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Trump-Ue, storia vecchia
Nel gennaio 1981 si insediava a Washington Ronald Reagan, un presidente
poi passato alla storia (per avere sconfitto l’Urss, ridotto la burocrazia,
chiuso il ciclo quasi ventennale di appannamento degli Stati Uniti - Cuba, assassinio
Kennedy, crisi del dollaro, Vietnam, Nixon, Iran - e avviato un ciclo trentennale
di crescita dell’economia, fino alla crisi delle banche), ma visto all’epoca come
un personaggio minore (attore e sindacalista fallito, etc.) e un forte destrorso.
Anche lui repubblicano, come Trump, anche lui portato dall’ala reazionaria –
populista - del partito, che allora aveva anche un’ala liberal, dei Rockefeller. E analogamente rifiutato.
Nello stesso mese i principali istituti politici europei, la tedesca
Dgap (Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik, società per la politica
estera), il britannico Royal Institute of International Affairs (Riia), e l’Ifri
francese, Institut français des relations internationales – cui si accodava
negli Usa il Council on Foreign Relations, fondato negli anni 1920 dai Rockefeller
- pubblicavano un rapporto preoccupato. Sul presidente, e sulla difesa europea.
La preoccupazione era che Reagan ponesse fine alla distensione – il primo
passo verso la globalizzazione - e anche ai rapporti transatlantici. La
proposta comune era che gli “Stati chiave” dell’Occidente procedessero al
riarmo. Nell’ottica di una “responsabilità” speciale per la pace – fino alla formazione
di una “coalizione di volenterosi”, con compiti di polizia internazionale.
Il documento del 1981 era seguito due anni dopo da uno studio dei tre istituti
europei, con l’italiano Iai (Istituto Affari Internazionali) e l’olandese
Clingendael, dal titolo: “La Comunità Europea di fronte alla decisione.
Progresso o declino”.
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