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domenica 26 ottobre 2025

Industrie in fuga dalla Germania

Torna la delocalizzazione industriale in Germania. Come a inizio millennio, quando il governo socialista dovette liberalizzare il mercato del lavoro, con la riforma Hartz. Ma non nella stessa direzione. Allora si delocalizzava all’Est, a costo minore di  manodopera. Oggi la manodopera non sarebbe un problema, per l’immissione massiccia di immigrati – a parità di mansioni, si stima che un immigrato costi mediamente il 70 per cento di un tedesco. I problemi sarebbero quello non nuovo della burocrazia, e quello nuovo del costo dell’energia. L’industria tedesca si era adagiata su un costo dell’energia ridotto, grazie agli accordi con la Russia – si era giunti per questo anche all’arresto anticipato delle centrali nucleari – ora bloccati.
La delocalizzazione non è accentuata, le riduzioni o chiusure sono limitate. Ma produzione e investimenti registrano valori negativi da due d’anni, e gli investimenti in cantiere non sono previsti in Germania. La tendenza sarebbe verso altri siti europei, la Cina, e gli Stati Uniti di Trump.
Pone problemi anche il lavoro immigrato. Il deficit remunerativo è  coperto dallo Stato, con un’offerta a costi ridotti o a titolo gratuito per alloggio e sanità. Un trattamento giudicato un privilegio da porzioni vaste dell’elettorato – gli elettori dell’estrema destra Afd, divenuta rapidamente il partito a maggior seguito.

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