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domenica 23 novembre 2025

Sull’Ucraina la pace Usa-Russia, con un occhio alla Cina

Si vuole il piano di Trump per la “pace” in Ucraina sbagliato, arrendevole, abborracciato. Mentre è il contrario. E non dovuto al suo personale mediatore, l’affarista Witkoff, che è solo un uomo di fiducia del presidente, ma al dipartimento di Stato. Si vede ampiamente da come è redatto, nella formulazione, e anche nei (tanti) punti controvertibili, cioè materia di trattativa. Perchè l’obiettivo americano – americano, non trumpiano - di ora è avviare una trattativa, se non addirittura un “cessate il fuoco” (il primo passo per fare finire le guerre: cessate-il-fuoco, tregua, armistizia, trattato).
Sotto il protagonismo di Trump ci sono interessi e ragionamenti politici. Che alla fine si riducono a uno: isolare la Cina. È nozione comune che l’obiettivo principale di politica estera americana, già dalla presidenza Biden, è di isolare la Cina.
Le guerre in atto, in Palestina e in Ucraina, stuzzicheranno pure l’ego di Trump “imperatore della pace”, ma, seppure così è, c’è senno nella sua egomania. L’isolamento della Cina l’amministrazione Trump lo ha imposto alla Ue di Bruxelles e ai paesi europei, Italia inclusa (e Germania), e lo coltiva con l’accordo militare Arabia Saudita-Pakistan (antico proxy di Pechino), un’alleanza che sarà forte del migliore armamento americano. Come già Biden e il primo Trump con le alleanze militari, il Quad (Australia, Giappone, India, Stati Uniti) e l’Aukus (Australia, Uk, Usa). E con i vari approcci per portare la sicurezza Nato nell’Indo-Pacifico, per ora il Canale di Suez (Huthi) e il mar Rosso.
Un “piano di pace” in 28 punti è ampia materia per trattare. Si vuole che sia un piano di pace di Putin che Trump sponsorizza (lo vuole solo la stampa italiana però: vecchio riflesso sovietico? applicato alla Russia…). No, chi lo ha letto ne è certo. È una offa a Putin. Dopo un preavviso di sanzioni. Di sanzioni efficaci, su petrolio e capitali – in grado cioè di fare male alla Russia, al contrario delle venti o ventuno ondate di sanzioni decise dalla Ue.

La Grande Strategia di Putin

Una rappresentazione della politica estera russa dal 1993 in poi. Opera di uno specialista russo di Storia diplomatica. Un’esposizione più che una valutazione. Utile a fare chiarezza sui presupposti anche del momento attuale di Mosca, della posizione russa prima della guerra con l’Ucraina. Una politica definita la Grande Strategia, senza meno.
Si parte da Eltsin, che nel 1993 stabilisce questi due fondamenti della politica estera della nuova Russia: sicurezza e integrazione con l’Occidente. Con riforme economiche significative, anche  onerose. Ma con la partecipazione al G 7 già nel 1994, e l’aperura nel 1995 dell’adesione alla Wto, l’organizzazione che regola(va) il commercio mondiale – alla quale Mosca sarà ammessa nel 2012 col “supporto degli Stati Uniti”. In contemporanea, ma in subordine, Mosca ha pure “cercato di normalizzare i legami con gli ex alleati del blocco sovietico”, e ha risolto dispute territoriali, con gli ex alleati e con la Cina – mentre “le relazioni con il Giappone sono rimaste tese a causa delle isole Kurili contese”.
Per tre capitoli, e per quindici anni, Mosca si sarebbe impegnata ad appianare la sua entrata nel mondo occidentale. Opera per un ordine mondiale multipolare, partecipando attivamente a forum come il G 20 e i Brics. Firma nel 2010 il New START, riducendo le testate nucleari a 1.550. Propone nel 2010 un’area di libero scambio da Lisbona a Vladivostok. Avvia nello stesso anno con la Ue una “partnership for Modernisation”. E si accorda con la Germania, al castello di Meseberg, “per coordinare le politiche estere e di sicurezza”. Dal 2006 partecipa all’operazione Nato “Active Endeavour” di pattugliamento del Mediterraneo contro il terrorismo, e dal 2008 all’operazione anti-pirateria nel Golfo di Aden.
Poi la crisi. Nessun progresso nei negoziati con la Ue. Insistenza americana per una Ballistic Missile Defense (Bmd) stazionata in Europa. E un po’ di crisi politica interna, per le divergenze tra Medvedev e Putin sulle politiche per il Mediterraneo, in particolare in Libia e in Africa.
Dopo l’annessione della Crimea nel 2014 arrivano anche le sanzioni economiche occidentali.
Indirettamente autocritici i capitoli finali. La Russia mantiene forte la presenza negli affari internazionali, grazie al ruolo di membro permanente del consiglio di sicurezza Onu. Che però non può impedire risoluzioni quali quella che impegna l’Onu all’integrità territoriale dell’Ucraina. E ha praticamente cancellato la partecipazione alle missioni di pace – solo 85 militari vi erano impegnati nel 2024. È attiva tra i Brics, che “rappresentano il 42 per cento della popolazione mondiale e si impegnano a promuovere gli interessi dei paesi in via di sviluppo”. E nel G 20, che “indirizza vari problemi globali”.
L’ultimo capitolo è un appello al disarmo e alla “non proliferazione” dell’armamento nucleare. 
Il MIGMO, istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali, è l’università del ministero degli Esteri russo. Bobrov vi insegna con la qualifica di professore associato al dipartimento di Diplomazia, e lo status, quando scriveva questo repertorio storico, di preside facente funzioni della facoltà di Governo e Affari Internazionali.
Alexander Kirillovich Bobrov, The Grand Strategy of Russia, Moscow State Institute of International Relations (University), School of Government and International Affairs, MGIMO University, pp. 267, gratuito online