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martedì 14 gennaio 2025

Il mondo com'è (482)

astolfo


Émilie du Châtelet
(seconda parte) - Non solo i caffè, luogo privilegiato di discussione fra matematici e fisici, era all’epoca interdetta alle donne anche l’Accademia delle Scienze di Parigi – l’accettazione all’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna è eccezionale, anche perché basata sulla “chiara fama”, e attestata dalla documentazione, alcuni lavori che la marchesa aveva pubblicato. Non ammessa formalmente nei cenacoli scientifici e all’Accademia di Parigi, tuttavia era riconosciuta e apprezzata dalla comunità – e perfino pubblicata dall’Académie des Sciences.
Un’altra stranezza è che la scienziata, pubblicata, discussa e apprezzata in vita, fu subito poi dimenticata. Se ne è tornato a parlare, delle sue esperienze e teorie scientifiche, cinquant’anni fa, per l’applicazione che ci ha messo Elisabeth Badinter, per recuperare le sue opere e farne oggetto di rivalutazione – in un’ottica di rivalutazione della condizione femminile e degli apporti delle donne allo studio e alla ricerca negli anni dell’illuminismo.
La convivenza con Voltaire si sa che fu feconda per entrambi anche sul piano intellettuale. Nella lettura critica delle Scritture, e anche nelle riflessioni filosofico-scientifiche. Definivano insieme i temi d’interesse comuni, poi ognuno ci lavorava autonomamente, e alla fine comparavano le rispettive conclusioni. Per esempio per “Gli elementi della filosofia di Newton”, la prima volgarizzazione in francese dell’opera di Newton, a cui Voltaire ha cominciato a lavorare nel 1736: pubblicandoli nel 1738 precisava nella prefazione che vi aveva contribuito Madame du Châtelet – la quale peraltro procederà alla traduzione e a una sua propria lettura di Newton, che sarà pubblicata postuma, nel 1759.
I contributi della marchesa, che allargava la sua riflessione a Locke e Mandeville, sono sui termini della conoscenza – ricostruiti e indagati da una sua studiosa recente, Ruth Hagengruber, “Emilie du Châtelet between Leibniz and Newton”. Contro Locke, insisteva sulla necessità di verificare la conoscenza con l’esperienza: “L’idea del celebre Locke sulla possibilità della materia pensante è …. astrusa”. Arrivava alla critica di Locke commentando Bernard de Mandeville, “La favola delle api”. Ma ne contestava anche la negazione del principio di contraddizione, e l’avversione per le idee innate e i “principi anteriori”. Prendendo posizione a favore di quello che sarà chiamato “innatismo”, nella forma di un “presupposto universale”: di principi universali che pre-condizionano la conoscenza e le azioni umane, una legge innata, un fondamento senza il quale ogni sapere è relativo.
Le “Istituzioni di Fisica”, 1740, sono l’opra considerata maggiore di Émilie du Châtelet: un’esposizione e un confronto di Descartes, Newton e Leibniz, con intenti pedagogici, per “insegnare le nuove idee in fisica” al figlio, allora tredicenne. Pubblicate nella primavera del 1741, le “Istituzioni” furono avallate da Maupertuis, ma aspramente criticate dal cartesiano astronomo e geofisico de Mairan, segretario dell’Accademia delle Scienze. Con Mairan la controversia sulla natura delle “forze” fu pubblica per un paio di anni. Ma l’opera ebbe successo: nel 1744, tre anni dopo l’uscita, risulta tradotta in più lingue. Tra cui l’Italiano – è del maggio 1746 l’elezione di Émilie du Châtelet all’Accademia di Bologna, per chiara fama.
In Francia il suo nome nelle scienze era rimasto, prima della riscoperta avviata da Badinter, per la traduzione di Newton, dei “”Philosophiae naturalis principia mathematica”. Una traduzione pubblicata postuma, nel 1759, dieci anni dopo la sua morte. In due volumi, per complessive 400 pagine. Di cui la traduzione prende un volume e mezzo, il resto è costituito dalle annotazioni della  traduttrice e dai suoi complementi: Emilie du Châtelet aveva tradotto il latino di Newton, e ne aveva rifatto i calcoli, condensando le sue osservazioni in un saggio intitolato “Principi matematici della filosofia naturale”. Ua prima edizione del suo Newton si era avuta, sempre postuma, nel 1756, con una prefazione di Voltaire, ma non era il testo definitivo.
Malgrado le restrizioni regolamentari, anche all’Accademia delle Scienze parigina Émilie du Châtelet trovò riconoscimento. Con una “Dissertazione sulla natura e la propagazione del fuoco” – tema evidentemente ancora aperto, se la California non riesce a venirne a capo. Pubblicata in un primo momento anonima dall’Accademia, nel 1739, ripubblicata successivamente col suo nome, nel 1744, e nel 1752. Fu una sorta di beffa, all’Accademia e anche a Voltaire. Nel 1737 l’Accademia aveva bandito un concorso in tema, la natura del fuoco e la sua propagazione. Voltaire si iscrisse, e provò a dare un riscontro fisico alla teoria dei quattro elementi di Aristotele. Con una serie di esperimenti - a Cirey, dove risiedeva nel castello degli Châtelet - inconclusivi. Mandò quindi al concorso una memoria con una ipotesi che non convinse l’Accademia. Émilie du Châtelet, che aveva assistito Voltaire negli esperimenti, non ne condivideva le ipotesi. E redasse, senza consultarsi con Voltaire, una sua propria memoria, di 139 pagine, che inviò anonima al concorso.  L’Accademia premiò Eulero, ma pubblicò sia la memoria di Voltaire sia quella di Émilie du Châtelet, entrambe nel 1739. Quella di Émilie in forma anonima – sarà ripubblicata col nome dell’autrice nel 1744, e ancora dopo la morte, nel 1752.
(fine)

Harry Martinson - Scrittore svedese, poco tradotto, è stato premio Nobel per la Letteratura nel 1974. Ex aequo con un altro scrittore svedese, Eyvind Johnson. Entrambi, Martinson e Johnson, erano membri dell’Accademia Reale di Svezia, la stessa che attribuisce i Nobel. Anche se non avevano partecipato alla seduta decisiva, furono insolentiti dalla stampa svedese dopo l’attribuzione del premio. Martinson non resse allo scandalo, si isolò, e tre anni dopo, nel 1978, si uccise (un suicidio barbaro, con le forbici, nell’ospedale di Stoccolma dove era ricoverato per cure)– Johnson era già morto, nel 1976, un anno dopo aver ricevuto il premio. 
Alla seduta decisiva dell’Accademia, si sa ora dai verbali desecretati dopo cinquant’anni, era stato valutato anche un ex aequo al femminile, tra Nadine Gordimer (poi premiata nel 2001) e Doris Lessing (Nobel 2007). Terza scelta Saul Bellow, insieme con Norman Mailer. Quarta Montale, che sarà premiato l’anno successivo, 1975 – Bellow lo sarà nel 1986.

Muckracker - Theodor Roosevelt nel 1906, lo stesso anno in cui si fece conferire il premio Nobel per la Pace, dopo varie guerre per impadronirsi dei Caraibi, coniò questo termine, “spalaletame”, per caratterizzare quello che sarà il cronista giudiziario, il giornalista che prosperava negli angiporti delle questure – ora detto giornalista investigativo, a caccia di segreti, scandali, delitti. È il soprannome di un personaggio del romanzo secentesco “Il viaggio del pellegrino”, del teologo e predicatore inglese John Bunyan.

Gaston Oulmàn – Il portavoce ufficioso della Pubblica Accusa Alleata al processo di Norimberga, il “giornalista” inviato dalla radio di Monaco di Baviera che quotidianamente dava alle centinaia di giornalisti il resoconto della seduta del Tribunale redatta dagli Alleati, era uno pseudonimo. Quasi cinquantenne all’epoca del processo, si faceva chiamare anche Oulman, senza accento, o Oullman, ma era stato famoso come “Jo Lherman”, o Lhermann, o Yo Lehrmann, mentre di suo faceva Walter Ullmann. Un fregoli o un houdini dei nomi e delle identità, che mutava continuamente, anche non a scopi fraudolenti. Anche se la sua costante era la frode.
Morì poco dopo il processo, nel 1949 a Parigi, dopo aver disseminato di sé varie tracce: portiere di bordello in Nord Africa, spia sovietica a Tangeri, suicida a Casablanca, pugnalato a morte nella kasbah di Algeri. A Parigi è invece documentata la morte nell’aprile del 1949, per problemi polmonari, nonché un’intervista a sensazione su “Le Monde” il 19 febbraio con Friedrich Gaus, il direttore generale del ministero degli Esteri tedesco negli anni 1920-1930, sul patto Ribbentrop-Molotov. “Il Camaleonte” s’intitola la biografia che se ne fece negli anni 1970, quando ebbe in Germania un ritorno di popolarità - sottotitolo “L’uomo che si faceva chiamare Dr. Gaston Oulman”. Non era naturalmente neanche “dottore”, titolo che in Germania era – ed è – il nostro dottore di ricerca. L’unica costante era la truffa, un susseguirsi di truffe, anche minime, in tutte le identità che si veniva costruendo.
Per i vecchi, e neo, nazisti era la caricatura di un ebreo - “un uomo piccolo e magro con dita lunghe e sporche e denti gialli” sarà per il negazionista austriaco Franz Joseph Scheidl. Di famiglia ebraica, era nato a Vienna, dove a vent’anni, subito dopo la Grande Guerra, aveva subito la prima condanna per truffa. Molte accuse per truffa e qualche condanna si portò dietro poi per un paio d’anni in tutta la Germania. A Berlino nel 1923 emerge come “Lherman”, in qualità di uomo di teatro, attore, capocomico e regista. Mette in scena Strindberg, Wedekind, Sternheim, viene recensito benevolmente da Alfred Döblin, frequenta Brecht, che gli riduce “Il pastore Ephraim Magnus” di Hans Henny Jahnn da sette ore a due, e di cui pubblica “Il ricordo di Marie A .” in una delle riviste da lui fondate, di uno o due numeri poiché non pagava gli stampatori, “Das Dreieck” - con Brecht pubblica anche Ernst Toller, Carl Zuckmayer, Iwan Goll. A Berlino fu più stroncato che accettato, ma per tutti gli anni 1920 riuscì a segnalarsi nella scena teatrale. Fino alla rappresentazione de “I fanatici” di Musil, che non trovava esecuzioni per via della durata, quattro ore. Chiese una riduzione a Musil, che la rifiutò. Mise allora lo stesso il dramma in scena, ridotto della metà. Musil provò a bloccare la rappresentazione per via giudiziaria, ma non ci riuscì. Le ultime messe in scena sono del 1930: a Monaco Claudel, “Il pane duro”, a Berlino Joyce, “Exiles”. Poi scompare, avendo lasciato parecchi insoluti.
A Vienna nei primi anni 1830 ritorna Ullmann e lavora nell’editoria. Poi scompare, forse in Spagna, nella guerra civile. Poiché nel 1937 risulta arrestato a Barcellona, dove si diceva inviato dell’agenzia di stampa americana United Press, per intese con i franchisti. A Madrid viene arrestato nel 1941, ricercato per frode, ed estradato a Vienna. Dove il 16 settembre 1942 per frode risulta  condannato a cinque anni di carcere. Alla liberazione si dice cittadino cubano, con la nuova identità “Dr. Gaston Oulmàn”. Riconosciuto perseguitato dal nazismo, usa il suo nuovo status per trafficare con i membri in disgrazia del partito Nazista, cui fornisce a pagamento tessere sanitarie, e assicura alienazioni sottobanco di reperti artistici. Da Vienna passa poi a Monaco, dove si acquista la fiducia dell’ex famiglia regnante dei Wittelsbach, e del commissario americano di Radio Monaco, Field Horine. Da qui il suo ruolo a Norimberga, al processo. Dove continua a mettere a frutto il legame con gli Alleati per fornire contatti e altri servizi utili alle mogli di accusati eccellenti, von Blomberg, von Schirach, Hans Frank, Göring. Finito il processo fece in tempo ad alimentare un nuovo scandalo nella Saar, allora in semi-occupazione francese, direttore politico di radio Saarbrücken: in una perquisizione gli trovarono lasciapassare in bianco della frontiera con la Germania, di cui faceva commercio. Nell’agosto 1948 ci fu chi lo disse l’autore dei falsi “Diari di Eva Braun”.

astolfo@antiit.eu

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