Per metà è la raccolta
delle introduzioni scritte per una collezione dei suoi romanzi. Di poco interesse:
l’anno, le condizioni di scrittura, il bisogno di lavorare, di guadagnare, i dubbi,
i fallimenti, i successi a sorpresa. Poi vengono diari e ricostruzioni delle
esperienze da reporter, nell’Austria occupata e nelle guerriglie anni 1950. Di
interesse assoluto, come storie di un tempo dimenticato e che fu effettivamente
“rivoluzionario”, in Malesia, in Indocina (Vietnam), in Kenya, a Cuba.
Diari e ricordi confluiti anche questi in romanzi, ma qui raccontati o ripresi per
sé, non legati a personaggi e situazioni da romanzo. Di una capacità di
analisi, se i diari e gli appunti non sono ricostruiti, incredibilmente acuta.
Compresa la violenza del “comunismo” (il sovietismo), anche se poi, nelle
vicende dei suoi amici di Oxford acclarati spie di Mosca lo scrittore si esibirà
filorusso.
Affascinante l’anamnesi
indiscutibile della fine del colonialismo, a Dien Bien Phu nella primavera del
1954, contro la tattica attendista, di logoramento, del generale Giap, e l’anno
successivo della rivolta Kikuyu nel Kenya. Altrettanto lo sono le riserve sulle
“liberazioni” centroamericane, dei “Tonton Macoute” haitiani e altre bande
sanguinarie. Accanto a Cuba castrista anche tra i bambini, sotto il regime corrotto e violento di Batista.
Sul Kenya c’è di
più. Da una parte i settler, i coloni, che si ritengono kenyani e non
più inglesi – così come sarà in Rhodesia-Zimbabwe e in Sud Africa. In Indocina,
il futuro Vietnam, ci sono ancora le tante componenti poi cancellate dagli annali.
La forza della chiesa cattolica, con un paio di vescovi-generali. Un paio di
altri staterelli sincretico (astrologia compresa)-militari. La semplicità e
dirittura dei francesi, amministratori e soldati - l’Europa con con cui G. Greene
si sente in sintonia, avvertita e leale, anche nella sconfitta. Con le non
impercettibili manovre americane per scalzare l’influenza francese. In Kenya l’estrema
violenza dei Mau Mau, i rivoltosi, con bambini tagliati a metà e altre abominazioni.
Di una etnia, tra l’altro, nemmeno dominante nel paese, solo più abile nei commerci.
E l’estrema (naturale) religiosità dell’africano – quella che gli etnologi
chiama(va)no animismo.
Con molti personaggi
ed episodi che da soli fanno romanzo o racconto. Alexander Korda su tutti, il
produttore cinematografico inglese di origine ungherese. Il vecchio compagno di
molte malefatte a Oxford che Greene si ritrova governatore del Kenya. Monsieur Cachin, il direttore de
“L’Humanité”, il quotidiano del partito Comunista francese, che mezzo partito a
Varsavia si raduna a salutare alla partenza, alla scatetta dell’areo – il burocratismo
comunista. I gurkha, soldati efficienti, mercenari con moglie e figli al
seguito. Padre Pio visto da vicino, mentre dice messa, con le stimmate. Il successo
in Francia patrocinato dal filosofo Maritain, e dopo la guerra dallo scrittore
Mauriac (oggi dimenticato, all’epoca un’autorità), due eminenti intellettuali “cattolici”.
Il “grande”, “grandissimo” poeta norvegese Nordhal Grieg. T.S. Eliot in privato.
Il processo che Shirley Temple, nove anni, gli muove per diffamazione, per la recensione
del film “Wee Willie Winkie” – una pochade ma non del tutto.
Più di tutto
invita alla lettura il non detto. Che Greene spiega nella nota iniziale: “Quella
parte di una vita di cui il giornalismo più è goloso resta fuori dallo scopo di
questo libro”. Ma viene allusa, o se ne intravede, la trama. Di un marito e
padre che non divorzierà mai ma non si occuperà della moglie e dei due figli,
se non per i soldi. Che vive altre vite, con altre donne more uxorio, dapprima
nella stessa Londra, poi ad Anacapri, poi ad Antibes. Ogni donna un luogo, di
cui qui lascia solo la traccia topografica, e tuttavia ne fa risentire la sostanza.
E soprattutto l’imbelvimento.
Di G. Greene il
lettore ha l'immagine di un gentleman inglese vecchia maniera, nodo
scappino o windsor, chioma ondulata chiara, occhi blu, mentre ha lunghe stagioni
di alcolismo, e soprattutto di droga. Non propriamente, non da essere perduto,
ma quanto basta per vivere da solo. I suoi lunghi giorni, in cinque inverni di fila,
tra Hanoi e Saigon trascorrono in compagnia di una delle “bellissime vietnamite
vestite di bianco”, che gli tiene in ordine la casa, quando torna dalle fumerie
di oppio, dopo tre, cinque, sette “pipe”.
Una delle più interessanti narrazioni di G. Greene è una delle poche trascurate in traduzione - se ne è fatta solo una, alla prima pubblicazione della raccolta, nel 1980.
Graham Greene, Ways
of Escape, Vintage, pp. 309 €12
Vie di scampo, Mondadori, pp. 310 pp.vv.
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