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lunedì 19 maggio 2025

Trump-Ue, storia vecchia

Nel gennaio 1981 si insediava a Washington Ronald Reagan, un presidente poi passato alla storia (per avere sconfitto l’Urss, ridotto la burocrazia, chiuso il ciclo quasi ventennale di appannamento degli Stati Uniti - Cuba, assassinio Kennedy, crisi del dollaro, Vietnam, Nixon, Iran - e avviato un ciclo trentennale di crescita dell’economia, fino alla crisi delle banche), ma visto all’epoca come un personaggio minore (attore e sindacalista fallito, etc.) e un forte destrorso. Anche lui repubblicano, come Trump, anche lui portato dall’ala reazionaria – populista - del partito, che allora aveva anche un’ala liberal, dei Rockefeller. E analogamente rifiutato.
Nello stesso mese i principali istituti politici europei, la tedesca Dgap (Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik, società per la politica estera), il britannico Royal Institute of International Affairs (Riia), e l’Ifri francese, Institut français des relations internationales – cui si accodava negli Usa il Council on Foreign Relations, fondato negli anni 1920 dai Rockefeller - pubblicavano un rapporto preoccupato. Sul presidente, e sulla difesa europea.
La preoccupazione era che Reagan ponesse fine alla distensione – il primo passo verso la globalizzazione - e anche ai rapporti transatlantici. La proposta comune era che gli “Stati chiave” dell’Occidente procedessero al riarmo. Nell’ottica di una “responsabilità” speciale per la pace – fino alla formazione di una “coalizione di volenterosi”, con compiti di polizia internazionale.
Il documento del 1981 era seguito due anni dopo da uno studio dei tre istituti europei, con l’italiano Iai (Istituto Affari Internazionali) e l’olandese Clingendael, dal titolo: “La Comunità Europea di fronte alla decisione. Progresso o declino”.

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