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martedì 20 maggio 2025

Ma non c’è la fuga dal dollaro

Trump non ha spaventato i mercati. Le altre monete derivano, effetto dei dazi minacciati, il dollaro resta centrale – la bocciatura Moody’s del debito americano non ha influito sull’uso del dollaro né sul debito. Che pure si è accresciuto nel 2024, presidenza Biden, di 1.800 miliardi di dollari – il 6,4 per cento del pil (in Italia, in Europa, la soglia limite è il 3 per ceto – ma anche la Germania di Merz si è fatta autorizzare a raddoppiare la soglia). E più elevato sarà il disavanzo quest’anno, 1.900 miliardi.
Malgrado questa marcia d’indebitamento, e malgrado Moody’s, il premio di rischio dei Treasury e del dollaro rimane molto basso. Nessun investitore, Cina compresa, si è disimpegnato – non ha interesse a svalutare il proprio investimento. Gli Stati Uniti restano l’investimento di gran lunga maggiori di tutti i surplus commerciali e valutari. Anche perché: quale altro altrove? La posizione patrimoniale netta americana verso l’estero era e resta a un record di 26.200 miliardi a fine 2024.
Il Brics coin non esiste. Allo yuan cinese non si affida nemmeno Pechino. E l’euro è quello che vuole essere, malgrado i tanti ammonimenti, di Draghi per ultimo: una moneta comune – non ci sono eurobond, che pure sarebbero vantaggiosissimi, e anzi non c’è nemmeno una regolamentazione unitaria delle banche.
Il Fondo Monetario Internazionale censisce che tre quinti delle riserve valutarie mondiali, il 57,8 per cento, è in dollari (l’euro segue a molta distanza, il 19,8 per cento – i vari mercati euro). E analogamente per i pagamenti internazionali: sono in dollari tre pagamenti su cinque, il 59,6 percento – la Cina, il maggior performer del commercio mondiale, usa lo yuan per il 4,3 per cento.
E le prospettive a breve, malgrado Trump, restano positive, poiché la Federal Reserve non ha intenzione di ridurre i tassi, fermi al 4,25-4,50 per cento.  

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