosa si decide in questi vertici?
 
Unanimità a Cannes su Trump. Un coro, soprattutto americano – titoli assicurati.  Silenzio invece su Netanyahu. Trump non si teme, Netanyahu sì? Il cinema non è molto colto – Netanyahu, Gaza, chi, cosa, dove?
 
“Trump si arrende alla Cina”. Mentre ha ottenuto, ha cominciato a ottenere, quello che voleva. È così difficile capire che le “trumpate” sono tecniche negoziali? Siamo o non siamo un popolo di mercanti – quando eravamo qualcosa, fino alla scoperta dell’America? 

È curioso questo tifo per la Cina, Xi è meglio di Trump?

 
“Saranno solo due, un uomo e una donna, i pattinatori russi che potranno gareggiare all’Olimpiade di Cortina”. Non sono state ammesse copie d’artistico e coppie di danza. La Russia nel pattinaggio di figura, coppie e danza, è sempre stata di gran lunga la più forte nazionale del mondo”. Una scelta “olimpica” selettiva. Democratica o corrotta?
 
“La maggioranza dei russi sarebbe felice della tregua”, spiega a Imarisio sul “Corriere della sera” Aleksei Gromyko, nipote del sempiterno ministro degli Esteri della Russia sovietica, ora direttore dell’Istituto Europeo, all’Accademia moscovita delle Scienze – benché contrario all’invasione dell’Ucraina. Ma aggiunge: “Nessuna sicurezza europea senza coinvolgere noi”. O contro di noi, avrebbe potuto specificare. Che la Ue prepari una cortina di ferro, contro nessuna minaccia, è in effetti assurdo.
 
È come se la Ue, aggiunge Gromyko, “avesse demandato la gestione del problema ucraino a Paesi che provano odio nei nostri confronti, e ad altri che invece stanno traendo profitto dal rifornimento bellico”. In effetti, come si fa a dare la politica estera e di difesa europea ai Baltici e alla Polonia?
 
L’assassinio di Matteotti spiega Mieli pacifico - recensendo lo storico Fulvio Conti, “Massoneria e fascismo” - che “fu commissionato ed eseguito dalla massoneria”. E cita tutti i responsabili, una mezza dozzina, tra mandanti ed esecutori. Si sono fatte molte evocazioni del delitto, per i cento anni, ma il fatto più evidente è rimasto taciuto. Dopo, e sotto, l’“antifascismo” non si sa pensare niente.
 
Spiega il premier britannico Starmer, laburista: “Il partito laburista ha come valore chiave l’idea che l’immigrazione deve essere controllata, che deve essere selettiva e che dobbiamo scegliere chi vogliamo”. Populismo? Di sinistra? L’immigrazione va governata?
 
Si scoprono da qualche anno per il 25 aprile figure di partigiani, comandanti, vittime, e gesti eroici della Resistenza di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza. Si scopre a poco a poco – il Grande Fratello che governa l’antifascismo fa sempre paura. Ma con capacità narrative sempre più
affinate – forse perché i materiali sono (erano) sostanziosi.
 
Circolano ancora per Roma macchine della Polizia, ora declassate alla Polizia Penitenziaria, con lo stemma a stelle, che sarebbe di Subaru. La più piccola delle case giapponesi, con circolazione ridotta in Italia, quasi scomparsa, eccetto che a Roma. Lascito degli anni di Berlusconi, degli appalti pubblici che escludevano la Fiat – l’Avvocato Agnelli, il “santino” sul comodino di Berlusconi, lo snobbava. Subaru per la Polizia, gonfie Bmw e Audi per il governo – le famose “auto blu” poi svendute da Renzi, una delle sue “rottamazioni”. Il nazionalismo è (un po’) ambiguo.

Riecco Lilith, queer anti-queer

Rivedendolo, è un pamphlet. Una denuncia, ripetuta, insistita: per tre ore la stessa vicenda, di sopraffazione, che si ripete in varie edizioni. Di una donna contro altre donne, compagne o amanti oltre che concorrenti. La Lilith mesopotamica, senza corna ma altrettanto indiavolata. E forse un film anti-femminista – anti pretese angeliche dei movimenti lgbtqia.
Blanchett, femminista capofila, coppa Volpi e Golden Globe per questo film, è cattiva anche di suo, al solo guardarla. E anche perché è una che, promossa Grande Attrice da Woody Allen, ha trovato poi comodo scagliarglisi contro nel nome del #metoo.
Un film di due anni fa. Ma, in questa chiave, quanto remoto – c’era veramente un #metoo che censurava persone, film, libri?.
Todd Field, Tàr, Sky Cinema

giovedì 15 maggio 2025

La dottrina Trump

La pace, con il commercio, è la “liberta dei moderni” – la guerra, con la schiavitù, era la “libertà degli antichi”. Il mondo moderno grazie al commercio, sull’esempio dell’Inghilterra, assicura la libertà e il benesere, abbandonando la schiavitù e la guerra. È dunque la dottrina liberale più famosa, e insuperata benché vecchia di due secoli, quella di Benjamin Constant, piccolo ma potente intellettuale acerrimo nemico di Napoleone e le sue guerre, la “dottrina Trump”, il programma politico del presidente americano.
Sotto il tratto buffonesco del personaggio (della forma di comunicazione che ha scelto, come quella a maggiore impatto sul pubblico), si comincia a percepire quello che era dichiarato nel programma, una “dottrina Trump”. Che Viviana Mazza oggi sul “Corriere della sera” ha infine la possibilità di sintetizzare – con l’aiuto del filosofo politico (anti-Trump) Michael Walzer, in un’ampia pagina sotto questo titolo:
https://www.corriere.it/esteri/25_maggio_15/dottrina-trump-capitalismo-clientelare-scala-globale-3807af85-af7a-41a4-8103-0c096bc60xlk.shtml
Per una volta esponendo per esteso quanto Trump va dicendo sulle politiche americane che lo hanno preceduto dalla fine della guerra, l’epoca della pax americana: pace e sviluppo “non sono stati creati dai cosiddetti nation builder, dai neo con o dalle non-profit progressiste che hanno speso trilioni, e hanno fallito, per sviluppare e democratizzare Kabul e Bagdad … Alla fine i nation builder hanno distrutto più nazioni di quelle che hanno costruito, e gli interventisti sono intervenuti in società complesse che non capivano”.
Mazza cita a sostegno anche “l’immobiliarista e inviato speciale (di Trump) Steve Witkoff, che “la pace produce profitti, quindi è «logica»”.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (593)

Giuseppe Leuzzi


Omertà, secondo la Treccani, è “variante napol. di umiltà, dalla «società dell’umiltà», nome con cui fu anche indicata la camorra per il fatto che i suoi affiliati dovevano sottostare a un capo e a determinate leggi”. Secondo Ulderico Nisticò nelle vesti di filologo viene “dal latino homo”, sì, ma “che nel linguaggio feudale indica il vassallo armato di un signore”.
Codice di onore (obbedienza) o di paura? Decismente, la mafia non sarebbe fatta per i filologi, neppure per gli storici. Cui bono?
 
Sant’Eufemia, prima emigrante dalla Calabria
Sant’Eufemia è santa diffusa toponomasticamente in Calabria: Vetere, Lamezia, d’Aspromonte. Ma anche in Spagna: dà il nome a un paese di un migliaio di abitanti, nella provincia di Cordoba, in Andalusia, i cui abitanti si fanno chiamare “calabreses”. Ce n’è una anche in Argentina, ma opera di toscani, due fratelli.
La santa è veramente di Calcedonia, dei primi secoli del cristianesimo. Ma è di culto nella chiesa greca, e per questo rinomata in Calabria – una Sant’Eufemia è anche in Salento.
Quella spagnola, “un caso davero curioso”, è così spiegata da Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”,  p.204: “Fu ai tempi di Ruggero II che una spedizione di calabresi partecipò alla guerra di Spagna contro i Mori. È viva tradizione nel comune di Sant’Euf
emia nella provincia di Cordova, ritenere di essere discendenti di trentatré cavalieri calabresi, che combatterono con il re Alfonso VII di Castiglia detto l’Imperatore (1127-56), e il cui grido di guerra era «Sant’Eufemia!». Da allora gli abitanti sono detti calabresi, e amano e usano questo appellativo anche per la squadra di calcio e i loghi delle produzioni locali”.

Ruggero è Ruggero II di Sicilia, ma nato a Mileto vicino Vibo Valentia, dove il casato ristagnava da qualche decennio, guardando l’inoccupabile Sicilia. Figlio e successore di Ruggero il Normanno, poi Ruggero I di Sicilia, dell’autoproclamata dinastia degli Altavilla. Via via Gran Conte di Sicilia (dal 1105), duca di Puglia (dal 1127) e primo re di Sicilia, dal 1130 al 1154, fondatore del Regnum Siciliae - e per tale titolo anche re d’Africa.
 
Gli Sforza nascono in Calabria
Le fortune degli Sforza nascono in Calabria – duro colpo per il leghismo, se studiasse la storia. Ulderico Nisticò fa la sintesi delle loro prime vicende in “Controstoria delle Calabrie”, p. 67. “Francesco Sforza, figlio di Muzio Attendolo, ha avuto un passato calabrese, prima combattendo per Alfonso I, il re di Napoli, e distrugendo Taverna (Vecchia), poi sposando Polissena Ruffo di Montalto, ma quando questa morì senza figli, dovette lasciare il feudo. Lo seguì nelle sue vicende, nelle Marche e a Milano, Cicco Simonetta da Caccuri, che divenne primo ministro suo e del figlio Galeazzo e governatore del ducato per Gian Galeazzo. Finché Ludovidco il Moro non lo fece uccidere. I suoi eredi, fra cui il cardinale Giovanni, ebbero feudi e onori in Lombardia fino al XVII secolo”.
Il finale è impreciso. Giovanni, fratello di Francesco detto “Cicco”, si era trasferito anche lui (e con loro lo zio Angelo) a Milano. Dove, alla morte di Francesco Sforza, redasse la cosiddetta “Sforziade”, il commentario in latino in 31 libri, “Rerum Gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium Ducis Commentarii”, la cronistoria del ducato tra il 1442 e il 1466. Quando Cicco morì, nel 1480, Ludovico il Moro lo esiliò a Vercelli, risparmiandogli la vita solo perché aveva celebrato suo padre.
Cardinale sarà Giacomo, il figlio di Giovanni. Che fece carriera nello Stato pontificio, vescovo di Pesaro e di Perugia, e poi cardinale, a opera del papa Paolo III Farnese. Di passata fu anche vescovo di Lodi, carica che lasciò dopo poche settimane al nipote Giovanni. Che diventerà anche lui cardinale – e ci sarà un Giovanni vescovo di Lodi tra il 1538 e il 1556, un membro del Senato di Milano, nipote del Giovanni cardinale.
C’è molto Caccuri nel governo di Milano - a Caccuri sapevano leggere, scrivere in latino, e di legge.
Nel 1460, quando i Simonetta erano ancora in forze a Milano, Giovanni fu fatto feudatario di Rocca di Neto e Roccella da Ferdinando I d’Aragona, “don Ferrante”. Don Ferrante fra tutti era succeduto al padre Ferdinando I sul trono di Napoli sostenuto da Francesco Sforza. Insieme, don Ferrante e gli Sforza (Galeazzo, figlio e successore di Francesco), intervennero nelle vicende fiorentine sconfiggendo le mire di signoria di Bartolomeo Colleoni nelle vesti di protettore della Repubblica – quindi alleati di fatto dei Medici.
Un’ultima collaborazione militare decisiva per gli Sforza a Milano, tessuta da Cicco Simonetta, si ebbe nella Valle Padana, nel 1484, per imporre a Venezia la pace di Bagnolo. Gian Galeazzo Sforza aveva sposato Isabella d’Aragona, figlia di Alfonso II, sucecduto a Napoli a Ferdinando I, “don Ferrante”. Dieci anni dopo Luvdovico il Moro liquidava i suoi calabresi e napoletani. E sponsorizzava Carlo VIII, la spedizione che inaugurò lo smembramento dell’Italia sotto potenza straniera, vantando diritti su Napoli. Milano si vuole sempre quinta colonna di qualcosa.
 
La Grecia prima della Magna Grecia
C’è una presenza “micenea”, uno scambio, con le appendici italiane più prossime alla Grecia secondo le linee di navigazione aperte, allora come oggi per i migranti alla deriva, da venti e correnti, partendo dal Mediterraneo Orientale, verso Salento e Calabria, da Roca Vecchia a Trebisacce (e a Nardodipace?), documentata da scambi (ceramiche, monili, monete) e da mura ciclopiche – sul tipo dei nuraghi in Sardegna?
Non ci sono studi specifici. Ma ci sono molte evidenze, occasionali, di scavi su altre tracce.
Vent’anni fa, poco meno, si poteva registrare, su questo stesso sito:
“Tanti Tauri in Calabria, le tombe di Otranto, un’Eraclea Minoa e altre pietre resistenti a Augusta in Sicilia, bisognerà pure fare la storia dei micenei prima della Magna Grecia. A Roca Vecchia sotto il famoso san Foca, il martire giardiniere patrono dei marinai, si vede che i micenei erano in Italia settecento anni prima della prima colonia della storia greca ora in disarmo, avendovi lasciato le loro imitazioni povere delle piramidi. A Otranto, vecchia Idrusa, il signor De Donno ne ha alcune nel suo campo di Torre Pinta, dove fa trattoria.
“I micenei, gente che vagava per i mari, al tempo degli egiziani e dei medi persiani. Prima di sprofondare, da Creta e da ogni altra presenza in terraferma, col gigantesco krakatoa che inghiottì Santorini. Presto mitizzati, l’ingegner Dedalo e il figlio Icaro, l’accondiscendente Pasifae moglie del re Minosse, la gentile Arianna, e i tori onnipotenti. Si potrà sempre dire: ecco da dove viene il machismo del Sud”.
Non ci sonostati ritrovamenti decisivi da allora – non sono cercati. Ma convegni sì, si susseguono.
 
Se la libertà viene dal Sud, con le “masse” - 2
Sempre in prima fila, e in armi, per il resto neghittosi, quando si tratta della Vera Fede. Nel 1799 contro i Giacobini di Napoli – contro i francesi di Napoleone in realtà. Qualche anno dopo contro i napoleonici occupanti, che gli usi civici volevano assimilare alla manomorta ecclesiastica, e un maschio ogni dieci pretendevano soldato. Ma già nel secolo XII in Spagna contro i Mori, se un paese nel cordovano resiste che si vuole “calabrese”.
Nella sua “Controstoria delle Calabrie” a un certo punto, pp. 88-89, il laico Ulderico Nisticò non si trattiene dal celebrarne l’elogio – con ragioni forse non storiche, non vagliate, come quelle di Galasso, ma persuasive: “Nel febbraio del seguente 1799 accadde in Calabria un evento che, sebbene sia consuetudine della storiografia ufficiale di ignorarlo o denigrarlo, appare epocale per il futuro della politica dei secoli XIX e XX: il cardinale laico Fabrizio Ruffo, della gloriosa famiglia, sbarcò segretamente presso Palmi, e nel volgere di pochi giorni formò il primo esercito popolare della storia moderna, le Masse della Santa Fede.
“Ruffo percorse rapidamente la via dello Jonio. Crotone, che resistette, subì il saccheggio. Le masse giunsero in Puglia, e da lì a Napoli, compiendo il prodigio militare di tenere unite e sostanzialmente disciplinate le sue improvvisate truppe.  
“I Francesi lasciarono la capitale, dove i repubblicani, per qualche ora davvero indipendenti, offrirono al forte di Vigliena una resistenza valorosa, per quanto inutile. Ruffo offrì loro la resa, e l’esilio in Francia. Ma, con l’inganno, l’inglese Nelson li catturò. Processati che furono, un centinaio di loro subì la pena di morte. Secondo i più, per volontà della regina Carolina. Ma si pensa anche a una faida tra la Massoneria francese e quella inglese!
“La vicenda della Santa Fede, gloriosa e tragica in sé, non ebbe alcun seguito se non nelle scontate deprecazioni degli eredi dei giacobini, e per essi della storiografia patriottica dell’Ottocento”. Ma anche la corte napoletana diffidò. La Calabria non ne ebbe alcun beneficio. “E meno ancora il cardinale, frettolosamente messo da parte; e quando, nel 1806, frettolosamente si rivolsero di nuovo a lui, risponderà che certi miracoli avvengono una sola volta!”.
Di fatto, i “massisti” saranno centrali ancora, agli ordini inglesi - nelle cui file si formarono anche due battaglioni regolari, con divisa, mostrine e soldo - nella rivolta del 1806-1807 in Calabria contro il governo francese di Napoli - tasse, usi civici, leva obbligatoria. Di cui nelle vivaci lettere di Paul-Louis Courier, volontario napoleonico, che ogni poche notti si vede morto - poi grecista, poi assassinato, cinquantenne, con un colpo di fucile alla testa nei dintorni di Parigi. Furono di peso in particolare nel giugno del 1806, nella battaglia “che i francesi chiamano di Sant’Eufemia e gli inglesi di Maida”, al comando del generale americano lealista (fedele alla corona d’Inghilterra) Stuart.


gleuzzi@antiit.eu

La Rai formula Bernabei

La formula dei fratelli Bernabei, ossia “Don Matteo”. Sfondi amichevoli, colorati, pulitissimi, invoglianti, da campagna turistica. Girando per regioni e città in cerca di promozione, a pamamento. Quindi a costi ridotti. Per storie di buoni sentimenti – quelli che emergono dalle cronache. Qui siamo in Puglia, a Trani e dintorni - le saline spettacolari, anche se poco redditizie, sono di Margherita di Savoia, prossime al passaggio gentrificatore, come lo Stagnone di Trapani.
La storia è semplice: un caso criminale svolto, su eventi di attualità. Questa settimana il traffico di neonati, per adozioni abusive, una sorta di utero in affitto. Il personaggio curioso attorno a cui centrare la vicenda non è un prete né una monaca, ma un rom, cresciuto in un orfanotrofio, forse orfano, forse abbandonato, quindi anche lui un anti-eroe.
Spettacolare peraltro è che la Puglia sia riuscita, con i soli (pochi) capitali della Film Commission regionale, a rifarsi un’immagine in poco tempo, di regione mite, accogliente, prosperosa, di ambienti protetti e glorificati. Sfuggendo all’insidiosa tela di farne una (ennesima) regione di mafia.
Giuseppe Bonito, Gerri, Rai 1, Raiplay

mercoledì 14 maggio 2025

La stanza vuota del golden power

Domani dunque i messi di Orcel hanno infine ottenuto udienza al ministero del Tesoro sulla questione golden power opposta all’acquisizione di Bpm. Vedranno Stefano di Stefano, che non conta nulla, non ha neanche nominato i “giurati” del golden power, tutta gente della Lega, e della questione ha letto, come tutti, sui giornali.
La questione è come dice il ministro Giorgetti: si è decisa a palazzo Chigi. È qui infatti che ha sede l’apposito Ufficio golden power. È diretto da Bernardo Argiolas, un avvocato cinquantenne, con un master dieci anni fa alla Luiss, da cinque capo dell’Ufficio, nominato dal Conte I, per conto di Salvini. Solo lui sa perché e per chi ha deciso quello che ha deciso – ha fatto decidere all’apposito comitato, da lui creato e poi dismesso.
Di Stefano c’entra indirettamente: è l’interlocutore dell’attivazione Ue sulla questione golden power, perché tiene per il Tesoro i rapporti con l’Unione europea e gli altri organismi internazionali. E la Ue da qualche giorno mette in guardia contro gli abusi del golden power. Ma non sul caso Unicredit-Bpm. Si attiva su una bega tedesca-tedesca, nella quale un gruppo di private equity, Triton Partners, si fa forte del golden power italiano. Pur non avendo attività in Italia.

Il golden power Ue è per i carri armati tedeschi

È un’attenzione specifica, di interesse della Germania, e della Francia, che muove Bruxelles sull’esercizio del golden power. Non le ops di Orcel e Unicredit come si tende a dire – e come gli avvocati internazionalisti fanno valere (ma Orcel ne sa evidentemente di più, che si tiene alle cose). Per una questione insieme ridicola e terribilmente seria, come spesso a Bruxelles.
Il gruppo di armamenti franco-tedesco Knds (creato dalla tedesca Krauss-Maffei Wegman e dalla francese Nexter) ha rilevato la società tedesca Renk, specializzata in “sistemi di trasmissione per  veicoli militari” (cambi per carri armati), già suo fornitore. Un’azienda quotata un anno fa, e triplicata di valore. Il gruppo finanziario Triton, titolare di una quota del 18 per cento, si rifiuta di consegnare il pacchetto. Knuds ha fatto causa a Triton, a Francoforte. E ha adito la Ue. Che subito si è inventata un’autorità in via di costituzione sul golden power.
Da qui i primi divisamenti europei in materia. Generici, e genericamente riferiti alla Commissione. Ma non c’è da dubitare che, la cosa interessando la Germania e la Francia, Bruxelles si prenderà anche le competenze in materia di golden power.
Di Stefano (v. sopra) c’entra perché Triton si difende dicendo: manca l’autorizzazione del governo italiano, responsabile del controllo degli investimenti (si difende in due modi, l’altra è che “le condizioni di chiusura dell’opzione non sono state soddisfatte”). Renk non ha attività in Italia - giusto un rappresentante commerciale. Ma si vede che al golden power leghista ci si appiglia ormai per chiara fama.

Le disgrazie dell’innocenza

Minato è figlio di una giovane vedova. Una madre single. Quindi, dicono a scuola la preside, il vice-preside, i maestri, apprensiva e molto autocentrata. Quando il bambino – qui nell e forme di un ragazzo - ha dei problemi, dice di avere “il cervello di un maiale”, la madre protesta vivacemente, una, due, tre volte. Le “autorità” scolastiche le vengono incontro, e costringono l’insegnante del bambino a professarsi colpevole.
La madre poi scompare. Segue la storia dell’insegnante. Un giovane al primo incarico, generoso e estremamente attento. Gioioso anche e scherzoso. Infine insolentito, allontanato, abbandonato, forse suicida.
Poi il bambino-ragazzo ha una vita piena con una compagna di classe, molto più vispa e attiva di lui – come avviene di fatto nella pubertà, tra le femmine in genere e i maschi. Piena di avventure, in città e in campagna, a piedi, a nuoto e in bicicletta.
Un racconto semplice e complesso. A suo modo, un film-verità, in quella sorta di neorealismo che il cinema asiatico (giapponese, coreano) riprende da un decennio: delle “gente” com’è, semplice, umile, inimportante, e complicata.
Miracolosa la capacità di farlo durare due ore, senza colpi di scena, senza “bellezze”, senza “verità”.
Hirokazu Kore’eda,
L’innocenza, Sky Cinema, Now

martedì 13 maggio 2025

Letture - 578

 letterautore


Antifascismo
- P. Battista sul “Foglio” reperta vare bio wikipedia di giornalisti, di sinistra e di destra, rifatte ponendo alla prima riga un nonno o un padre fascistissimo, cioè repubblichino. Di chi la “manina”, si chiede? Battista opina per la sinistra politica, genere Anpi. Ma potrebbe anche essere un nostalgico, che ricorda il fascismo a chi lo ha rimosso – la fede nel fascismo, anche perdente. Il fascismo come ossessione invece che come fatto strico.  
 
Architettura fascista
– “Non esiste” per i media, anche se vi ci s’imbatte a ogni passo, specie a Roma e in Lombardia (Milano, Brescia, Piacenza…). Negli edifici e nell’urbanistica - di cui la Repubblica è stata ed è singolarmente sprovvista, ognuno costruisce quello che vuole dove vuole (si è perfino teorizzato l’abusivismo, quello “creativo” non quello “di necessità”, della stanza in più). Gianni Biondillo pubblica un libro, “La costruzione del potere”, in cui spiega, come da sottotitolo, “Perché l’architettura fascista non esiste”. E intende forse “non esiste” alla romana: non ce ne frega, facciamo che non c’è. Per poi fare lui stesso su “La Lettura” una mappa dettagliata degli edifici, e della ristrutturazione urbanistica, edifici compresi, di Milano. Dando alla città, va aggiunto, la fisonomia che solo adesso, con i grattacieli, sta (forse) cambiando. 
 
Confessione
- Come racconto, prima che come sacramento o testimonianza, nasce come si sa da sant’Agostino. E ha dilagato ultimamente nella narrativa - un racconto o romanzo su due, si calcola, è in forma memoir. E quasi sempre nella forma psicoanalitica. Di cui si considera precursore Philip Roth, per “Portnoy’s Complaint”, 1969, che si rilancia oggi con grande enfasi, e non Berto, “Il male oscuro”, pubblicato nel 1964, anch’esso con grande successo – premio Viareggio e premio Campiello, record di vendite, traduzioni immediate. Si privilegia cioè il racconto di psicoanalisi che non è presa sul serio.
 
Latino
– “«Il latino si studia obbligatoriamente in tutte le scuole superiori del Nord-America»”, poteva scrivere un secolo fa Filippo Virgilii: “«La storia romana è insegnata in tutti gli istituti, e tale insegnamento rivaleggia, se non supera quello che vien fatto nei ginnasi e nei licei italiani, perché nelle scuole americane la classica storia di Roma antica è tradotta fedelmente da Tacito e da Cesare, da Sallustio e da Tito Livio, mentre in Italia si ricorre troppo spesso e troppo ‘supinamente’ alle deformate (sic) traduzioni di Lipsia». Filippo Virgilii, “L’espansione della cultura italiana, «Nuova Antologia», 1° dicembre 1928 (il brano è a p. 346); (né può essere errore di stampa, dato il senso di tutto il periodo! E il Virgilii è professore di Università e ha fatto le scuole classiche!” (Gramsci, “Gli intellettuali”)
 
Malaparte – “Lo strano è che a sostenere il razzismo oggi (con l’Italia Barbara, L’Arcitaliano e lo strapaesismo)”, riflette Gramsci in una delle note de “Gli intellettuali”, sul razzismo in Italia, “sia Kurt Erich Suckert, nome evidentemente razzista e strapaesano”.
Ma Malaparte-Suckert non è il solo: “Ricordare durante la guerra Arturo Foà e le sue esaltazioni della stirpe italica, altrettanto congruenti che nel Suckert”. Arturo Foà, di Cuneo, “il poeta ebreo dimenticato” - morirà nel lager di Auschwitz, nel 1944.  
 
Roma – “Tutti volevano stare a Roma”, Giancarlo Giammetti, 87 anni, socio e partner di Valentino, serioso a Michele Masneri sul “Foglio” sabato: “Sa, era un periodo non comprensibile oggi… Era un’epoca irripetibile. Che bello che era!” Ma anche oggi, “è comunqe una città piacevole, meglio di New York, meglio di Parigi”.
 
Era romana negli anni 1960-1970 anche l’alta moda. Giammetti ricorda il loro studio-laboratorio in via Gregoriana, allora la via della haute couture: “Arrivava Marella Agnelli, arrivava Mia Acquarone, tutte le signore più importanti. Davanti a noi c’erano gli atelier di Simonetta (un marchio in realtà, n.d.r., di Donna Simonetta Colonna Romano di Cesarò, già sposata Visconti, proprietaria dell’intero palazzo), poi c’era Capucci, e poco distante Galitzine, e ancora Federico Forquet, Fabiani, tutti bravissimi”.
 
Montale – Memorabile, cioè citabile, lo vuole Lorenzo Tomasin sul “Sole 24 Ore Domenica”. Per una serie di espressioni entrate nel linguaggio comune: : “Male di vivere”, “Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, “Pallido e assorto”, “Scabro ed essenziale”, “È nato e morto, e non ha avuto un nome”, “la razza di chi rimane a terra”.
 
Sex worker - Gramsci era violentemente contro: “Turati. Il discorso parlamentare sulle «salariate dell'amore». Discorso disonorevole e abbietto. I tratti di «cattivo gusto» del Turati sono numerosi nelle sue «poesie»” – l’annotazione è raccolta ne “Gli intellettuali”, parte degli appunti finali sul “lorianesimo”.
 
Traduzione – Matteo Codignola spiega su “La Lettura”, in una argomentata intervista con Cristina Taglietti,  la sua traduzione di Ph. Roth, “Portnoy’s Complaint” - la terza, ogni editore, Bompiani, Einaudi e ora Adelphi, avendone adottato una propria – con “l’idea… di restituire a Portnoy il suono che aveva in origine”. Se non che, nelle pagine iniziali del romanzo, che il settimanale pubblica in originale e nella traduzione di Codignola, l’originale ha un suono diverso dall’italiano. “Conficcato” per “embedded”, “mi fiondavo” per “rush off”, “la becchi” per “make it” sono traduzioni lecite, e aggiornate, sono la terminologia dell’adolescente di oggi, ma non sono “Ph. Roth”.  La patina fa parte del linguaggio.
 
“Portnoy’s Complaint”, il titolo originale di Ph. Roth, nella riedizione Adelphi è semplificato in “Portnoy”. Di “complaint”, lamenta Codignola, si danno del resto quattro significati diversi: “una solenne lirica in onore di un amore non corrisposto, o perduto; un certo disturbo della personalità; una citazione in giudizio; e poi sì, la lagna dell’amico”. Ce ne sono di più, il “Roget’s Thesaurus” ne repertoria un decina - tra essi forse il più appropriato “tormento”.
 
Wagner – “Wagner (cfr. l’Ecce homo di Nietzsche) sapeva ciò che faceva affermando che la sua arte era l’espressione del genio tedesco, invitando così tutta una razza ad applaudire se stessa nelle sue opere” (Gramsci, “Quaderni del carcere”, 3 (XX) § (2)).

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