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La Germania è stanca, e un po’ confusa
Un instant book, di
uno che si può dire massimo conoscitore delle economie tedesche, di cui fa la summa.
Senza novità – è la riedizione di analisi e critiche già scritte per il
“Financial Times”, di cui Münchau è forse il redattore più sperimentato (già
direttore del “Financial Times Deutschland”, in lingua tedesca, che ha chiuso
nel 2012 – quando vendeva 112 mila copie…). Ma messe insieme fanno notizia.
La Germania in effetti
non è mai stata miracolata. Ha puntato sull’“eccellenza” - sull’autopropaganda - di tutto ciò che è
meccanica e chimica, ma con applicazione, faticando, duro e duraturo. Senza
scoraggiamenti, senza tentennamenti. Salvo da qualche tempo, finiti i russi a
Berlino, dirsi e sentirsi ricca e grande, importante, decisiva. Mentre approdava
a inizio Millennio, ieri, con molte produzioni delocalizzate nell’Est Europa, perfino
in Russia, e cinque milioni di disoccupati – veri, non finti, come spesso in
Italia, nell’economia nera. Li ha eliminati eliminando il mercato del lavoro –
i pilastri sindacali, a garanzia di orari e paghe orarie - con la liberalizzazione
praticamente totale. Ed è venuto il miracolo dei lunghi anni di Merkel: l’arricchimento
con una politica mercantilistica perfino esagerata, che si poteva appendere i nastrini
della politica più “impegnata”, per gli immigrati, per il clima, e “per la
Russia” (per il gas in quantità e a buon mercato). La produttività non ne ha
beneficiato – non ha tenuto il passo. L’investimento si è adagiato sulla spesa sociale - sulle facilitazioni offerte
dal radicale jobs act del cancelliere socialista Schröder prima
di Merkel. E su una delocalizzazione moltiplicata, in Cina in grande misura, e
nel Sud -Est asiatico.
Il mercato interno
ha finito per non reggere più il passo. E da qualche tempo, già prima della confrontation
imposta da Trump, la Cina, grande serbatoio di vendita e di riesportazioni,
è a rischio: non “beve” più (il vecchio problema delle politiche di consumo: “Puoi
portare il cavallo alla fontana ma non puoi obbligarlo a bere”). In particolare
compra sempre meno tedesco: il cinese è mezzo tedesco, sa vendere anche l’“eccellenza”,
e il regime che sovrintende a Pechino si sottovaluta, è ferreo oggi come lo era
ieri.
La Germania, spiega
ripetutamente Münchau, resta sempre la maggiore economia europea, la quarta o
quinta più importante al mondo per fatturato (pil), ma è stanca, troppo
dipendente da mercati autoritari, Russia e Cina, e indietro sull’economia
digitale. Che è la verità fino a ieri. Oggi? Il nuovo governo, del cancelliere
Merz, si è fatto subito forte di un grande battage di investimenti multimiliardari,
per la difesa, per il clima, per la digitalizzazione, per le infrastrutture –
essendosi fatto autorizzare dal vecchio Parlamento a una spesa senza limiti. Mentre
naviga con difficoltà nella politica, nel paese e anche al Bundestag. Di questo
Münchau non può tenere conto - il libro è uscito un mese fa - ma è l’handicap maggiore.
Wolfgang Münchau, Kaput: The
End of the German Miracle, Swift Press, pp. 256 €15
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