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Letture - 587
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Borges – “Ritorna come il sogno di un visionario ciclotimico”, Arbasino a una certo punto ricorda in “Baires dopo Borges” (ora in “Passeggiando tra i draghi addormentati”), il suo primo viaggio in Argentina, nel 1997, testimonial del premio Grinzane Cavour, “benché sia registrata e trascritta ala Rai, una vertiginosa conversazione à bâtons rompus con Borges vent’anni fa sul pratino di San Gregorio al Celio. Scelto da lui. Per sentito dire; e per sentirsi in un’atmosfera giustamente magica, anche se vedeva solo ombre senza contorni”.
Calcio-ciclismo – “Il ciclismo non è come il calcio, dove dicono che conta solo il risultato”, Gianni Mura, “Giallo su giallo”, 195: “Nel ciclismo la grandezza della vittoria è misurata sulla grandezza degli sconfitti”. Ogni corsa è come un mano a mano.
Dante –“La ‘Divina Commedia’ è un’allucinazione… Macché rispecchiare le cose, macché riflettere la realtà…” – Borges a Arbasino, in “Passeggiando tra i draghi addormentati”, 259.
U. Eco – De “Il nome della rosa” era Sean Connery l’autore per molti spettatori – non lettori – del film tratto dal romanzo. Giuliano Vigini ha scovato un sondaggio “Gli italiani e la lettura” (di cui non dà la data, ma effettuato probabilmente attorno al 1990, non molto tempo fa). Alla domanda “Chi ha scritto «Il nome della rosa», con quattro opzioni di risposta, Hemingway, Connery, Busi, Eco, il 47 per cento era andato a Connery”, uno su due, “con Eco al terzo posto, con il 18 per vento”, dietro Hemingway evidentemente.
Nello stesso sondaggio la domanda: “Cos’è il Decamerone? Un libro di novelle; un appartamento di dieci stanze; un vino rosso; un tipo di autobus”? per un intervistato su tre, il 36 per cento, era un vino rosso.
Fantastico – È reale, spiega Borges a Arbasino (“Passeggiando tra i draghi addormentati”, 257): “Il Barocco è molto artificiale, molto ‘self-conscious’, mentre il Fantastico non lo è affatto. La letteratura fantastica è molto più naturale, perché i sogni sono reali, come lo stato di veglia…. E la grande tradizione della letteratura è sempre stata fantastica: è incominciata con la cosmogonia, la mitologia, racconti di dei e mostri. Nessuno scrittore ha sognato di essere un proprio contemporaneo: forse questo inizia nel secolo scorso (nell’Ottocento, n.d.r.). Prima si parlava sempre di altri tempi e altri paesi, ed era del tutto naturale… Questa tradizione fantastica è la tradizione principale della vera letteratura, tranne che per un periodo brevissimo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento… e continua ancora coi suoi postumi nell’America del Nord e anche del Sud…. Mentre l’altra letteratura è piuttosto giornalismo, storia, sociologia, non è vera letteratura; anche se si rifà alle esperienze di Faulkner, che del resto non mi piace molto. Il realismo vediamo che è un episodio, solo un momento nella storia letteraria. La grande letteratura non è mai stata realista”. Prima del memoir e dei selfie…. “Si comincia con la Musa, si comincia con lo Spirito Santo, coi Re, per gli Ebrei della Bibbia; e poi si lavorano questi materiali”.
Grenoble – “Quando farò una classifica delle città europee più deprimenti sarà ben piazzata” . Gianni Mura, “Giallo su giallo”, 103 – l’unico “voto” negativo delle tante località del e attorno al Tour. La città di Stendhal.
Gruppetto –Parola italiana in uso al Tour de France per gli ultimi in corsa - G.Mura, “Giallo su giallo”, p. 147: “Parola italiana che definisce una pattuglia di ritardatari che contano sulla mutua assistenza per non arrivare fuori tempo massimo, adottata dal ciclismo internazionale. “Prima, i francesi la stessa cosa la chiamavano autobus”.
Italiani americani – Wikipedia ha 200 biografie di “American writers of Italian Descent” -, “su un totale di 425”. E venticinque biografie di poeti nella stessa categoria.
Multe – “Se due persone fumano sotto il cartello «divieto di fumare» gli fai la mula; se venti persone fumano sotto il cartello «divieto di fumare» chiedi loro di spostarsi; se 200 persone fumano sotto il cartello «divieto di fumare» togli il cartello” – Winston Churchill.
Picasso – “Dipingeva Emoj” ultimamente - Dieter Buchhart, curatore della mostra “Picasso –The Code of Painting” a Trondheim. Una mostra concentrata sugli anni dal 1961 al 1973. In questi dodici anni Picasso produsse circa 3.100 “opere”, che non sconvolsero la critica né il mercato. Picasso anticipa il linguaggio emoji, secondo il curatore. Il cui pensiero Antonio Tocca riassume così sul “Robinson”: “Se gli emoticon, nell’età di internet, hanno schiacciato la polivalenza del simbolo sul segnale, gli scarabocchi picassiani continuano a pencolare sull’abisso disteso tra amore e morte”.
Ratto – “Il Ratto” è Trump nel lungo racconto di Emmanuel Carrère “In viaggio con il Président” – è al centro, si può dire, del racconto. Carrère assimila il presidente americano, da lui scrutato da vicinissimo al G 7 in Canada a luglio, a un personaggio inventato da uno dei suoi “autori del cuore”, Philip K. Dick, per le figlie: “Quando le sue figliastre erano piccole, lo scrittore di fantascienza Philip K. Dick inventò per loro una variante edel Monopoli, con l’obiettivo di rendere meno noiosi gli eterni acquisti di immobili di cui andavano pazze. Il Banco, in questa variante, si chiama il Ratto e, invece di accontentarsi del un ruolo di arbitro detiene il potere discrezionale di modificare le regole del gioco. Quando vuole, come vuole, senza che nessuno abbia il diritto di chiedergli conto di questi ukase, e senza che lo impegnino a nulla per il seguito. È la tabula rasa perpetua, la dittatura allo stato puro, la negazione dell’idea di diritto. Perché una partita sia riuscita, i giocatori hanno interesse a scegliere come Ratto il più vizioso e il più inventivo tra loro. Un ratto degno di questo nome deve saper dosare i tormenti che infligge ai giocatori, lasciare loro supporre che un piano guidi le sue decisioni arbitrarie e, passando per crudeli delusioni e incoraggiamenti ingannevoli, strapparli alla loro pratica abituale del Monopoli, senza che l’interesse diminuisca, per farlo sprofondare nel caos”.
Roma – Borges a Roma, nel 1977, a colloquio con Arbasino, ne traccia una sorta di immortalità (A. Arbasino,“Passeggiando tra i draghi addormentati, 262): “Ci sono molti racconti di Kipling
dove tratta dell’Impero Britannico, però lo fa con la metafora di Roma. Credeva che tutta la Storia fosse una sola storia dell’Impero Romano e che cambiasse di nome, di razza, di indirizzo, ma si trattasse sempre dello stesso Impero. E anche Stevenson.... arriva dalla Scozia al Far West e cosa dice? «Sono qui alla frontiera della cultura occidentale, o se preferite dell’Impero Romano». E certo, decadenza e caduta, declino dell’Occidente. E crollo dei valori europei… Ma, intanto, noi siamo qui a conversare in lingue neolatine, a scelta… Allora, insomma, non abbiamo niente di meglio che quell’Impero”.
letterautore@antiit.eu
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