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sabato 16 agosto 2025

Il mondo com'è (484)

astolfo


Banine – A Parigi, durante l’Occupazione e dopo, Ernst Jünger ebbe una lunga relazione con una scrittrice, Umm-el Banine Assadoulev, di origine azera, allora quarantenne. Non si sa di che natura – se ne sa solo quello che Banine ne ha scritto nei suoi libri (di cui almeno uno, “I miei giorni nel Caucaso”, le è sopravvissuto e si traduce, anche in italiano).  Figlia di ricco petroliere dell’Azerbaigian, che fu anche ministro nella breve vita della repubblica, tra la dissoluzione dell’impero ottomano e la trasformazione dell’impero russo in sovietico, adottò il nome d’arte Banine.  Molto in vista nei circoli parigini di emigrati dal sovietismo, iperletterati come Bunin, Zinaida Gippius, Cvetaeva, Bendjaev, Lev Sestov, ma accettata pure, per l’avvenenza e l’intraprendenza, dall’intellettualità parigina. Si vuole che sia stato Malraux, allora giovane avventuroso, a spingerla a pubblicare. Dopo la guerra, e dopo Jünger, assedierà anche Montherlant – tradizionalmente refrattario agli incontri ravvicinati. Ma soprattutto scriverà di Jünger. Come di un amore “assoluto”, ma non corrisposto. A Jünger dedica ben tre libri: “Rencontres avec Ernst Jünger”, 1951, “Portrait d’Ernst Jünger”, 1971, e “Ernst Jünger aux faces multiples”, 1989 (morirà quasi novantenne tre anni dopo).
I biografi di Jünger ne riconoscono il rapporto, ma in chiave quasi persecutoria, da vergine folle. Allan Mitchell, nella monografia sullo Jünger negli anni parigini dell’Occupazione, “The Devil’s Captain, Ernst Jünger in Nazi Paris 1941-1944”, ne fa un rapporto di stima intellettuale. Per Heimo Schwilk, “Ernst Jünger. Una vita lunga un secolo”, Banine, che incontra Jünger nel 1942, “è la chiave giusta che apre le porte dei salotti intellettuali della città”. Ma non di più. Se non che, involontariamente, fa conoscere a Jünger la sua amante parigina, la pediatra Sophie Ravoux, 35 anni, sposata – e parte attiva della Resistenza…..: “Tra i due si instaura, e quasi si scatena, un rapporto di natura intellettuale e anche erotica: insieme scoprono il quartiere, frequentano i luoghi di divertimento, e passano le notti in un appartamento segreto in rue de Bellechasse”.
I toni delle lettere di Banine lasciano invece supporre una relazione non propriamente amichevole.
Mitchell ne utilizza due piuttosto esplicite. A luglio del 1959: “Sono ancora la tua schiava? Ho paura che lo resterò per il resto della mia vita, qualunque cosa accada, anche se altri uomini entreranno nella mia vita, anche se mi risposassi… Questa schiavitù è la punizione per la mia non certo irreprensibile condotta con altri uomini”. E il 2 ottobre: “Non ti chiedo se sarai a Parigi in autunno, per non scocciarti, che tu sappia, però, che sono sempre la tua schiava, pronta a raggiungerti in un gelido appartamento, a fare ciò che vuoi, a soddisfare ogni tua fantasia”.
Nello stesso anno, pubblicando “Ho scelto l’oppio”, per dire della “scoperta” di Dio nel cattolicesimo, abiurando l’islam, qualche anno prima, nel 1956, non manca di legarsi a Jünger, in qualità di vittima. Di un “amore assurdo, impossibile, che ha preso in me il posto del mito, della religione, della vita”. Il tormento – “Più che amore, fu idolatria. Ma gli idoli non fanno soffrire i loro fedeli, il mio, invece, fu un carnefice… Sono congelata nel profondo. Cerco una fuga – non la trovo – sbocco nell’urlo”. 
Della relazione resta pubblica la causa per diffamazione che Céline intentò contro la pubblicazione in francese di “Irradiazioni”, il diario jüngeriano degli anni parigini, perché Banine, traducendo il diario in francese nel 1951, aveva messo al posto di Merline, lo pseudonimo che Jünger aveva inventato per il disprezzato Céline, troppo antisemita, il nome vero. Jünger testimoniò al processo che doveva essersi trattato di un semplice refuso, lui non aveva mai inteso denigrare Céline.
 
Hiroshima e Nagasaki - L’uso dell’atomica nel 1945 contro i civili ha implicato molte personalità nella decisione, politiche e scientifiche, oltre che militari. Nessuna obiezione all’uso dell’atomica, si discusse l’obiettivo. Un Comitato Obiettivo (Target Committee) studiò varie ipotesi di bersaglio, tra cui il palazzo dell’imperatore a Tokyo. Presto scartata fu l’opzione dimostrativa, di esibire il potenziale dell’atomica su un sito deserto, un’isola disabitata – opzione subito minoritaria, non se ne conosce nemmeno il proponente o i proponenti. A maggio del 1945 un Interim Committee fu creato dal ministro della Guerra Stimson col compito di consigliare il presidente Truman sull’uso migliore della nuova arma. L’Interim Comimttee si avvalse di un comitato scientifico, Scientific Panel, animato da Robert Oppenheimer, con la partecipazione di Fermi, Arthur Compton e Ernest Lawrence. Tre mesi di analisi e studi e la decisione di bombardare Hiroshima e Nagasaki, obiettivi unicamente civili, in quanto città grandi ma non molto. Lo Scientific Panel fornirà anche, dopo il bombardamento, un breve rapporto sul futuro dell’armamento nucleare, spiegando che il potenziale distruttivo si sarebbe presto accreciuto (col passaggio dall’atomica al nucleare) e consigliando, come unica forma effettiva di difesa, la costituzione di un arsenale tale da “rendere la guerra impossibile”.
Lo studio degli effetti distruttivi dell’esplosione non si fece prima. Singolarmente assenti, nelle carte note di questi Comitati, gli effetti della radioattività. Una commissione di studio sugli effetti dell’atomica, dopo il bombardamento, formata a Washington da Truman nell’ambito della National Academy of Sciences – National Research Council, una sorta di Cnr americano, la Atomic Bomb Casualty Commission, decide di occuparsene. Si dotò a Hiroshima di un enorme edificio-laboratorio, ma lavorò poco. Era una commissione di ricerca e studio, che non forniva assistenza medica, per questo avversata dai sopravvissuti e anche dalle autorità giapponesi – è sopravvissuta a se stessa per trent’anni, avversata anche in patria (succeduta nel 1975 da una commissione congiunta nippo-americana sugli effetti delle radiazioni, Radiation Effects Research Foundation, a nessun risultato pratico).
 
Nucleare femminile – Anche il nucleare è stato, era, femminile. Era inevitabile e la fisica sperimentale Angela Bracco, presidente della Società italiana di Fisica, ne fa il quadro nella  polemica che ha avuto con Carlo Rovelli sul “Corriere della sera”,  il 5 e il 14 agosto, a proposito di Fermi, del suo ruolo nella fisica e nella vita civile. È “la chimica Ida Noddack”, la chimica tedesca,  “che nel 1934 suggerisce a Fermi, non ancora premio Nobel, che il nucleo si è spezzato in due… Quell’idea richiedeva una dimostrazione in laboratorio che la Noddack non cercò di realizzare, che avvenne solo alla fine del 1938 a Berlino da parte di Otto Hahn e Fritz Strassman… Furono (poi) Lise Mettner, con il nipote  Otto Robert Frisch, a interpretare correttamemte questi risultati come fissione nucleare (nel 1939, n.d.r.), anche se solo Otto Hhn ricevette successivamente il Premio Nobel”. Nel suo lungo intervento contro Rovelli, Barcco illustra, senza dirlo, come la Germania fosse avanti nella fissione nucleare, e quindi sui suoi impieghi, ma i suoi chimici e fisici non fecero nulla per prospettarne l’uso bellico, e anzi evidentemente ne nascosero con cura le applicazioni distruttive –giusto al cinema si è potuto ricostruire avventurosamente (acqua pesante, Norvegia,  notturni, giganti della Resistenza) una caccia nazista fallita alla Bomba.  
 
Occitania – “L’Occitania va dalla Catalogna alla provincia di Cuneo”, Gianni Mura, “Giallo su giallo”, 138. E il cassoulet è il suo dio.
L’Occitanie ritorna, come una sorta di Terra Promessa, in alcune prose di Simone Weil, dispersa a Marsiglia, in attesa di imbarcarsi per l’America. Come centro spirituale neogreco o magnogreco che la violenza capetingia – assimilata all’Occupazione tedesca in corso – strangolò, agli inizi del secondo millennio. E negli anni 1976 come una delle “lingue tagliate”, le lingue della minoranze, conculcate da quelle nazionali, imposte a fini politici, di uniformità, sottomissione. Singolarmente assente però dalle rivendicazioni catalane, pure molto vaste – per non indispettire la Francia?
In tema cassoulet wikipedia ha molte pagine, su come è e si può fare. Mura opina che ogni città o anche paese ne faccia uno proprio, la sua esperienza di nomade del Tour de France gli dice questo. Gli diceva, perché dopo vent’anni non se ne parla (quasi) più.
 
 
Primicerio – Matematico in cattedra, sindaco anche di Firenze, la sua città, di cui si è annunciata la morte a 85 anni, ebbe a 24 la possibilità di mediare la guerra in Vietnam. Dove si era recato al seguito di Giorgio La Pira, l’ex sindaco di Firenze del dopoguerra, il “sindaco santo”. Che aveva voluto e saputo raccogliere a Firenze buon numero di teste pensanti e personalità politiche dell’allora Terzo Mondo, contrarie al comunismo e all’imperialismo.
Le tante “chiese” cattoliche del Vietnam illusero forse La Pira, sicuramente il giovane Primicerio, che una pace fosse possibile. Col patrocinio di Fanfani, che, giubilato da Aldo Moro dalla guida del centrosinistra con i socialisti (da Fanfani costruito, da Moro avversato), era stato fatto ministro degli Esteri, e in quanto tale presidente dell’Assemblea dell’Onu, carica formale senza responsabilità politiche, per la sessione autunnale 1965. L’11 novembre 1965 La Pira veniva ricevuto a Hanoi da Ho Chi Min, accompagnato dal ventiquattrenne Primicerio, e la cosa sembrò fatta. Fanfani trasmise le impressioni di La Pira e Primicerio – la disponibilità di Ho Chi Min a trattare anche senza il previo ritiro dei militari americani dal Vietnam – al presidente americano Lyndon Johnson. Quando la cosa si riseppe in Italia, il dileggio fu unanime.
La vicenda è più nota per la “improvvida iniziativa di un familiare” – un familiare di Fanfani – che la suggellò, nel ridicolo. La moglie di Fanfani, Maria Rosa, pensò di rilanciare La Pira con una intervista a Gianna Preda, grande firma del “Borghese”, il settimanale (allora) neofascista. Il “sindaco santo” parlò come faceva, di un mondo tutto suo: il ministro degli Esteri americano “non sa niente, non capisce niente”, Nenni è “estinto”, Moro “molle”, il futuro un monocolore Fanfani “appoggiato da tutti”, missini e comunisti. Non una cosa seria, ma l’intervista era stata fatta a casa di Fanfani. Fanfani lamentò la “improvvida iniziativa” e si dimise – per due mesi, fino al previsto rimpasto di Moro, dovette lasciare la Farnesina.      
 
Stephen Storace – Un anglo-napoletano del Settecento. Musicista inglese, nato a Londra da padre di Torre Annunziata, Stefano Storace, contrabassista, che poi lo farà studiare a Napoli, al conservatorio di Sant’Onofrio, nonché direttore dei Vauxhall Gardens, e da Elizabeth Trusler, figlia del proprietario dei Marylebone Gardens. Fratello di Anna “Nancy” Storace, la soprano forse più famosa dei suoi anni. Bruttarello, specie al confronto con la sorella. Visse poco, 33 anni, tra il 1762 e il 1796, e non se ne sa molto, se non che musicò una decina di opere che non si eseguono, su libretto di James Cobb, una di Lorenzo Da Ponte, e si suppone anche con materiali di Metastasio. E che fu attivo pure a Vienna attorno al 1784, quando organizzò una festa per Haydn, con l’esecuzione di alcuni dei quartetti di Mozart dedicati a Haydn, con lo stesso Haydn al primo violino, e Mozart alla viola.

astolfo@antiit.eu

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