Cerca nel blog

mercoledì 1 gennaio 2025

Carter, che "liberò" il terrorismo islamico

Si apre l’anno con l’ennesimo eccidio jihadista, ancora in America. A poche ore dalla morte dell’ex presidente Carter. Di cui non si ricorda, ma fu il presidente che “liberò” il jihadismo. Insediando Khomeiny in Iran.
Il nome di Carter non viene associato al khomenismo, ma fu lui a crearlo. A “liberare” il fondamentalismo islamico. Cioè il terrorismo indiscriminato - anche kamikaze, con bombe a tempo, con eccidi nei luoghi affollati, scuole, mercati - fatto legge divina. Che dall’Iran ha travalicato nel mondo arabo, in varie sette, sciite e salafite-sunnite. In quarant’anni ormai di stragi, nel mondo islamico, specie in Algeria (con mezzo milione di morti, almeno), in Africa (Nigeria, Somalia e altrove), in Europa (Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania, Belgio) e negli Stati Uniti – qui con numerosissimi attentati sanguinari, anche se si ricorda solo quello incredibile dell’11 settembre 2001.
Sono stati i servizi segreti francesi a destabilizzare l’Iran. Recuperando in Iraq uno dei tanti ayatollah nemici della modernizzazione impressa all’Ira dallo scià, Ruhollah Khomeiny, e facendone in poche settimane, da una base in Francia vicino Parigi, con un sistema di videocassette giornalmente moltiplicate in milioni di esemplari e contrabbandate in Iran, e giornalieri discorsi diffusi accuratamente nei media, un capo rivoluzionario. Di una rivoluzione, secondo il Deuxième Bureau, “dei fiori”. Ma fu Carter a dare il via alla rivoluzione “dei fiori”, al vertice a quattro della Guadalupa a Capodanno del 1979, convocato da Giscard d’Estaing – un presidente francese che finirà ingloriosamente per traffici di diamanti con dittatori sanguinari africani – con Usa, Gran Bretagna e Germania Occidentale.
Gli Stati Uniti avevano con l’Iran un patto di mutua difesa, anticomunista-antisovietico (l’Iran, non si ricorda, ma è dai tempi del Grande Gioco di “Kim”, di Kipling, nella sfera d’interesse russa). M Carter, apostolo dei diritti umani (sarà per questo premio Nobel per la Pace nel 2002), decise che Khomeiny avrebbe assicurato i diritti politici e civili ai persiani, e mandò il suo capo di stato maggiore a comunicare allo scià che le manifestazioni di piazza organizzata dai neofiti khomeinisti (Khomeiny fu a lungo inviso alla maggior parte degli ayatollah, dei più colti e autorevoli :a Qom, una sorta di città santa dello sciismo, non poteva mettere piede) non andavano confrontate, e che anzi doveva abbandonare il paese.
Il resto è noto. Il primo gesto di Khomeiny al potere fu un atto di terrorismo con gli Stati Uniti: l’occupazione dell’ambasciata americana, e la detenzione in ostaggio, per quindici mesi, dei 52 dipendenti che vi si trovavano. Seguirono lunghi mesi di trattative a nessun fine – solo a esporre la debolezza americana. Carter, l’uomo di pace, spinse Saddam Hussein alla guerra contro l’Iran, ma a nessun esito. Tentò allora un attacco da giallo d’azione, con un commando di liberatori che dovevano atterrare al centro di Teheran in elicottero, prendere d’assalto la prigione (sconosciuta) degli ostaggi, e liberarli. Gli elicotteri si insabbiarono, Carter perse  le elezioni a vantaggio di un attore di poco conto, Ronald Reagan, e Khomeiny fece festeggiare a Teheran la sua sconfitta cone una sua, ennesima, vittoria.
La liberazione degli ostaggi comporterà per Reagan un tortuoso giro di forniture di armi, al nemico (ormai) Iran. In due mandate. Di cui la seconda divenne uno scandalo, all’epoca molto famoso (ci pensava Mosca, all’epoca ancora in controllo del “comunismo” nel mondo), denominato “Irangate” o “Iran contra”: Khomeiny aveva rilanciato nel 1984 la presa di ostaggi americani, sette persone di varia statura politica, questa volta in Libano, tramite le sue milizie Hezbollah, per la liberazione dei quali pretese una fornitura militare, che pagò (Reagan si servì del ricavato per comprare segretamente armi ai Contras, la guerriglia di opposizione al governo sandinista-marxista in Nicaragua”).
Ps. Nel 1982-1983 furono i bersaglieri (truppe corazzate), mandati da Spadolini, a salvare la faccia a Reagan e ai Marines. Allo schieramento occidentale a protezione del Libano dall’Olp. Il 18 aprile 1983
un attentato suicida Hezbollah a Beirut, all’ambasciata americana, aveva fatto 63 morti:  alcuni passanti e una cinqnuantina di addetti all’ambasciata, compresi agenti della Cia e Marines di guardia.

Nessun commento: