Cerca nel blog

martedì 9 dicembre 2025

Il governo si fa il primo gruppo bancario nazionale, senza opposizione

Il governo è entrato come un bulldozer nel mondo bancario e del risparmio, nel silenzio, anche delle opposizioni. Con Mps-Bpm-Mediobanca ha già il terzo gruppo bancario nazionale, e con l’assorbimento in corso di Generali si farà il primo. Per bancassurance, che è il settore più redditizio, e per attivi. Nel silenzio delle opposizioni, che pure su ogni altra quisquilia sono in armi ogni giorno e ogni momento del giorno.
Il Parlamento discute e vota il nuovo Testo unico di finanza. Il cui punto focale è rendere impossibile l’accertamento giudiziario del proibitissimo “concerto” tra soggetti impegnati in raid finanziari. E uno sussidiario, ma non meno importane nella fattispecie, di prendere il controllo di una società quotata, Generali nel caso,  col 40 per cento senza obbligo di opa generalizzata sul flottante, di obbligo di acquisto, cambiando la natura della società acquisita. Un mezzo terremoto, per un fine ben preciso - prendersi Generali per poco. E niente, anche qui silenzio, nessuna protesta.
L’opposizione non sa? “Non sapeva” nulla neanche quando il governo ha usato abusivamente il golden power – il potere di divieto - contro il progetto Unicredit di acquisire Bpm, di cui era informato dal presidente stesso di Unicredit, Padoan, per anni ministro del Tesoro e deputato Dem.
Il governo in banca è terribile, C’è stato, ma col filtro dell’Iri. E per la necessaria decantazione dallo statalismo fascista – essendo nato peraltro, anche sotto Mussolini, solo per causa di forza maggiore, per salvare il risparmio e il credito nel Grande Crac del 1929-1931. Più grave oggi è che il governo intervenga per via surrettizia, e perfino contro la legge.

Ammuìna sui fondi russi

È tema obbligato, da mesi, l’utilizzo delle riserve finanziarie e monetarie russe in Occidente, e degli investimenti di soggetti russi in titoli del Tesoro sempre in Occidente. Che non si può fare in base al diritto internazionale privato. E a lume di logica: il mondo disinvestirebbe dal debito occidentale.  
È tema obbligato praticamente solo in Italia. Sulla base di una ipotesi della Commissione di Bruxelles. Che però è una parte dei servizi finanziari della Commissione. Ed è stata avanzata a titolo dissuasivo nei confronti di Mosca.
Una ammuìna finanziaria – faciti ‘a faccia feroci. Come quella degli aiuti militari all’Ucraina, che di mese in mese si rinnovano, con processione di Zelensky in ogni capitale, ma non si vedono sul campo.

L’amore per caso

Una gradevole commedia all’americana, con poca suspense, e lieto fine assicurato. Un maturo ma giovane uomo d’affari è irresistibilmente attratto da un’aspirante ballerina un po’ sventata, conoscenza occasionale di aeroporto – da cui iltitolo. Che convive con una coetanea incinta, di uno che non ne vuole sapere, nemmeno di lei. E con un farfallone servizievole, il “devoto delle donne” -  a tempo perso toyboy della padrona di casa cinquantottenne, per farsi ridurre l’affitto. L’aspirante ballerina è ovviamene anche lei attratta, ma non ne vuole sapere: non vuole protezioni né raccomandazioni.
Una tramina leggera. In una Napoli perfetta, senza traffico, senza rumori, gentile e colorata. Un racconto che si anima da solo, anch’esso senza spinte, né artifici né sorprese - sapendo il finale, si gode di più (vediamo come ci si arriva)? O per l’aderenza degli interpreti ai personaggi, un casting curato: Denise Tantucci e Francesco Arca nei ruoli principali, i debuttanti Erasmo Genzini e Anna Lisa Pierro compagni di casa, e di contorno grandi professionisti, Beppe Servillo vecchio zio che ha ballato con Nureyev e Vassiliev, Mauro Graiani  omo-immagine, che scombina e combina i piani, Rosalia Porcaro cui basta la sola presenza per dare corpo alla suocera che non ne vuole sapere. Manfredonia, il regista dei Cetto La Qualunque, qui torna alle radici familiari, dei Comencini. Della misura, nell’introspezione e nel ridicolo. 
Giulio Manfredonia, Hotspot, amore senza rete, Sky Cinema

lunedì 8 dicembre 2025

Secondi pensieri - 574

zeulig


Consapevolezza – Un lusso, Dostoevskij lo fa dire dal memorialista delle sue “Memorie del sottosuolo”, a inizio racconto. E una condanna, dopo un certo punto: la consapevolezza ci vuole, dice il narratore di Dostoevskij, ma fino a un certo punto. Quella, p.es., “di cui vivono tutte le cosiddette persone spontanee e gli uomini d’azione”. Quanto basta per (soprav)vivere e agire, modestamente. “Sì, perché l’autentico, diretto, immediato frutto della consapevolezza è precisamente l’inerzia”.
L’attivismo in particolare è stolido: “Lo ripeto, con forza anzi lo ripeto tutte le persone spontanee e gli uomini d’azione sono tali appunto perché sono ottusi e limitati”.
La filosofia allora? Come dire che la conoscenza (qui chiamata consapevolezza) non ha senso né valore. Non buono. Una negazione inattuabile, se non che, successivamente – successivamente a Dostoevskij - c’è stata la conoscenza in forma di psicanalisi. E l’analisi, la psicoanalisi, non farà più danni di quanti benefici (terapeutici) possa comportare? Dostoevskij – il suo narratore - sapeva già di sì: “Forse che la persona consapevole può avere il benché minimo rispetto di sé?”
P.es.: “La consapevolezza del torto subito tramutandosi in spirito di vendetta riduce l’uomo a un vendicativo isolamento”.
Dostoevskij, certo, potrebbe parlare per sé, della tentazione, o del beneficio, di isolarsi dopo l’ingiusto confino?
 
Intercultura
– S’intende, più o meno scopertamente, accettazione, se non pratica, di fedi diverse – fedi religiose. Di religioni cioè, che invece sono patrimoni molto caratterizzati, quasi esclusivi, per impianto e, soprattutto, per concezione storica, di molteplici eventi, accaduti o procurati, azioni e reazioni. Come dialogare non nel senso di conoscere ma di appropriarsi, fare proprie, realtà che sono per natura, per conformazione e sviluppo, diverse e anche antitetiche, e molto spesso dichiaratamente ostili, nei propositi o nella conformazione.
 
Irrazionale – S’intende tutto ciò che non è scientifico. Mentre è “nativamente”, in radice, inizialmente, illogico, inconseguente, assurdo, e anche volontaristico - voler uscire dal consequenzialismo, anche soltanto dall’abitudine, dal modo di essere. Una conformazione che fa della razionalità non l’innervazione del mondo, ma un cantuccio, o un circoletto, dentro una grande nuvola, una meteora, una galassia.
 
Male – “Unde malum”, l’eterna questione di chi crede in un Dio creatore-salvatore, può risolversi come la scrittrice Flannery O’Connor argomenta nei suoi racconti – e nella corrispondenza: il male è il mondo, da cui ci si salva per la grazia di Dio.  Il male come un sostrato, un campo, o un mezzo divino per essere benedetti da Dio, prescelti, folgorati dalla sua grazia – dal suol arbitrio.
Che spiega il male (ne dà una spiegazione), ma annienta Dio, la creazione.
Il male resta l’anti-creazione.
 
Stupidità –  È il nostro substrato, della psiche e dell’esistenza, giacché si procede per trials and errors.
Il libero arbitrio è farcito di (è la voce della) stupidità.
 
“Signori, poniamo che l’uomo non sia stupido” – Dostoevskij, Memorie del sottosuolo”, § VIII – “e in effetti, che egli sia stupido non lo si può proprio dire, se non altro per l’unica ragione che, se fosse stupido lui, chi rimarrebbe più da potersi dire intelligente?” (ed. Oscar, p. 44).
 
Verità – Resta -residua – dalle religioni. Ma anche lì con dubbi.
È il contrario della confusione (mentale, emotiva), o della furbizia, per quanto introiettata, e quindi indismissibile. Accertabile (esistente) benché latitante, in dipendenza da “ordinamenti” storici.
   
Volontà - È per natura incerta – volubile. “Se davvero si riuscisse un giorno a scoprire la formula di tutti i nostri desideri e i nostri capricci, ovvero ciò da cui essi dipendono, e le leggi precise per le quali essi si producono, e il modo in cui essi effettivamente si appagano, e ciò a cui tendono nella tale e nella tal’altra occasione, ecc. ecc., se si riuscisse cioè a scoprire la loro vera formula matematica, magari allora l’uomo potrebbe anche smettere di volere, e anzi, smetterebbe di certo” - F. Dostoevskij, “Memorie del sottosuolo”, § VIII, Oscar p. 40.

zeulig@antiit.eu



Ombre – edizione speciale

“L’EUROPA  SOTTO ASSEDIO”
“Mosca si allinea all’attacco di Trump: «Condividiamo la sua visione sul Vecchio Continente»

“Musk ancora contro la Ue: Quarto Reich”
Cohn-Bendit: “Vogliono eliminarci, è un nuovo patto Molotov-Ribbentrop” (Cohn come Coen, non il con francese).
(la Repubblica”)

Amore e morte nella topaia

Una miniserie a forte impatto emotivo, con tentativi di stupro, adulteri, due assassinii e un suicidio. Un dramma, una serie di drammi, per niente, per nessun motivo e nessun obiettivo, se non la voglia da “piccolo-borghese provinciale”, come si sarebbe detto una volta (la solita Bovary, più che lady Macbeth), di andare a letto con chi vuole – insomma, amore e morte. Sopraffatto da una musica debordante, come nelle cavalcate dei film – Šostakóvič fu fertile autore di musiche da film, all’opera è arrivato praticando da ragazzo questa arte: mai una pausa, un idillio, un sospiro.
Chailly, l’orchestra e il coro della Scala esaltano il ritmo della scrittura musicale. La messinscena e gli interpreti l’appannano. L’appiattiscono in una sorta di commedia all’italiana. No, di attardato, o neo (v. il cinema coreano)  neorealismo: troppi corpi sfatti, di cinquanta-sessantenni, per una regia che li vuole preferibilmente in canottiera sudaticcia alla Bossi, e anche nudi. E la poesia si perde. Anche il dramma, lo scontro degli opposti egotismi. Si salvano i personaggi di contorno, per voce, intonazione e gestualità: il basso Alexander Roslavets, suocero di Lady Macbeth, Ekaterina Sannikova, brillante “operaia”, concupita dagli omaccioni, il baritono-basso Ivan Shcherbatykh, il capo-reparto che la palpeggia. Le voci principali, Sara Jakubiak e Najmiddin Mavlyano, la Lady e  l’amante Sergej, sono incolori. Per effetto della scena, dei costumi, dei debordanti poignets d’amour? Lei ha un giustificativo: deve lavorare molto, per tutt’e quattro gli atti, su più di un registro.
Si vuole “Lady Macbeth” un’opera femminista, ma non lo è. Lei difende, sì, una serva da un tentativo di violenza sessuale. Ma è, si sente, colpevole, perfino di fronte a una polizia corrottissima. E muore per i dispetti di un’avida e furba compagna di sventura in Siberia. Semmai, un’opera libertina. Sarebbe, con altro approccio registico che non questo alla Scala.
Una critica della “Pravda”, il temibile giornale del partito Comunista Sovietico, alla prima stagione dell’opera, nel 1936, che si vuole scritta o dettata da Stalin, una stroncatura senza appello, ne ha fatto un oggetto di culto. E per molti aspetti lo è ancora. Per il soggetto: non si è osato nulla di dremmaticamente così ardito. E per la tensione sonora, che è costante. Ma, si direbbe, da vera “musica da film”, su una partitura a un solo tempo, se ci fosse, l’“incalzante”. Qui peraltro su fondo ammosciante.
La regia, molto vantata, di Vassily Barkhatov (lui, sì,
personaggio da “Lady Macbeth”, con un gigantesco ciuffo biondo a volute molto curate – ogni “uscita” gli deve prendere molta cura), ambienta il dramma in una topaia. Anche nelle scene in cui, per dire l’affluenza che circonda la Lady, si sta dentro un ristorante apparecchiato, di molti tavoli. Un fondale grigiotopo. Per lo più di luci spente. E costumi marroncino.

Undici minuti di applausi, ma alla Scala alla prima sono ormai obbligati. Pochi alla tv, pochissimi per Rai1, meno di un milione.
Dmítrij Dmítrievič Šostakóvič, Lady Macbeth del distretto di Mcensk, Teatro alla Scala

domenica 7 dicembre 2025

Ombre - 802

Ci sono due posizioni che ci concernono nel nuovo documento americano di difesa nazionale, distinte e chiare. Una è che l’Europa della Nato deve avere un potenziale e una strategia di difesa, , non possono – non devono, non vogliono, le priorità americane sono altre - garantirgliela gli Stati Uniti. L’altro è politico, e riflette l’attuale amministrazione: l’irritazione verso un’Europa illiberale per essere troppo liberal – di sinistra all’americana, woke nel gergo attuale: per il primato delle minoranze.  
 
È generale, ma curiosa, l’indignazione per l’aggiornamento della National Security americana – che al solito si imputa al “tycoon”. Curiosa perché il documento dice la verità. Oggi forse in maniera più rude (non nel contest o), ma lo dice da tre decenni, più o meno. L’Europa era famosa per le “scoperte”, ogni tanto scopriva un’altra parte del mondo. Adesso che dovrebbe scoprire che è nuda ha rigurgiti di pudore – cattivo Trump, cattivi americani.0
Ma, poi, si dice Europa ma è l’Italia: nei media transalpini tanto sdegno – o è paura – non si trova. L’informazione in Italia è sempre al tempo del Pci, dell’anti-americanismo.
 
L’Italia è andata ai sorteggi per il Mondale americano di calcio nel “quarto pot” (potenziale) o “ovr” (valutazione complessiva) della Fifa, l’ultimo, in questa fascia: Capo Verde, Curaçao, Giordania, Ghana, Haiti e Nuova Zelanda. E ha problemi a vendere in tv la serie A.
 
Dopo anto battage contro, l’editore di estrema destra alla fiera del libro di Roma può vantare di avere venduto tutto nei primi due giorni, e di avere la fila dei visitatoti-curiosi. Magari non è vero. Ma: 1) sicuramente è passato dall’anonimità di provincia, a San Casciano Val di Pesa, a editore d’area di primo piano, e 2) difficile pensare che  anti neofascisti abbiano pagato il biglietto, 10 euro, e si siano sbobbati una fila per solidarietà: Oppure: c’è una solidarietà di destra, da perseguitati? Ahi, ahi!
 
La separazione delle carriere in magistratura, tra inquirenti e giudicanti, è attiva in Portogallo da mezzo secolo, dalla “rivoluzione dei garofani”, e funziona. Tanto che la riforma Nordio viene detta a Montecitorio “alla portoghese”. Però il sindacato degli inquirenti portoghese fa comunicati per dire che la in Italia è “un pericolo per la democrazia”. I giudici deludono non tanto per non sapere o volere amministrate la giustizia ma per la rozzezza.
 
La giudice Albano, che a Roma ha presieduto il sinedrio delle giudici incaricate di bloccare il progetto Meloni di tenere fuori d’Italia gli immigrati irregolari in attesa del riconoscimento del diritto d’asilo (senza la possibilità, cioè, di eclissarsi nelle more dell’accertamento, che è la chiave della tratta mediterranea dell’immigrazione: metti piede in qualche posto in Italia ed è fatta) va al festival Meloni, Atreju. È la “dialettica politica”, spiega. Che i migranti si affidino ai mercanti, strapagandoli, anche se ogni tanto muoiono, a decine, a centinaia. La politica del cinismo? Albano ha già fatto carriera – presiede lo speciale Tribunale anti-Meloni – ma evidentemente non le basta.
 
Il presidente cinese Xi siede a una manifestazione all’aperto con cappotto ad alti revers – la Cina ha clima continentale, il freddo d’inverno è duro. Accanto a lui il presidente francese Macron sorride in giacchetta e camicia aperta. L’immagine dell’Europa, frilli e autocelebrazioni.
 
Il giornale di Xi, il “Quotidiano del popolo”, la “Pravda” cinese, del partito Comunista Cinese, fa la prima pagina con Macron in varie pose, tre o quattro fotografie. Nelle pagine interne comunica in piccolo, comunica lo sguinzagliamento della flotta cinese in tutte le aree contese, col Giappone, con le Filippine, e con la Russia – con la quale fa congiuntamente esercitazioni navali.
 
“Non tutti sano che tra gli anni Cinquanta e i Novata non era permesso agli emigrati di ospitare i propri figli in casa, in territorio elvetico”, Andrea Biavardi, il direttore di “Oggi”. I genitori di Biavardi erano emigrati in Svizzera, ma sua madre per partorire dovette spostarsi a Varese. Biavardi è del 1958.
 
Retromarcia del Pd su tutti i fronti, Torino, Napoli, Firenze, Bari, Reggio Emilia, Bologna, che aveva eletto Albanese loro concittadina ad onore, con le “chiavi della città”. Quelli di Jesi e di Fabriano invece tengono duro, non si fanno restituire le chiavi. Tutti sindaci Pd di matrice ex Pci. Che quindi non ha finito di fare danni? O è sempre il “partito dei sindaci”, che invece che amministrare pensano a pazzo Chigi? Albanese, di che eroismo è portatrice, giusto perché è un personaggio tv?  
 
Sinner in vacanza non ha trovato un minuto o un social per dire una parola in morte di Pietrangeli. Non per sbadataggine, è coadiuvato da un esercito di collaboratori, all’immagine, alla pubblicità, ai social stessi. Non è disattenzione. Come tutti i sudtirolesi, italiani ormai da un secolo, Sinner accetta l’Italia perché lo arricchisce – chiedere a tutti gli altri tedescofoni, dei tirolesi del Sud. Ma senza gratitudine, povere vittime.
 
Ilary Blasi, dopo avere tradito Totti, suo marito, prende a perseguitarlo quando lui si fa un’altra vita. Tra le tante sue iniziative, una denuncia per abbandono di minore. Solo perché una sera Totti è uscito a cena con la sua nuova compagna. La bambina lasciando accudita da baby-sitter – come i Carabinieri hanno accertato, che la Blasi aveva allertato. Su denuncia della Blasi si fa un processo. E non per ridere. Poi si dice che si fanno leggi contro i giudici. Iù che una legge ci vorrebbe un codice decenza nella giustizia.
 
Lo scrittore curdo di Turchia Burhan Sönmez, presidente del Pen International, denuncia la mostra romana “Più libri, più liberi”: “La situazione degli scrittori nel mondo” è in netto peggioramento, ”molti nostri membri sono attualmente in carcere”. Con un innuendo come se fossero in carcere in Occidente. Mentre sono tutti in carcere nei paesi mussulmani, la Turchia soprattutto, l’Algeria – e qualcuno in Venezuela e in Cina.
 
Dopo il siluramento, obbligato, di Yermak, l’alter ego di Zelensky, si fanno lunghe liste di affaristi e affari sporchi in questi anni di guerra, e quasi sempre con le forniture belliche. Prima non si sapevano o non dicevano? Si sapevano, se le ricostruzioni sono così accurate, dettagliate.
 
Non ha trovato molti cristiani il papa in Libano, dove erano i più numerosi dopo gli islamici -come un tempo in Palestina, in Iraq, in Siria, in Turchia. Gente pacifica, ma lo stesso invisa a islamici ed ebrei, anche non integralisti – in Egitto ci hanno provato, ma i Copti si sono difesi, col potere non con la chiesa.
 
È sempre record di occupati, e di occupati a tempo indeterminato. Con lo spread sotto quota 70. Sono numeri importanti per l’Italia – soprattutto se messi in rapporto con l’abbandono della siderurgia e dell’automotive, del settore metalmeccanico nell’insieme. Ma nessun commento positivo. Ragioni di opportunità politica? Cioè, i media importanti sono per il Pd? Che però appartengono a ricchi e riccastri, Elkann, Caltagirone, Cairo. Il Pd è la scelta dei ricchi e riccastri?
Né si può dire che gli editori ricchi e riccastri navighino “a sinistra” perché è di sinistra il p0bblico dei lettori. Dato che i lettori sono in calo costante. È solo opportunismo: l’opinione pubblica è infetta.
 
Vincono tutti le elezioni, un po’ a destra, un po’ a sinistra. Ma prendono meno voti, a destra e a sinistra. Vincono le percentuali.

Capodanno con Topolino

“Una cena speciale” è quella di San Silvestro per Montalbano, di una superinventiva che è tenuto a escogitare per passarlo da solo in casa di Adelina pea mangiarsi “otto suplì”, come una corsa a ostacolì per evitare tutti coloro che lo vorrebbero al “veglione”. Finisce male, nel senso che finisce a un veglione in maschera, di maschere di Topolino, il peggio del peggio, perché Livia  si materialzza all’improvviso e, non invitata da Adelina, “siccome che Adelina e Silvia non si facivano sange”, si è impuntata. Ma lì ha una sorpresa che gli risolve molti problemi. Anche con gli arancini.
È l’aneddoto migliore… Testi un po’ annacquati – a Capodanno siamo tutti buoni?
Si riedita la raccolta del 2012 con grafica attraente, ma di rilettura stanca.  
Aa.vv., Capodanno in giallo, Sellerio, pp. 280, € 12

sabato 6 dicembre 2025

Trump impone all’Europa la difesa comune

La vera novità della National Security Strategy americana che indigna l’Europa è che gli Stati Uniti vogliono che l’Europa impari a difendersi. Detto brutalmente, nello stile di Trump (ma forse nemmeno: nei media americani, pure attenti a ogni detto o fatto di Trump, non se ne parla), che però è anche l’unico linguaggio che l’Europa capisce.
A ottanta anni dalla fine della guerra l’Europa non ha una difesa: una organizzazione militare, armata adeguatamente, con piani strategici aggiornati. La difesa è anzi la cosa da cui finora più ha rifuggito.
Era stata la primissima idea di Europa, insieme con la Ceca (carbone e acciaio in comune). René Pleven, ministro della Difesa e poi presidente del consiglio a Parigi nel 1950, discutendosi della  riammissione della Germania alla spesa militare, propose di imbrigliarla in una Comunità europea di difesa (Ced): la Ced fu firmata, dai futuri fondatori della Comunità europea, ma la stessa Francia la bocciò nel 1954 con referendum. Poi se ne è molto parlato, ma per non farla.
La Ue che grida “al lupo, al lupo” contro Putin, che afferma che la Russia sta per invaderla, che si svena con ondate inutili di sanzioni, ne è il segno: l’Europa è imbelle. Spende molto in armi, ma a nessun effetto: armi da parata. Spende per cinque (o sono sei?) caccia diversi, otto (o dieci?) carri armati diversi, missili di ogni tipo e provenienza, e nessun piano strategico comune, o coordinamento, a parte le chiacchiere, e le scartoffie.

Cronache dell’altro mondo - migratorie (371)

“Il clero di San Diego offre sollievo agli immigrati – e uno scudo contro l’Ice (Immigration and Customs Enforcement – la polizia di frontiera, n.d.r.). In nessun’altra città la comunità religiosa si è mobilitata su così larga scala per difendere gli immigrati dal governo federale”.
Nel caso che si segnala si tratta della comunità cattolica. A iniziativa del primo vescovo nominato in America da Leone XIV, a maggio, Michael Pham, un vietnamita arrivato negli anni 1980 come rifugiato. Con l’ausilio del parroco di Nostra Signora di Guadalupe, nel Barrio Logan, Scott Santarosa. Che s’incrocia in abito talare, ma “è la versione statunitense di un teologo della liberazione”.
“All’inizio della guerra agli immigrati del Trump 2, il vescovo di San Diego, Michael Pham, scoprì che l’Ice era meno propenso ad arrestare in massa gli immigrati in presenza di membri del clero. Così decise che il clero si sarebbe recato in tribunale ogni giorno di sessione, e affidò a Santarosa la gestione del progetto – noto come Faith, “faithful accompaniment in trust and hoe”.
Santarosa ha creato un San Diego Organizing Project, al quale collaborano un centinaio di volontari. Che presidiano gli uffici dell’Ice e i tribunali.
(“The Nation”)

Toccherà rifare il “Viaggio” di Céline

L’amministratore delegato e direttore editoriale di Adelphi analizza “Londra”, il corposo inedito ricomparso “un po’ misteriosamente una sessantina di anni dopo la morte dell’autore”. Per cercare di datarne la scrittura. “Il coro degli studiosi, con rare eccezioni, è unanime: Guerra  e Londra”, due degli inediti fatti ritrovare tre anni fa e già pubblicati, “sono stati scritti tra il ’34 e il ‘35”. Tra i due grandi romanzi di Céline, dopo il “Viaggio al termine della notte” e prima di “Morte a credito”. Colajanni non ne è convinto. Basandosi sulla corrispondenza, e sulla mole del lavoro, spiega persuasivamente che i due testi dovevano fare parte del “Viaggio”, ma poi sono rimasti fuori. Per motivi che non sappiamo. Anche se con probabili rilavorazioni successive.
Un riesame che Colajanni basa sulla corrispondenza. Ci sarebbero altri elementi, si può aggiungere, stilistici e (orto)grafici, per una diversa, più probabile, datazione. Resta il fatto che  “Céline a quei manoscritti teneva moltissimo, e ha continuato a rimpiangerli per tutta la vita”.
Un saggio alla fine più complesso e ambizioso che la datazione degli inediti. L’intervento su “Londra” porta a un riesame del “Viaggio”, del progetto e della scrittura del “Viaggio”, l’opera prima (in realtà no, ma è questione complessa) e più importante di Céline. Colajanni ne avvia la rilettura. E individua, attorno al “Viaggio”, una sorta di “ciclo di Bardamu”, il nome diminutivo, ironicamente spregiativo, che lo scrittore si dà nel primo ciclo di narrazioni, nei primi anni 1930.
Roberto Colajanni, I castelli in aria di Céline, “La Lettura”  16 novembre 2025

venerdì 5 dicembre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (616)

Giuseppe Leuzzi


Si legge su Instagram una tabellina degli “espatriati” per regione, costruita all’inverso, dal meno al più:
10.Calabria 290.00
9. Puglia 300.000
8. Toscana 320.000
7. Emilia-Romagna 420.000  
6. Piemonte 470.000
5. Lazio 510.000
4. Campania 530.000
3. Veneto  614.000
2. Lombardia 690.000
1. Sicilia 844.000
Uno scherzo? Non è detto il periodo, né la fonte, né i motivi. Ma la migrazione dice una costante “normale”, un modo di essere e di vivere come un altro.
 
Parla sul “Corriere della sera” Allegra Gucci, che a 14 anni ha perso il padre Maurizio, fatto assassinare dalla madre Reggiani, e per i sucessivi trenta si è occupata della mare assassina, in carcere e fuori. Sempre insolentita, da bambina e dopo, dalla stessa. E dalla madre di lei – “una dona malvagia”. Entrambe di Vignola, il cuore dell’Emilia tutta cuore. Che eprò non si dice: la malvagità non fa parte del “racconto” Emiliano.
 
“Data Center, 14 nuovi progetti, per un investimento da 2,5miliardi”. Tutti attorno a Milano. Ricchezza chiama ricchezza. Magari saranno serviti da tecnici meridionali, magari formati al Sud, ma il “processo di sviluppo” no si raddrizza, al meglio va per accumulo – chi più ha più ha.
 
Il “Sole 24 Ore” compila la graduatoria della “qualità della vita” in cu le ultime 25 posizioni sono di città meridionali. E nelle prime 40 c’è una sola, Cagliari - peraltro 39ma. Senza ironia. È una classifica dura, ma per Miano, per chi l’ha compilata.
 
La giustzia settentrionale
Dialogo sul “Corriere della sera” tra Giuseppe Guastella, corrispondente a Bruxelles, e Alessandra Moretti, eurodeputata del Pd, inquisita dall’apparato repressivo belga:
“Lei è sospettata di associazione criminale finalizzata alla corruzione”.
“Non mi viene imputato nessun passaggio di denaro. Non ho mai ricevuto benefici, regali e vantaggi da nessuno e tanto meno dal Marocco o dal Qatar”. 
“Le contestano viaggi in questi due Paesi”. 
“Smentiti documenti alla mano. Mi è stato contestato di aver viaggiato più volte in Marocco, dove non ho mai messo piede in vita mia, come ho dimostrato producendo i miei passaporti dai quali emerge chiaramente. Mi è stato contestato che sarei andata ad assistere a una partita di calcio durante i Mondiali in Qatar, e anche questo ho smentito. Mi è stato contestato di aver fatto dichiarazioni in favore del Qatar, che poi sarebbe un mio diritto, ma ho prodotto in commissione un video dal quale emerge che non è vero. Contestazioni tutte smaccatamente false”. 
Questo il giorno in cui il Belgio arrestava l’ex ministro degli Esteri Federica Mogherini, in qualità di rettrice del Collegio d’Europa, l’ambasciatore Stefano Sannino, direttore generale della Commissione per l’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa), e un ex direttore del Collegio, Cesare Zegretti. Con sei imputazioni, tutte gravi: turbativa d’asta, frode in appalti pubblici, conflitto d’interessi, violazione del segreto professionale, violazione delle norme sulle gare d’appalto, e naturalmente corruzione. Poi i tre sono stati rilasciati senza nessuna restrizione. Ma dopo che la carcerazione aveva fatto la cronaca di tutto il mondo per tre o quattro giorni, che Mogherini si era dimessa, che Sannino se n’era andato in pensione. Un processo mediatico, di grande impatto. A carico di tutti italiani.
È il secondo. Il primo è quello detto “Qatargate” nel qale ha impattato Moretti. Anche qui arresti, tre anni fa. Di tutti ialiani – con la vice-presidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, greca, perché moglie di un italiano. Il giudice di quel caso finì lui per primo malamente, e il processo dopo tre anni ancora non è stato istruito. Il Belgio non era il posto giusto per un’Europa che avesse avuto ambizioni. È razzista – lo è stato feroce con gli italiani quando aveva le miniere – ed è tribale. Non per nulla inviso ai franecsi, quando era francofono – anche ai francesi esuli, Victor Hugo, Baudelaire. Insomma, un Nord con molti limiti, conclamati. Ma si prende sul serio – viene preso sul serio dai media italiani. Il Nord ha sempre ragione - Nord, basta la parola.
Il “trattameto inumano” che Eva Kaili, la vicepresidente greca sposata con un italiano, subì a Natale del 2022 in carcere – sedici ore in camera di sicurezza, senza cappotto e senza coperta, con la luce accesa, con perdite copiose per il ciclo, senza potersi lavare – “è”, secondo i suoi avvocati, “estremamente rara, la si usa nei crimini di mafia”. Questa invece, se non fosse stata una tortura, si direbbe una vendetta: italiani tutti mafiosi, nel tutto è mafia – nel Qatargate e nel Collegiogate sono tutti settentrionali.   
 
Il Sud indigesto a Pasolini
Nelle molteplici celebrazioni di Pasolini si trascura la trascuratezza per il Meridione – quando non insorge per l’urgenza sessuale. Non c’è traccia nella sua straripante opera. Nemmeno quando per ragioni di location e di budget dovette lavorarvi, come nel “Vangelo secondo Matteo”. Ha vari accenni, specie nelle prose giornalistiche, a giovani napoletani, calabresi, africani, ma giusto per il bisogno sessuale, vissuto come vergogna e quindi rifiutato con tutti i comprimari – nulla al confronto con l’esasperato sentimentalismo di analoghe esperienze della prima mitizzata giovinezza, nel Friuli di pianura. Il rapporto speciale, “paterno”, che aveva instaurato con Ninetto Davoli, calabrese, ruppe quando Ninetto decise di sposarsi.
Qualche apprezzamento, ma locale, e sempre legato al sesso, giusto in “La lunga strada di sabbia”, il reportage delle coste d’Italia che fece nel tra il giugno e l’agosto del 1959, commissionato dal mensile “Successo”. Sembrerebbe di no, arrivato al Circeo annuncia: “Il cuore mi batte di gioia, di impazienza, di orgasmo. Solo, con la mia millecento e tutto il Sud davanti a me. L’avventura comincia”. Ma non sa che dirne, eccetto qualche luogo comune – come il viso scuro dei mafiosi… Giusto a Portopalo si emoziona: “La gente è tutta fuori, ed è la più bella gente d’Italia, razza purissima, elegante, forte e dolce”.
Nel poemetto “L’umile Italia”, della raccolta “Le ceneri di Gramsci”, 1957 (ma già pubblicato nel 1954, sulla rivista “Paragone-Letteratura”), mette a fronte il Meridione, nella fattispecie dell’Agro romano, di cupa tristezza, e la limpida luminosità del Settentrione. Il Nord, connotato dal volo delle rondini, è puro e umile, il Sud è “sporco e splendido” – l’antinomia del peccato. “È necessità il capire / e il fare: il credersi volti / al meglio”, cercando di lottare, pur soffrendo, senza lasciarsi andare alla “rassegnazione-furente marchio/ della servitù e del sesso -/ che il greco meridione fa/ decrepito e increato, sporco/ e splendido".
 
Reggio Calabria, o del sottosviluppo
Per il secondo o terzo anno consecutivo “Il Sole 24 Ore” mette Reggio Calabria all’ultimo posto per qualità della vita. Scandalo, proteste, il lungomare, lo Stretto, il museo, l’aria, l’università, i licei, l’ospedale etc. - e poi, non è la città cn il clima migliore a dicembre, 
“Mens Health” dixit? In buona fede, chi abita a Reggio fatica ad accettare la degradazione. Per chi vive nel reggino no, compresa la cintura di paesini che fanno la conurbazione di Reggio, da San Roberto e gli altri santi viciniori, a Fiumara, Villa San Giuseppe, e giù, per gli stessi ex paesi ora rioni periferici della città, Spirito Santo, Consolazione, Ravagnese, eccetera: lo stato di abbandono è visibile, fisico, nella viabilità, nella segnaletica, nel disordine edilizio, nel disordine. Come una putrefazione.

Dello stesso tipo è la percezione nelle tre grandi aree della provincia, di cui Reggio è la “città metropolitana”, che perciò dipendono da Reggio: la Piana di Gioia Tauro sul Tirreno, la Jonica che ora si vuole Locride sull’altro versante, e nel mezzo le pendici dell’Aspromonte. Di povertà in froma di degrado – in mezzo a consumi privati in stile lombardo, voyant.
Nonché lo sviluppo, al Sud, comunque a Reggio e dintorni, sarebbe più utile studiare il sottosviluppo, come si sperpera il capitale invece di metterlo a frutto. Bisognerebbe studiare il sottosviluppo perché delle tre province calabresi Reggio era in partenza, ancora nel secondo dopoguerra e per tutti gli anni 1960, la più ricca e la meglio organizzata. Poi, all’incirca con la rivolta “Reggio capitale”, si è abbandonata. La città non si è amministrata, se non per un breve periodo in coincidenza con l’interramento della ferrovia per magnificare il lungomare. Che portò all’assassinio di Ludovico Ligato, il presidente di Ferrovie dello Stato che aveva propiziato l’opera. Abbandonandosi a piccole mafie – che agivano alla luce del sole. E all’inerzia. Mentre le province di Cosenza e Catanzaro, e le neonate province di Vibo Valentia e Crotone marciavano spedite sulle regolarità della vita politica (sanità, istruzione, comunicazioni, regolamenti edilizi, etc.). Con università, ospedali, centri urbani regolati e curati.
Il passaggio di molti poteri alle ex province, specie le strade, ha ridotto il reggino a una realtà impraticabile. Anche fisicamente, visibilmente - oltre che politicamente, amministrativamente. Per frane, abusi, cattiva manutenzione. E niente ospedali: la Regione non riesce a venire a capo dell’inerzia reggina. Reggio ha avuto l’aeroporto da tempo immemorabile, ma i nuovi aeroporti di Catanzaro (Lamezia) e Crotone lo surclassano – ogni anno di Reggio si discute la chiusura.
 
Cronache della differenza: Puglia
Bari festeggia san Nicola, insieme a mezza Europa, da Rowaniemi a Venezia, di cui è compatrono con san Marco, e alla Turchia – dove a Myra (Demre) ancora lo celebrano, benché in ambito islamico. E di fama ora mondiale come Santa Klaus, il Babbo Natale. Era di culto nell’odierna Turchia - Costantinopoli contava 26 chiese a lui dedicate. Le spoglie furono rubate a Myra dai pugliesi, non dai veneziani: era il 1087 e Venezia era di là da venire, mentre Bari e la Puglia erano molto “levantini” – ancora nel dopoguerra avevano legami commerciali fino all’area del mar Nero.
Il trafugamento delle reliquie da Myra la città celebra il 7-9 maggio, con un corteo storico che è un festa anche per gli ortodossi, specie i russi.
 
Sentendo parlare i genitori di Tatiana, la giovane di Nardò, vedette di Instagram, si capisce perché ha voluto isolarsi per una settimana – non osando abbandonare la famiglia: due mondi antitetici. Uno passivamente tradizionale, seppure di buonissime intenzioni (i genitori hanno adottato Tatiana e il fratello, ucraini) e un modo di essere e vivere totalmente diverso – Nardò è una cittadina, ma pur sempre di provincia.

Tatiana non ne poteva più? Tra due mondi, due generazioni, un salto, nn un moto progressivo, un adattamento. Tale è il balzo che ha fatto la Puglia in pochi anni. Tutta la Puglia, non solo Bari, dalla Capitanata a Santa Maria di Leuca. 
 
L’ex presidente del consiglio e capo dei 5 Stelle Conte si può dire l’ultimo “uomo forte” della Puglia, di cui è originario, dopo Aldo Moro e Massimo D’Alema. Ma al voto regionale ha preso meno voti della Lega di Salvini. La Puglia si libera dall’assistenzialismo? Votando Lega?
 
All’impovviso è Foggia l’epicentro nazionale della malavita. Caporalato, pizzo, rapine, evasion fiscal, e pure la violenza giovanile. L’Italia ha bisogno - l’abitudine - di un centro del male. Su cui scaricare tutte le sue infamie. Era Palermo – non senza ragione – poi l’improbabile ‘ndrangheta, proclamata tale dai servizi segreti, ora Foggia. Senza una causa o congiuntura che vi porti. L’antimeridionalismo non sa più che inventare?
 
Si vota in Puglia per la Regione e molti capoccioni della politica restano fuori. Il più illustre è Vendola, ma anche altri, specie del Pd: il capogruppo al consiglio regionale uscente Paolo Campo, gli assessori Pd uscenti Stea, Amato e Lopane, Licia Parchitelli, candidate di Elly Schlein, e il potente direttore 5 Stelle della Cultura, Patruno. Mentre non si è potuto ricandidare il president uscente Emiliano, uno di quelli che brigavano per il terzo mandato. Un voto contro il padrinaggio?

leuzzi@antiiti.eu

Scuola (di sesso) per generazione

Alla terza serie il format catalano Merlì vira sul generazionale. In aula professori amicizie all’antica e sesso eterosessuale. In classe turbe e pratiche di monosesso. Con un senso di innaturalezza - di schematico. Che per lo spettatore è stanchezza – ma anche Gassmann ha perduto lo sprint.
Audience in calo, lo vedono tre milioni – pochi per Rai 1. Curiosa la differenza culturale: il format risponderà allo spirito catalano, dei “primi sempre, in tutto”, l’Italia gradisce poco, va ancora col passo lento.
AA.vv., Un professore, Rai 1, Raiplay

 

giovedì 4 dicembre 2025

Cronache dell’altro mondo – giudiziarie quinquies (370)

“George Soros ha cambiato la giustizia penale in America. Il finanziatore liberal ha speso decine di milioni di dollari per influenzare decine di elezioni a procuratore distrettuale.
“Quando le pubblicità che denigravano il procuratore distrettuale Jonathan Sahrbeck iniziarono a diffondersi nelle cassette postali e in televisione circa tre settimane prima delle primarie democratiche del 2022, sia lui che il suo avversario rimasero ugualmente sbalorditi.
“Come molti attacchi alle campagne elettorali moderne, gli annunci provenivano da un comitato politico indipendente finanziato da un miliardario, in questo caso l’ex gestore di hedge fund e filantropo liberal George Soros, che dieci anni fa si era proposto di eleggere procuratori distrettuali che avrebbero indirizzato i criminali della droga e i minorenni verso la riabilitazione anziché verso il carcere, si sarebbero opposti alla cauzione in denaro per i reati minori e avrebbero represso la cattiva condotta della polizia”.
(“The Washignton Post”)
“Billionaire Nation” - la nazione dei miliardari -  è una serie del “Washington Post” che esamina come i più ricchi abbiano accumulato un potere politico senza precedenti.

L’effetto Di Pietro a Bruxelles – o l’Europa abbandonata

Eva è Eva Kaili, greca, socialista, giovane, bella, vice-presidente del Parlamento europeo. Rovinata a Bruxelles, nella carriera politica e nella vita, da un emulo di Di Pietro, un avvocato che si era fatto giudice istruttore per entrare poi da salvatore in politica, un certo Michel Claise (lo fece, un anno dopo avere imbastito il caso, ma ebbe solo 5 o 6 mila voti – peggio del giudice Ingroia). Carcerata e umiliata in vari modi, lei, suo padre, suo marito, la figlia, di due anni. Il suo avvocato ne fece subito denuncia, senza essere contraddetto: “Per sedici ore è stata in una cella di polizia, non in prigione, e al freddo. Le hanno tolto il cappotto e le è stata negata una seconda coperta. Aveva il ciclo con perdite di sangue abbondanti e non si è potuta lavare. La luce della cella è sempre rimasta accesa e lei non poteva dormire”.
La difesa-denuncia di Eva Kaili è d’ufficio. Ma Guastella è il decano dei giornalisti a Bruxelles, sa come si fanno le cose attorno al Berlaymont – e non aveva fatto un eroe in un primo tempo dell’avventuroso Claise, “il coriaceo giudice”, “celebrato in patria come integerrimo paladino dell’anticorruzione” (di Eva Kaili scrivendo tranquillo “arrestata in flagranza per corruzione”)?
Una storia di varia umanità. E di malagiustizia – lo scandalo per il quale Kaili è stata arrestata e torturata, il “Qatargate” dei cronisti giudiziari, nessun successore di Claise si è sentito di portare in tribunale, a fronte di prove false. In una capitale che si dimostra ogni giorno di più un handicap per l’Unione Europea, per razzismo, più o meno velato (fa scandalo solo di italiani), divisioni etniche, riserve sulla stessa Europa, burocrazia spaventosa. E ora pure i processi “mediatici”. I belgi non si scoprono ora.
Un po’ di autocritica sulla politica fatta dai cronisti giudiziari non sarebbe stata male.
Lodovica Bulian-Giuseppe Guastella, Il peccato di Eva, Fuoriscena, pp. 240 € 17,50

 

mercoledì 3 dicembre 2025

Se la “pastetta” Mps-Caltagirone è del Tesoro

Ma allora, se è vera la testimonianza di Orcel in aprile alla Procura di Milano, che Unicredit aveva offerto un premio del 10 per l’acquisto di Mps - l’aveva offerto alla dirigenza del Tesoro dopo averne parlato col ministro Giorgetti. E che la dirigenza ha rifiutato. Allora l’indagine milanese sul “concerto” non è politica, c’è aria di concussione e di corruzione. E qui si mette male per Mps, per i suoi nuovi padroni, e per la burocrazia del Tesoro. Perché non c’è neanche bisogno di dimostrare la concussione\corruzione, basta il “concerto”, che in questo caso è nei fatti.
“Su Mps una battaglia con due perdenti”, questo sito poteva titolare quattro anni fa, il 31 ottobre 2021
http://www.antiit.com/2021/10/su-mps-una-battaglia-con-due-perdenti.html
Quindi il gioco del Tesoro era partito prima del governo Meloni – col governo Draghi. Ministro del Tesoro Daniele Franco, altro grand commis della grande burocrazia pubblica (Banca d’Italia).
Il Tesoro è sempre stato il dicastero più professionale e considerato, vestale come nessun altro dell’interesse dello Stato – non si fa la “pastetta” Mps per incapacità. Ma è anche vero che Roma è “prensile”.

La sindrome del tribunale

Si ragiona sui media italiani (solo su quelli italiani) come se la Russia fosse davanti a un tribunale di Norimberga. Trascurando il fatto che ha vinto la guerra e non la perde. Che la Cina, e ora anche gli Stati Uniti, sono con la Russia. Che il tribunale che si vorrebbe, la Corte penale dell’Aja, non eisiste per Cina e Stati Uniti, oltre che per la Russia. Che a Norimberga si fece un processo politico, per quanto giusto, che comunque ora è impossibile fare. Che a Ue non solo non ha vinto la, guerra, ma è poca cosa negli assetti politici mondiali, che sono cosa diversa dal pil, rispetto alla Russia.
Stupidità non è, i dati di fatto sono evidenti – la stupidità vorrebbe compassione. C’è un moralismo d’accatto, vittimista, che dovrebbe lavare l’inconsistenza e\o l’incapacità. Se la guerra in Ucraina è la nostra guerra, ha ragione Putin: facciamola. Il problema è che gli Stati Uniti hanno voluto punzecchiare la Russia, e l’Europa ne paga le conseguenze.
Ma neanche questo si dice, neanche ora che gli Stai Uniti (non gli Stati Uniti dell’aborrito Trump, quelli di Clinton, di Bush jr., di Biden e di Trump) tengono l’Europa di scorta.

“Montalbano” al lavoro in Toscana

Sotto un titolo improbabile storie vere. Di incidenti sul lavoro, mortali. Che sono numerosi, quasi quotidiani, e sempre per colpe, gravi. Alessio Vassallo lascia i panni grevi dello “scannatore” del “Giovane Montalbano” per quelli barbuti e tristi dell’ispettore, vedovo inconsolabile, che torna a Lucca, all’ufficio provinciale del Lavoro, da Reggio (Calabria) dove ha vissuto a lungo. Con una bambina vivace da accudire. E una metodologia e una capacità di analisi in grado di fargli risolvere ogni caso – due per puntata. Un “Montalbano” meno teatrale, ma altrettanto simpatico, e più vero - la materia lo è, nuova. Con ambientazioni e tempi convincenti e misurati - come nei Montalbano . Il buco nero della morte del padre tiene le fila della miniserie.

Un vecchio amico del padre, Cesare Bocci, lo ospiterà provvisoriamente, accudendo con intelligenza e brio la bambina, mentre si spende tutto nel “sociale” – ma con qualche segreto inconfessabile, del tipo racket. Mentre due ex compagne di liceo, che al tempo “non lo vedevano”, al ritorno lo scoprono attraente e anzi irresistibile, Francesca Inaudi e Silvia Mazzieri.
È come dice la regista, “un ispettore senza pistola, che per risolvere i suoi casi non usa la violenza, ma la gentilezza, la competenza, lo studio, l’intelligenza, l’empatia”. Per storie ricavate dalla cronaca. Con metodologie, psicologie, maniere ricalcate sui libri di Pasquale Sgrò - lui stesso ispettore del Lavoro a Lucca per lungo tempo, proveniente da “Reggio” (Motta San Giovanni). Ma senza “regionalismi”.
La Rai non ha promosso la miniserie, che quindi ha debuttato senza le grandi file. I casi e la qualità della sceneggiatura meritavano di più.
Paola Randi, L’altro ispettore, Rai 1

martedì 2 dicembre 2025

Letture - 598

letterautore


Giorgio Caproni  - La scuola Primaria Statale ex Crispi - poi Gianicolo, ora Ic Largo Oriani, in ossequio alla “riforma” Gelmini – si doveva intitolare a Giorgio Caproni. Che vi aveva insegnato, e ha abitato una vita in una casa dietro la scuola. Ma il consiglio d’istituto, cioè la dirigente del “plesso” e i rappresentanti di docenti, personale ATA e genitori, ha detto di no, meglio l’indirizzo postale.
 
Casanova – “Figlio di attori e principe degli avventurieri, chierico a Venezia e in Calabria, segretario del cardinale Acquaviva a Roma, soldato della Serenissima in Oriente, violinista nel teatro San Samuele a Venezia”, Armando Torno, recensendo “Casanova” di Stefan Zweig sul “Sole 24 Ore Domenica”: “Condusse vita randagia tra Dresda, Praga e Vienna, Svizzera, Olanda, Russia e Polonia; particolarmente in Francia, dove introdusse il gioco del lotto dopo essere fuggito dalla prigione dei Piombi. Con il nome di cavaliere di Seingalt seduceva donne, duellava, praticò la magia; riuscì financo a diventare confidente degli inquisitori. Morì bibliotecario del conte di Waldstein a Dux, in Boemia”. E scrisse, in francese per farsi capire da tutti, una “Storia della mia vita”, in quattromila pagine, tradusse l’“Iliade” in veneziano in ottava rima, galoppante, e in toscano, scrisse racconti e commedie, un romanzo di fantascienza, “Icosameron”, nonché saggi di storia e di politica, e risolse problemi matematici.
 
Fellini – Riviveva Kafka. Milo Manara, che ebbe un lungo rapporto con Fellini per un progetto che poi restò sulla carta, “Viaggio a Thulum”, ricorda il primo incontro nel suo studio in Corso d’Italia a Roma: “Mi colpì che il nome sul campanello fosse «Il disperso». Capii in seguito che era un’allusione a Kafka”. Al romanzo “America”, “il cui titolo in origine era appunto «Il disperso»”.
Ma era legato a una cultura popolare, dell’immagine. Sempre Manara: “Fellini amava i fumetti e i fotoromanzi. Li considerava gli strumenti culturali con cui la gente si avvicinava alle immagini e alla scrittura” - come nel Medioevo, arguisce poi: “Gli affreschi nelle chiese erano come fumetti, che scatenavano la fantasia degli umili fedeli più delle prediche”.
 
Italia – Fra le tante beatitudini di Stendhal in Italia, questa del saggio “Dei pericoli della lingua italiana” (“Memoria per un amico incerto nelle sue idee sula lingua” – l’amico sarebbe Silvio Pellico) è fuori concorso: “Questo giardino dell’universo, questa bela Italia che ai tempi dei Romani assoggettò tutti gli altri popoli, che sotto Leone X li civilizzò, che sotto Gregorio VII, senz’armi, fu la seconda volta la padrona del mondo allora tutto armato, e che oggi tagliata a pezzi dalla forbice delle parche regna ancora sugli altri popoli con l’impero dei più dolci piaceri. Da quando i barbari, stanchi delle loro sanguinose contese, vollero dimenticare le ferite e cicatrizzare le piaghe dei loro cuori, noi li vediamo accorrere nella nostra bella patria. Essi vengono a consolarsi dei dolori della vita con gli accenti incantevoli di Rossini, davanti alla ‘Ebe’ di Canova o contemplando i furori di Otello e le grazie seducenti di Desdemona”.
Con un solo problema: “La causa che ferma il cammino dello spirito di un popolo così interessante per tutto l’universo, del primo popolo del mondo, non può che essere curiosa da indagare…” – la causa è la lingua, lo scollamento fra la lingua d’uso e la lingua letteraria, artificiosa, trecentista.
 
Henry James – Fu “europeo” per ragioni familiari? John Banville, analizzando il saggio “Hawthorne” di H. James sulla “New York Review of Books”, ricorda che “fin dall’inizio”, dell’attività di scrittore, “James ebbe diverse ragioni per abbandonare la sua «cara terra natale», che è quella di Hawthorne” - salvo professarsi da ultimo “americano”. Fra le tante una pesò di più sull’esilio – “un esilio felice, va detto”, un autoesilio: “La presenza costante e spesso rumorosa del suo amorevole ma rivale fratello maggiore, il filosofo William James”.
Il padre, eccentrico, ricco e spendaccione, da cui lo scrittore prese il nome, Henry James sr., aveva investito gran parte della ricchezza ereditata in viaggi familiari in Europa, con la moglie, i quattro maschi e la figlia Alice. William non ne subì l’influsso: “Era tanto un vero yankee quanto un bramino del New England, ed era contento di essere l’«americano» che Henry, negli ultimi anni, aveva devotamente ma in modo poco convincente affermato di essere, se avesse rivissuto la sua vita. Il fatto è che Henry aveva una sensibilità europea quanto un non europeo potesse coltivare”.
Tornò in America due volte nel 1882: a gennaio per la morte della madre, a dicembre per quella del padre. E poi nel 1910, per rivedere William, malato terminale.
 
Machiavelli – “Una finissima stratega. Potrebbe aver letto Machiavelli?” “Ne sono quasi certa. Suo padre, Lord Morley, ha tradotto parte dell’opera di Machiavelli, e l’ha regalata a Thomas Morley, protettore di Jane” - spiega la scrittrice Philippa Gregory, che di Jane ha ricostituito le vicende nel romanzo storico “La traditrice”. Jane è Jane Parker, Lady Rochford, moglie di George, il fratello di Anna Bolena. Che quando Anna e il fratello vengono decapitati alla Torre di Londra dal volubile Enrico VIII, riesce a rimanere a corte, nel sul ruolo, cioè “a sopravvivere a cinque regine”, di cui era la prima dama di compagnia, finite male. Ci voleva un solido metodo, era difficile sopravvivere agli umori di Enrico VIII – che continuò a praticare il cattolicesimo malgrado lo scisma, spiega Gregory, e si volle “seppellito con rito cattolico”.
 
Pietroburgo – “La città più astratta e più premeditata di tutto il globo terrestre (ci sono città premeditate e non premeditate)”, F. Dostoevskij, “Memorie del sottosuolo”.
 
Scrivere – Un caso - una forma? - di ipocondria? Dostoevskij lo fa dire al memorialista di “Memorie del sottosuolo”, a inizio del racconto: “Tutti quanti si vantano delle proprie malattie e io, forse, più di qualunque altro”.
 
Umberto Saba – Soffrì molto le leggi razziali perché, “pur essendo di razza mista”, annotava all’epoca Leonetta Cecchi Pieraccini nelle “Agendine” che ora si pubblicano, “per solidarietà con la madre abbandonò fin da giovinetto la casa paterna e ha sempre vissuto con la madre, e si iscritto all’associazione ebraica e ha sposato un’ebrea e ha una figlia ebrea”. Pur volendosi italiano: “Ora si trova rinnegato come poeta italiano mentre egli era ambizioso di essere forse il primo. È avvilito e scorato fino a rasentare il pensiero del suicidio”.
 
Stati Uniti – Un’America non romanzabile, a metà Ottocento, secondo Nathaniel Hawthorne, perché non ha – non aveva – un passato? In un s aggio su Hawthorne pubblicato nel 1879, Henry James gli imputa questo problema: come ambientare un “romanzo” in America, la sua “cara terra natale”, giacché non ha “nessuna ombra, nessuna antichità, nessun mistero, nessun tono pittoresco e cupo, né altro che una prosperità comune, alla luce del sole”.
Un saggio autoreferenziale?
Rileggendolo, John Banville così ne sintetizza sulla “New York Review of Books” l’argomentazione, in difesa dell’indifendibile Hawthorne – una lunga lista di “elementi di alta civiltà”, essenziali per un artista, di cui l’America era carente: “Nessun sovrano, nessuna corte, nessuna lealtà personale, nessuna aristocrazia, nessuna chiesa, nessun clero, nessun esercito, nessun servizio diplomatico, nessun gentiluomo di campagna, nessun palazzo, nessun castello, nessuna tenuta, nessuna vecchia casa di campagna, nessuna canonica, nessuna casa con il tetto di paglia, nessuna rovina ricoperte d'edera; nessuna cattedrale, nessuna abbazia, nessuna piccola chiesa normanna; nessuna grande università, nessuna scuola pubblica, niente Oxford, né Eton, né Harrow; nessuna letteratura, nessun romanzo, nessun museo, nessun quadro, nessuna società politica, nessuna classe sportiva, niente Epsom o Ascot!” Salvo poi pentirsene, di “questa tremenda salva”. Per concludere: “Il lato negativo dello spettacolo a cui Hawthorne assisteva
potrebbe, in effetti, con un po’ d’ingegno, essere reso quasi ridicolo”; sebbene molto possa mancare negli Stati Uniti ancora giovani, “molto c’è”. E di questo “molto” il “dono nazionale” fa “quell’«umorismo americano» di cui negli ultimi anni abbiamo sentito tanto parlare». Di Mark Twain?

letterautore@antiit.eu

Tutti da Goffredo

L’arcipelago è nazionale, di fatto – “Voci e luoghi della cultura italiana” è il sottotitolo. Non è un libro sul Sud, né si può dire visto dal Sud, se non per l’esperienza di Fofi con Danilo Dolci negli anni giovanili, formativa probabilmente ma limitata. Né c’è una prospettiva meridionale o meridionalistica in Fofi.
Una antologia di scritti di Fofi e delle “vite” da lui raccontate in varie trasmissioni radio (il titolo è di una rubrica di Radio 3), organizzata e rivista dallo stesso autore, fino al 16 giugno 2025, alla vigilia della morte – quel 16 rivide l’ultimo, Sciascia. Impaginata in ordine alfabetico.
“Vite” anche di una pagina, Di Vittorio, Giuseppe De Santis, Jolanda Insana, più spesso di due, il dimenticato Marotta, Modugno, De Rita, Ernesto De Martino. Molti sconosciuti. 
Una rivisitazione – curiosamente, tema agonico. Di persone più che di personaggi. Come di una grande, estesa, compagnia, di amici e di conoscenti, che Fofi ha voluto rivivere, fra i tanti suoi scritti. Attorno a sè, come per un saluto.
 
Goffredo Fofi,
Arcipelago Sud, Feltrinelli, pp. 344 € 22

lunedì 1 dicembre 2025

La bolla intelligente

Gita Gopinah, prima Vice Direttore del Fondo Monetario Internazionale, calcola che una “correzione del mercato” analoga a quella che a fine anni 1990 fu provocata dalle dot.com, le nuove entranti nei mercati finanziari che avevano portato i listini ai massimi, cancellerebbe una “ricchezza” pari al 70 per cento del pil americano, 20 trilioni di dollari – venti miliardi di miliardi. Negli Usa. E al di fuori degli Usa poco meno, 15 trilioni.
La “correzione” oggi è vista come improbable, per le mutate condizioni del mercato. I listini sono ai massimi, indipendentemente dalle guerre, militari e commerciali. Ma i titoli tecnologici oggi sono i più solidi, oltre che più ricchi, del mercato.
Secondo il Fondo Monetario i mercati sono oggi meno sopravvalutati che a fine Novecento. E il capitale coinvolto è molto più concentrato, e quindi gestibile – il 33 per cento del totale è delle “magnifiche sette” dell’alta tecnologia, e tutte fanno capitalizzazioni trilionarie. Le stesse che contano sempre per un terzo e più, il 35 per cento, della capitalizzazione delle prime 500 società quotate. E anche la natura della “bolla” è diversa: quella di oggi sarebbe “industriale”. Sorretta cioè dagli investimenti enormi attorno all’Intelligenza Artificiale.
I titoli tecnologici hanno assicurato il boom di Borsa, del 100 e anche (Oracle) del 200 per cento nell’anno. Ma a novembre sono quelli che hanno appesantito il listino, con perdite consistenti, dal 6,2 di Amazon e Microsoft al 22 di Oracle, e qualche scricchiolio di OpenAI – il listino è stato tenuto su, a nuovi massimi, dai titoli old economy, Walmart, Johnsn&Johnson, Eli Lilly, e perfino Coca  Cola.

Indagine francese su Mps-Mediobanca-Generali

Non c’è armonia fra gli eredi Del Vecchio sull’affare Mps-Mediobanca-Generali. Non c’è armonia tra i fratelli, ma in questo caso per fatti specifici, e con effetti probabili su Milleri, il manager scelto per gestire la successione, e sull’indirizzo da lui dato a Delfin, la finanziaria di famiglia. In particolare dopo gli avvisi di garanzia della Procura di Milano, ma già da prima. Per la decisione a suo tempo della Procura di Milano di aprire l’indagine Modello 21, a differenza di Roma, che la derubricava a Modello 22: cioè un’indagine su presunzione di reato invece che su elementi giudicati probanti. E dopo le critiche dell’ex ministro francese delle Finanze, Éric Lombard, in carica fino a metà settembre, ex dirigente di Generali France – nonché ad a lungo della Cdc, la Cassa depositi e prestiti (Cdp) francese.
Delfin è azionista di maggioranza di EssilorLuxottica, società parigina, che rientra nella vigilanza della Consob francese – Ami, Autorité des Marchés Financiers. La quale si è mossa per analizzare il procedimento milanese contro Delfin e Milleri.
L’inchiesta milanese ha indebolito la posizione di Milleri in Francia, e potrebbe portare a una sua decadenza d’autorità, o a una sospensione cautelativa.

Un carosello del buon amore

La storia ventennale di “Carosello”, la pubblicità serale sceneggiata alla Rai a partire dal 1957, camuffata da storia d’amore. Anch’essa brillante - il giusto - come “Carosello”, e lieta. Fra la ragazza neo assunta, “mi porti il caffè”, e il regista giovane di grandi ambizioni.
Un film semplicissimo: una rievocazione storica, con materiali di archivio, che la scelta felice dei due protagonisti, Ludovica Martino, la ragazza “mi porti il caffè”, lei specialmente, e Giacomo Giorgio, il regista vicino di casa e di quartiere, rendono gradevole e perfino viva. Altrettanto semplice e ispirato il contorno d’epoca, linguaggi, ambienti, valori.
Jacopo Bonvicini, Carosello in love, Rai 1, Raiplay

domenica 30 novembre 2025

Ombre - 801

Niente Filosofia per i militari all’università: Bologna “alma mater” filo-Soros sulle piste del “Che” Guevara – che però i militari li ha voluti all’università? Da qualche tempo. Era al centro della politica moderata a inizio millennio, con Prodi, Casini, Fini, Nomisma, i circoli. Poi è passata alla goliardia con le “sardine”. E subito poi alla guerriglia urbana, col sindaco che dà le chiavi della città alla temibile Albanese, e non vuole israeliani a Bologna nemmeno se giocano a basket – anzi vorrebbe puniti gli agenti che li hanno protetti. I bolognesi sono diventati troppo grassi, si annoiano?
 
Dieci righe e una fotina al corteo romano di Greta – poco di più in cronaca romana: “la Repubblica”, il gruppo Elkann, serra i ranghi dopo l’assalto alla “Stampa” a Torino. I terribili anni Settanta sono ineguagliabili, e poi non ci sono più i furbi incitatori, né Ottone né Scalfari, ma l’albero dell’odio è sempre vivo. E sempre, farà pure vendere qualche copia, ma ha un solo frutto, velenoso.

Il consigliere Yermak sostituito dal consigliere Umerov può fare avanzare il negoziato con la Russia, ma nel senso che l’Ucraina dovrà accettare le condizioni di Putin. Una debolezza si aggiunge a una debolezza. E c’è anche Mindich, il socio in affari di Zelensky, in fuga da un anno. E c’è il tentativo di Zelensky qualche mese fa di indebolire l’autorità anti-corruzione. Soprattutto riemerge quello che si sapeva prima dell’attacco russo, che l’Europa si è assunto con l’Ucraina un compito gravoso, molto.

Settimana di passione per l’oro: resta alla Banca d’Italia, se lo prende Meloni? Pagine su pagine, sdottoramenti di esperti, scenari apocalittici, mentre era solo un’esca del governo per distogliere l’attenzione dai punti controversi della Finanziaria. Se le cose non si dichiarano, i media non le capiscono.

 
Demografia, produttività, pil, “Italia in coda tra i paesi dell’Eurozona”: Trovati implacabile sul “Sole 24 Ore” documenta ritardi inoppugnabili dell’Italia negli ultimi dieci anni. E potrebbe aggiungerci la diffusione della “povertà percepita”. Se non che l’Italia è un Paese invidiato, per il suo tenore di vita – invidiato in Europa e fuori, anche in America. E uno non se lo spiega. Il pil stagnante sì, perché la produzione italiana è legata alla (ex) Fiat-automotive e alla Germania, che sono da anni in crisi. Ma riesce ancora a risparmiare – troppo, secondo le banche. E il risparmio, non statisticizzato, spiega il “miracolo”.
 
Isolato ma eloquente (dirimente), sempre sul “Sole”, il lamento di Confindustria: “Per gli alti costi dell’energia stiamo perdendo pezzi d’industria”. E questo è vero. Da cinquant’anni, dalla crisi del petrolio del 1973. L’Italia, paese probabilmente unico in Europa, non si è mai data una politica dell’energia – a parte il “risparmio” (alti costi? meno consumi! – non una grande politica).
 
Però, i manovratori dell’operazione Mps-Mediobanca-Generali erano intercettati da tempo, Lovaglio e Caltagirone. E i gestori di Akros. E i dirigenti del Tesoro. E su che basi? Si pensava su un esposto Unicredit, alla Consob o/e in Procura, per l’esclusione un anno fa dall’asta Mps che ha avviato la caccia a Mediobanca-Generali. Ma l’esposto non c’è. Ora si dice l’indagine avviata su una denuncia per diffamazione, di Mediobanca, cioè dell’ex amministratore Nagel. Ma allora siamo alla primavera. Mentre Tesoro e Akros erano intercettati un anno fa, e anche prima.
 
“Anonima Nigeria”, i vescovi italiani scoprono su “Avvenire” che in Nigeria si fanno rapimenti a raffica, specie di ragazzini, specie nelle scuole cattoliche. Che si fanno da anni, se non da decenni. Hanno i riflessi ritardati? Pensano che il vangelo sia il dialogo delle fedi? Con i mussulmani? Che sono quelli che rapiscono. In Nigeria, in Sudan, ovunque ci siano scuole e chiese cristiane. 
 
All’assalto alla scuola cattolica, 300 ostaggi fra bambini e insegnanti, giustamente cinque colonne, si affianca un colonnino del papa, che rimuove il vescovo di Cadice – non ha sanzionato bene la pedofilia. Non aveva altro cui pensare. È il ritratto della chiesa, che non capisce in che mondo si trova. Forse per l’anestetico del dialogo delle fedi. Al quale però crede – se ci crede – sol lei. Tanta barbarie nelle altre fedi monoteiste è senza precedenti – come ogni barbarie.
 
Perfino “il Foglio”, il giornale intelligente della destra, si lascia irretire dalle modelle rivestite di tuta mimetica, come quelle che “hanno spezzato un tabù nell’esercito di Kiev”. Come quelle di Gheddafi. Che le agenzie di pubblicità vendevano a Gheddafi, che le smerciava gratis ai media occidentali.
 
“il Foglio” si cautela titolando “le droniste ucraine”, assonanza molto dismissiva, quasi porno. Ma non se ne può più della pubblicità professionale che dal primo giorno di guerra ha esibito l’Ucraina – degli altri non sappiamo, perché ci facciamo un pregio di non sapere nulla di Mosca e viciniori. Una “notizia” al giorno, roba di agenzie britanniche o di Madison Avenue, che in questa guerra hanno trovato una miniera.
  
Fra tutti gli “obiettivi” che si potevano trovare i kollettivi giovanili torinesi puntano “La  Stampa”, il giornale forse che più equamente ha coperto la guerra in Palestina. Questa è una vera rivoluzione. C’è una ritualità persistente dopo il Sessantotto: okkupazioni, manif, kollettivi. Che dovrebbero essere un rito di passaggio all’età adulta e alla politica, e invece sono una deriva, di stupidità oltre che di danni. Una componente, i danni, che nell’età del mercato pesa. Finora soprattutto per le scuole, non per i giornali, che ci guazzavano. Ora non più?
 
Per la prima visita fuori d’Italia il papa Leone ha scelto un dittatore. Anche integralista islamico, seppure per finta. La chiesa si vuole proprio perdere, un martirio al rovescio?
 
Poi, a Istanbul, il papa Leone deve visitare la Moschea Blu. Per celebrare la grandezza dell’islam. Non Santa Sofia, che fu un grande tempio cristiano, poi museo, e Erdogan ha convertito in moschea. Anche il papa americano, come già quello argentino, onora le massonerie (il mondo sunnita, da Erdogan a Bin Salman, è il pilastro del libero pensiero)?
 

Kafka sulle orme di Dostoevskij

Una riedizione, con nuove traduzioni, di Daria Biagi – la memorialista apprezzata di Berto, Fusco, Erich Linder, nonché traduttrice di Anna Seghers. Che si impone per avere cambiato il titolo classico del più classico della raccolta, “Die Verwandlung”, da “La metamorfosi” e “La trasformazione”. Senz’altro più assonante il vecchio titolo - nelle lingue neolatine ma anche in inglese. Ma si cambia col nuovo, perché?
Si parte con Hannah Arendt: “Le cosiddette profezie di Kafka sono soltanto una sobria analisi delle strutture nascoste che oggi sono venute alla luce”. Ma non c’è niente di esoterico in Kafka, il signor K. del Processo e del Castello - almeno per un lettore immune alle credenze esoteriche, per quanto “rivelate”. Si finisce con Cacciari, “Sulla soglia”, sull’essere al limite delfico, del “conosci te stesso”. 
Una “edizione Biagi”, si può dire. Ma la sua lunga introduzione, “Kafka narratore diabolico”, è più difensiva che persuasiva – molte ragioni sono possibili per rieditare testi anche molto noti.
Altre curiosità solleva la riproposta, la rilettura. Di Kafka manierista, peer esempio – nei racconti e anche nei romanzi. Una ipotesi di metamorfosi fra le tante è proposta dal memorialista del sottosuolo dostevskjano, ed è proprio in un insetto - è una delle prime “riflessioni”\provocazioni del narratore di “Memorie del sottosuolo”: “Ora mi viene voglia di raccontarvi… come mai io non sia risucito nemmeno a diventare un insetto…. Più e più volte volli diventare un insetto”, etc. etc., “ma neanche questo mi è riuscito”.
E c’è anche poco più in là, poche righe, sempre in Dostoevskij, sempre nelle “Memorie del sottosuolo”, “il colpevole senza colpa” – “e, potremmo dire, per legge di natura”. Che non è possibile. Ma “colpevole, in primo luogo, perché tu sei il più intelligente fra quanti ti circondano”.
O anche di Kafka che pratica lo “straniamento”, quale poi sarà teorizzato da Brecht – ma come già un Ariosto, per dire, o negli stesi “veristi”?
Franz Kafka, I racconti, Einaudi, pp. LXIV + 584 € 28

sabato 29 novembre 2025

Problemi di base giudiziari - 890

 spock


“La cultura della giurisdizione è ormai una vuota astrazione speculativa”, Carlo Nordio?
 
Giudici e avocati non studiano più?
Vanno i giudici al referendum come la Cgil trent’anni fa, a testa bassa - ma vergini?
 
Schierarsi al referendum per mostrarsi indipendenti dalla politica, o per assicurarsi un posto di senatore?
 
Perché i sindacati dei giudici sono partiti politici?
 
“Giustizia divina, giustizia naturale e giustizia formale non sempre coincidono”, papa Leone XIV?

spock@antiit.eu

La bolla del debito – e la rivincita dei pigs

L’“America First” di Trump vincerà sicuramente la gara del debito. Il Rapporto del Fondo Monetario Internazionale sul debito pubblico nel mondo prevede statisticamente per gli Stati Uniti un incremento del rapporto debito\pil, tra il 2024 e il 2030, quindi a breve, di 21 punti percentuali,  dal 122 al 143 per cento.
Il debito Usa aumenta in un quadro di rapida crescita del debito pubblico globale, che già prima, entro il 2029, supererà il pil. Non è un fatto nuovo, era già successo nel 1948, a ridosso dell’ultima guerra mondiale, ma ora la base del rapporto è cambiata: cresce il debito e non cresce o cresce poco il pil.
La Cina aumenterà il suo debito in misura ancora maggiore che gli Usa, del 28 per cento, dall’88 al 116 per cento del pil.
In Europa, curiosamente, saranno i pigs, i paesi disprezzati della crisi del debito (o gigantesca manovra al ribasso) quindici anni fa, i paesi più virtuosi. La Francia accrescerà il debito di 16 punti del pil dal 113 al 129 per cent), la Germania di 10 (dal 64 al 74 per cento), l’Italia di soli 2 (da 135 a 137). Mentre la Grecia lo diminuirà di 25 punti (da 155 al 130 per cento), il Portogallo di 18 (dal 95 al 77), l’Irlanda di 11 (da 39 a 28), la Spagna di 9 (da 102 a 93).

Céline salvato dalla Resistenza

La storia dei ritrovamenti dei manoscritti di Céline asportati a fine 1944 dalla sua abitazione parigina, che lo scrittore aveva abbandonato precipitosamente dopo lo sbarco di Normandia. Conservati in buono stato, e fatti ritrovare ad agosto del 2021, qualche mese dopo la morte della vedova, titolare dei diritti. E un primo tentativo di datare la scrittura dei tre inediti fin qui pubblicati, “Guerra”, “Londra” e “La volontà di re Krogold”. Altri due testi sono in fase di elaborazione editoriale, “Casse-pipe”, una narrazione incompiuta, e “La légende du roi René”.
Da una serie di elementi, Joset data la scrittura di “Guerra” e “Londra” fra il 1934 e il 1936. Come di un seguito al “Viaggio al termine della notte”. Opere non rifinite per il sopravanzare di “Morte a credito”, che veniva lavorando in contemporanea, e che rappresenterà il secondo successo editoriale.
Un’altra ragione della mancata finalizzazione\pubblicazione delle due narrative Joset trova nel soprassalto polemico che prendeva Celine a partire dal 1936 – fino a fine guetra. Contro tutto e tutti, e contro gli ebrei. Molto Joset discute l’antisemitismo – ma senza una spiegazione significativa, se non l’antisemitismo. Tiene conto de “La chiesa”, il primo scritto esornativo noto di Céline, ben prima del “Viaggio”, in forma teatrale, ma senza cogliervi il nodo dell’odio anti-ebraico, nella dirigenza della Società delle Nazioni a Ginevra, dove Céline lavorò per quasi dieci anni – una burocrazia che sanzionerà ben più ferocemente, cinquant’anni dopo, Albert Cohen, “Bella del signore”, che aveva vissuto anch’egli quella esperienza, in anni successivi.
Che Céline non fosse obnubilato dall’odio lo prova la fuga da Parigi nell’ottobre del 1944: lo scrittore sapeva bene che la guerra era perduta, era perspicace e non fanatico.
Andrea Lombardi, celiniano emerito, che ha curato l’edizione, arricchendola di notevoli foto, facsimili dei manoscritti, e altri materiali, la rimpolpa con alcuni dei suoi articoli sul “Giornale”, su Céline e i ritrovamenti.  
Joset, belga francofono, anche lui si occupa di Céline per passione – è più noto come ispanista e medievista, le sue specializzazioni accademiche.
Una punizione, il sequestro delle carte di Céline, che ha finito per essere un grosso regalo, rilanciandone la figura e l’opera. Un po', paradossalmente, come Heidegger, quando programmava i cosiddetti quaderni neri a congrua distanza dalla morte.
Jacques Joset, I tesori ritrovati di Louis-Ferdinand Céline, Eclettica, pp. 107, ill. € 13
 

venerdì 28 novembre 2025

L’inchiesta Mps-Mediobanca è contro il governo

Caltagirone a Milano, addirittura “padrone di Milano”, non poteva che suscitare un’inchiesta, era prevedibile. C’era anche un esposto di Unicredit, non invitato alla festa, anzi escluso, che rendeva l’inchiesta obbligatoria.
Che si arrivi a una condanna di Mps, Caltagirone, Delfin (eredi Del Vecchio) è improbabile. Il “concerto” è fattispecie di reato indimostrabile – a meno che i “concertanti” non vadano dal notaio…: è nel codice per dire che il mercato è pulito e onesto. L’esito sarà, è già, politico prima ancora che penale.
La Procura di Milano sanziona la destra, il governo, dopo la sinistra? Sicuramente la vicenda sarà “buttata in politica”, come dire che lascia il tempo che trova. Ma, come già a sinistra con la casa, ora a destra la Procura tocca un altro tasto sensibilissimo a Milano, il risparmio. Che vi è diffuso e pesa molto. Più della casa.
L’inchiesta è solo all’inizio. E a Milano non si vota presto, non prima di un anno e mezzo. Ma la memoria dei (mis)fatti finanziari è lunga. Meloni ha preso di mira le banche, perché “non c’è niente di più antipatico della banca”. Ma il populismo in questo caso è attardato, la banca siamo ora un po’“tutti noi”, con la gestione del risparmio.  
 

L’arte senza l’artista

La Quadriennale romana è organizzata quest’anno per forme espressive. Non più per tendenze o “manifesti”, e naturalmente nemmeno per autore – gli autori esemplificano una delle forme espressive prescelte. L’autoritratto (la soggettività). L’autorappresentazione (della realtà): una lettura che è una forma di socialità – dove l’io non prevarica ma sintetizza “generi, etnie, nazionalità e classi sociali”, spiega Bonami, il curatore, collegandolo al bantù ubuntu, “io sono perché tu sei”.
“Il tempo delle immagini” visita l’arte “nella “inondazione di foto, selfie, meme, scheenshot, gif, reel, stories che sommergono la nostra vista”. La sezione più evocativa – più godibile anche. L’ultima sezione, “Senza titolo”, è libera, atematica.  
La Quadriennale è una officina più che una celebrazione dell’arte contemporanea da qualche anno, dal rilancio dieci anni con la gestione di Franco Bernabé. E tuttavia la personalità di artista è, dove c’è, ancora il suo forte – come lo è del mercato dell’arte. La parallela evocazione della Quadriennale 1935 può esibire una trentina di nomi poi “classici”: Luigi Bartolini, Mario Broglio, Cagli, Capogrossi, de Chirico, de Pisis, Leonor Fini, Carlo Levi, Longanesi, Mafai, Marini, Martini, Morandi, Prampolini, Scipione, Severini, Sironi….  
L.M.Barbero -  F.Bonami - E.Mazzonis di Pralafera - F.Stocchi - A.Troncone, Fantastica. 18ma Quadriennale d’arte, Roma, Palazzo delle Esposizioni

giovedì 27 novembre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (615)

Giuseppe Leuzzi


“Le Alpi sono una delle due prove dell’esistenza di Dio”, afferma il maestro Muti risoluto a Cazzullo che lo intervista per il “Corriere della sera”. “Perché?” “Perché hanno preservato una mediterraneità che ci appartiene”.
Non se ne può più degli Odini.
 
Michelangelo Mammoliti, supercuoco italiano dello stellario Michelin, che esercita nelle Langhe, si dice “di origine piemontese”. Mentre sarebbe “piemontese, di origine calabrese”. Ma fa piacere, che una persona di seconda o terza generazione si identifichi col luogo e la cultura dove ha avuto e dato il suo contributo di saperi e capacità, e per questo prospea – è premiato. L’“origine meridionale” connota un lamento, una ricerca di buona volontà, di carità, per di più corredato da rivalsa.
 
La guerra dei trent’anni a Milano
Gianni Santucci fa sul settimanale “La Lettura” del “Corriere della sera” una recensione-sintesi che lascia senza respiro del volume di Laura Antonelli Cali e Nicola Erba “Atlante storico della mala milanese” – un atlante che consta di ben 521 pagine, e non comprende i “bravi”, anzi riguarda solo trent’anni, dal 1963 al 1993.
Leggere per inorridire:
“S’ammazzavano come cani. Sparavano come invasati. Pippavano come ossessi (la terza è ancora attualissima). E ofrivano servizi ai regolari: donne, bamba, bische. L’amarcord è una lente che li distorce. Il tempo li deforma. Ingiustificatamente li imbelletta. No, erano cattivi, spietati, a volte sadici, spesso sociopatci. Erano tantissimi. Banditi d’ogni risma e d’ogni provenienza. In brutale competizione. Erano famelici e feroci, aspiranti principi d’una città che in un anno contava centocinquanta morti d’eroina e più di cento morti ammazzati. Non un secolo fa: negli anni Ottanta e Novanta. Roba che le Gomorre di oggi (sulle quali il pelosissio stomaco della politica contemporanea prospera spremendo voti e consenso) sono quiete province coi giardinetti all’inglese. Così era Milano: generazioni di innocenti falciate dalle spade in vena; la rapinetta con la siringa asfissiante abitudine; quotidiane rapine in banca con mitra e pistole; sequestri di persona a nastro; evasioni di gruppo dal carcere; rivolte a San Vittore; clan stranieri animatori di sparatorie in strada”.
E ancora: di che parliamo? “Di quella Milano che è stata una portaerei per tutte le droghe. Una piattaforma per tutte le mafie. Una savana per tutte le masnade del banditismo predatrio: dai clan sardi agli uruguayani. A questi, sovrapponete i decenni della violenza politica”.
Non senza il richiamo di prammatica: “Aggiungete il progressivo piantar radici di Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra”. Però, “una città putrida, corrotta, indecorosa. Sporca nell’anima e sporcacciona nel costume”.
“Offrivano servizi” apre un altro abisso: la mala come parte di un “sistema”, per usare la lingua delle antimafie.
 
Mi-To, o come Milano di bevve Torino
L’Olimpiade invernale è l’ultimo scippo. Di Milano a Torino. Della piatta Milano a vocazione alpina – come già della provinciale Milano, di fiere e commercianti, a vocazione transalpina.
A un certo punto era sembrato che Mi-To diventasse una conurbazione, tanto massicio era il trasloco dalla capitale sabauda, capitale di un regno bene o male, al centro della politica europea, a quella degli affari. Mi-To come un sifonamento, con autostrada a tre o quattro corsie, affiancata da complessi direzionali e produttivi, e treni a frequenza e articolazione metro. Poi l’ideologia green, contro il consumo del territorio, altrettanto improvvisa ha cancellato l’ipotesi. Ma i fatti restano.
La banca, i telefoni, i libri in fiera  ultimamente, tutto quello che Torino ha inventato e prodotto Milano se l’è già preso. Non le automobili, troppa fatica l’industria, me se ne è prese le finanze, riducendo il tutto in poltiglia. Come già aveva fatto con Olivetti, un campione mondiale subito ridotto a niente.
Rileggendo Cattaneo e Salvemini si scopre anche che Milano ha minato il Risorgimento, pur di sottrarlo a Torino. Con le Cinque Giornate per il verso giusto, democratico. Ma subito poi alleandosi pronta, nobili e notabili, con la Torino sabauda, Carlo Alberto e il conte di Cavour – che da giornalista e deputato nel ’48 voleva piazza pulita dei democratici: “Ciò che soprattutto è indispensbile è di reprimere energicamente il minimo movimento repubblicano in Lombardia. Fatemi fucilare il primo lombardo che mandi un grido sedizioso”. Già fatto, senza forche. E nel 1859 la Lombardia si farà sabauda senza nemmeno il solito plebiscito di facciata, caso unico fra gli ex staterelli italiani, nobili e notabili erano già in linea.
 
Dalla brigata Catanzaro con orrore
Bisogna salire presto alla piazza del Municipio, alla Posta il bancomat rischia altrimenti di esaurire la provvista. Ma è andata bene, è anche fresco e la piazza è vuota. Se non per un suono di tromba. Incerto, ma è il “silenzio”. Di mattina?
 Sarà qualche ubriaco, il suono viene anche ovattato, remoto. La grande piazza è vuota. O no, sotto il Milite Ignoto ci sono dei ragazzini. A quest’ora, già in villa – la piazza fa da “villa comunale”, uno spazio chiuso alle macchine? Prima della scuola? Ma no, oggi è festa. E uno ha la tromba. È più alto degli altri, e ora la imbraccia di nuovo: è lui che prova il “silenzio”, al Milite Ignoto. Al cenno di un barbuto, che lo riprende, sarà il maestro. Ma sì, oggi è il 4 novembre, il governo raccomanda che si celebri la vittoria, con i morti, e la scuola di musica per cui siamo celebri avrà preparato quache piccola cerimonia, con gli allievi più piccoli, per la solita corona d’alloro del sindaco.

Ma è una festa triste quest’anno, avendo letto ieri, riletto, la storia della brigata Catanzaro, come fu decimata dai carabinieri, su ordine dello Stato maggiore, italiano. Non se ne parla, e non è un bene, anzi fa male.  
Si fanno ancora film di richiamo ed evocazioni appassionate di questo o quell’episodio eroico o cruento della Grande Guerra e niente, neanche un richiamo, al più terribile di tutti, l’esecuzione sommaria della brigata Catanzaro. Lo ha ricordato ieri, incidentalmente, e nemmeno tanto simpateticamente, “l’altravoce, il Quotidiano – Reggio Calabria”, come per collegare i Morti con la Vittoria. Un fatto terribile, che non ha trovato nessuna documentazione storica (giusto un tentativo di ricostruzione di due giovani appassionati di storia locale una ventina d’anni fa, Irene Guerrini e Marco Pluviano) e una sola narrativa, incidentale, nei racconti di guerra di Corrado Tumiati, allora medico militare, scrittore a tempo perso.
Un caso non unico, la memoria in Italia fa difetto. In Francia si era scritto della guerra qual era in corso d’opera, Barbusse, “Il Fuoco”, Genevoix, vari racconti (“Sous Verdun”, “Nuits de guerre”, “Au seuil des guitounes”), Dorgelès, “Les croix de bois”. E poi naturalmente Céline, volontario mutilato di guerra. In Italia niente durante e poco dopo. Giusto un libello di Malaparte, “Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti”, 1921 – che accuratamente non tiene conto della brigata Catanzaro, un fatto trucido e non un’esclamazione retorica.
Nonché della Catanzaro, nemmeno un cenno nelle storie e nelle evocazioni delle esecuzioni sommarie per scarso rendimento, una barbarie. Di reclute peraltro quasi sempre male addestrate e spesso male equipaggiate. Che sono anche la parte più viva, e raggelante, di “Addio alle armi” di Hemingway: le decimazioni, che tanto orrore susciteranno nell’occupazione tedesca dell’Italia, furono sperimentate nella Grande Guerra variamente dai carabinieri. Nel 1917, prima di Caporetto, contro la brigata Catanzaro che sul Carso s’era rivoltata dopo dieci campagne di fila in prima linea: presero una trentina di fanti a caso e li fucilarono. Ne accenna commosso, per inciso, D’Annunzio nei “Taccuini” - giusto lui contro il quale, nell’adiacente suo “campo di aviazione”, i rivoltosi avevano tentato di dirigersi.
Poco si sa – si è detto - sui motivi della rivolta, e sul suo svolgimento. Solo l’esito è chiaro, non potendosi sottacere la relazione di Cadorna: “La rivolta è stata sanguinosamente repressa con la fucilazione di 28 militari e con la denunzia di altri 123 al Tribunale di guerra”. La brigata Catanzaro, benché fosse ovunque nel Carso, è praticamente cancellata dalle storie militari. La ricostruzione di Davide Scaglione su “l’altravoce” ne dà un quadro prima dell’eccidio voluto dai vertici militari.
La brigata era inquadrata nella Terza armata, comandata dal duca Emanuele Filiberto d’Aosta. Composta dal 141° e dal 142° reggimento di fanteria. Con effettivi in maggioranza calabresi, più siciliani e pugliesi. Fu impiegata come brigata d’assalto sul Carso, dal luglio 1915 al settembre 1917. Con turni logoranti, praticamente ininterrotti, in prima linea, nei settori più contesi. Il 141° reggimento aveva meritato la medaglia d’oro al valore militare (per l’audacia dimostrata tra luglio 1915 e agosto 1916), il 142° la medaglia d’argento.
Una ricostruzione dei fatti per la verità c’è, su “Calabria Sconosciuta” n. 131 di fine 2011. Dove si spiegano anche i fatti. La brigata Catanzaro aveva protestato a fine maggio 1917, dopo la decima grande offensiva. Era una protesta vocale e la cosa venne taciuta dai comandanti. La notte del 15 luglio, all’ordine di partenza in prima linea per l’ennesima campagna dell’Isonzo, i due reggimenti si ribellarono, con urla e tiri di mitragliatrice. Tre militari morirono, tra essi un ufficiale e un sottufficiale, e una ventina furono feriti. Dopo circa sei ora la rivolta si spense, verso le quattro del mattino. Si preparava l’XIma battaglia carsica dell’Isonzo, detta di Bainsizza (la XIIma sarà detta di Caporetto). La Brigata aveva ininterrottamente, per due anni, partecipato alle dieci precedenti. A Castelnuovo, Bosco Cappuccio, Oslavia, sul monte Mosciagh, durissimo, sul Cengio, sul San Michele, a Nad Logen, a Nova Vas, sul Nad Bregom e a Hudi Log. Non per punizione, anzi con grandi elogi e medaglie al merito. Ogni campagna implicava tre-quattro settimane di prima linea. Dopo Caporetto la brigata Catanzaro combatterà sul Pria Forà, in Val d’Astico e in Val Posina. Sempre con impegno, e anche con successo: un mese dopo la rivolta la brigata Catanzaro veniva nuovamente elogiata.
Nell’offensiva di ottobre-novembre 1915, in soli quindici giorni la brigata aveva perso 2.037 uomini – di cui 55 ufficiali. Nella terza battaglia, dal 18 settembre al 4 novembre 1915, aveva perso più della metà degli effettivi, 4.348 uomini - feriti 2.579, gli altri morti. Nel 1916 aveva subito perdite in varie battaglie, e in due era stata di nuovo annientata. In quella per Gorizia, nella seconda parte dell’attacco, nel mese d’agosto, aveva perso 3.496 uomini (2.484 feriti). Nelle tre battaglie successive era restata in linea dal 16 settembre al 7 novembre, perdendo i due terzi degli effettivi: 3.434 uomini (2.749 feriti). Secondo una remota pubblicazione dell’Ussme, l’Ufficio storico dello stato maggiore dell’esercito, “Brigate di fanteria” (1928), vol. 6, p. 63, la Brigata Catanzaro ebbe nei primi due anni e mezzo della guerra (le perdite del 1918 sono dette irrisorie), 162 ufficiali morti e 281 feriti gravemente, 4.540 soldati morti, 12.500 feriti. Ma questo è il rovescio della medaglia, dei cafoni immolati.
Tumiati, che si trovò nel pieno della sedizione e della decimazione, ne fa nel racconto “Errori” una rappresentazione amareggiata. I fucilandi vengono scelti a caso, senza colpe specifiche. A lui, che ardisce difendere i portaferiti, avendoli visti al lavoro tutta la notte, viene opposto uno scaricabarile. Fino al generale, che lo tratta da intruso: “La notizia disturba, evidentemente, i giudici si guardano l’un l’altro seccati”. Il “giudizio” è veloce. Questo lo ha già scritto Hemingway in “Addio alle armi”, il romanzo della guerra, anche lui in difesa dei portaferiti. Lo ha scritto anche in dettaglio, ma senza averlo vissuto. Tumiati è testimone oculare: del “giudizio” sommario si conferma subito mentre si allontana, sentendo urlare dall’interno della baracca: “I trenta condannati avevano compreso d’un tratto la loro sorte e, dopo un attimo di stupore incredulo, avevano gridato. Che altro potevano fare?”.
Forse per la fretta non ci sono agli atti i nomi di chi ha preso le decisioni e su quali criteri: “In un’ora il campo fu levato”, continua il racconto, “e i battaglioni, incolonnati, musica in testa, ritornavano in linea. Tararilla, tararà. Tararilla, tararà”. Il racconto angosciato degli eventi Tumiati fa precedere da uno ilare su un caporale calabrese in forza alla Brigata, giovane muratore biondo con “l’estro vivo del cantastorie”, che scriveva e gli portava da leggere per svagarsi poemi che ancora lo commuovono. Esca alla testimonianza: “La Brigata Catanzaro fu certamente una delle più gloriose e delle più provate nella grande guerra. Il suo proverbiale eroismo la condannò a due anni ininterrotti di guerra carsica. Stremata, mutilata, consunta, risorgeva dal sangue e dalla morte con energie nuove”.

Da vittima, volontario finito mutilato, questa verità celata della Grande Guerra la spiegava Céline sardonico nel 1939 a Pierre Ordioni, scrittore già trentenne, monarchico legittimista, biografo di Pozzo di Borgo, l’“altro corso”, nemico di Bonaparte, volontario del secondo carnaio (nell’antologia “Céline e l’attualità letteraria”, curata quarant’anni fa da Giancarlo Pontiggia): “Si faceva la coda per andare a crepare…. (Ma presto) quelli che avevano ancora un po’ di cuore l’hanno perso. È a partire da quei mesi lì che hanno cominciato a fucilare i soldati semplici per tirargli su il morale, a drappelli interi, e che il gendarme ha cominciato a essere citato all’ordine del giorno per il modo come conduceva la sua piccola guerra personale, quella profonda, vera tra le vere”.


leuzzi@antiit.eu