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mercoledì 13 agosto 2025

Fabbrica e sindacato, storia faceta in memoriam

Sindacalisti persi, puri e duri, che boicottano il sindacato giallo, anche a costo di rimetterci in qualifiche e gratifiche – e in turni facili. Finché, “una buccia di banana via buccia di banana” via un’altra, il sindacato giallo scompare. “Ma non ci sono prove che Traveylo (il padrone, n.d.r.) gli abbia fatto una combine con Cgil Cisl e Uil”. Nasceranno i sindacati di base…  E via così, con scrittura lieve, allusiva, significante soprattutto in prospettiva storica, della storia nel suo svolgersi già vista o sentita nella sua verità, che resta pregna e allettante. Anche se non racconta che la vita senza storia dell’operaio in fabbrica – quando c’erano le fabbriche.
Un racconto del 1987, del genere inaugurato trent’anni prima da Ottieri con “Donnarumma all’assalto”, poi drammatizzato da Volponi in “Corporale”, visto dall’operaio, quale Pennacchi è stato – o comunque si vuole - invece che dal sociologo (Ottieri, Volponi), che si legge come conclusivo di fatto di un’epoca – già la fabbrica cominciava a non essere più “centrale”.
Si legge per le verve della scrittura, anche se il tema è la vita quotidiana degli operai. La guerriglia sindacale (contro il sindacato più che contro la proprietà), il lavoro di notte, la ripetitività. Con piccole parentesi: il picchetto, l’occupazione stradale, l’occupazione della centtrale nucleare di Latina, il secondo lavoro. Per finire la casa, per comprarsi una macchina più grande  – l’elenco delle seconde occupazioni (negli anni in cui il sociologo del lavoro Luciano Gallino lo scopriva) prende cinque pagine fitte.
Sempre arguto più che drammatico – non come in Volponi. Un’antistoria, faceta e seria, del lavoro in fabbrica – e del sindacato. Quando c’erano, ieri.
Antonio Pennacchi, Mammut, “Il Sole 24 Ore”, pp. 147 € 12,50
Mondadori, remainders Ibs, € 8,50

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