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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (490)
Giuseppe Leuzzi
Al Coachella Valley Music and Arts
Festival, in California, si sono esibiti dopo David Damiano e i Måneskin, e
l’invito a nozze di Megan Thee Stallion (provare per credere), gli svedesi di House
Mafia, con divertimento.
Gli House Mafia si erano sciolti e si sono
riuniti, la mafia è intramontabile. Un gruppo di tre dj, animato da un Sebastian
Carmine Ingrosso, che però è di Nacka, vicino Stoccolma.
Nella classifica Eurostat dell’occupazione
nella Ue, suddivisa per regioni, gli ultimi posti sono delle regioni del
Mezzogiorno. L’ultimissimo è di Mayotte, dipartimento francese d’oltremare (le
isole tra Madagascar e Mozambico). Poi però vengono, in questa graduatoria del
disonore, la Sicilia (tasso d’occupazione 41,1 per cento), la Campania (41,3
per cento), la Calabria (42). Segue la Guyana francese, quella della Cayenna, e
quindi la Puglia (46,7 per cento di occupati). Non c’è niente di peggio, in
tutta la Unione Europea, ben 240 regioni censite, del Sud d’Italia.
Nessun dubbio che si tratti di
rilevazioni statistiche non omogenee, per metodologia o per strumentazione – l’Italia
è sempre ultima, in queste statistiche Eurostat. Ma non innocenti.
Emigrazione istruita e
d’impresa
Il grosso dell’emigrazione
italiana, prevalentemente giovanile, il 18 per cento, è partito nel 2018 dalla
Lombardia, che conta dieci milioni di abitanti – sono numeri vecchi, pre-covid,
ma meritano una considerazione. La Sicilia e il Veneto, che contano cinque
milioni di abitanti per regione, venivano al secondo e terzo posto, con il 10 e
il 9 per cento rispettivamente della nuova emigrazione. L’emigrazione non va
col reddito ma con l’intraprendenza.
È un’emigrazione per lo più
istruita: tre su quattro dei nuovi emigranti hanno il diploma di scuola
superiore. Ma non sono grandi numeri, a meno dei rimpatri: nel decennio
1999-2008 sono emigrati 428 mila italiani, e ne sono rimpatriati 380 mila. Ma
sono in forte crescita dopo la crisi del 2007-2008: nel decennio successivo le
emigrazioni sono quasi raddoppiate, 816 mila, mentre i rimpatri sono perfino
diminuiti rispetto al decennio precedente, in tutto 333 mila.
I tassi di emigrazione per
l’estero più bassi, in rapporto alla popolazione, sono delle regioni
meridionali: Campania, Puglia e Basilicata – 1,3 per mille abitanti. Sicilia e
Abruzzo si pongono un gradino più sopra, con un 2,4 per 1.000 abitanti.
Messina, fasti e miseria
Il nome ritorna con la birra,
che però ora si fa a Massafra, in Puglia, invenzione di Heinecken. Solo notizie
meste da alcuni anni, o forse decenni: ruberie e mafie, piccole e meno piccole.
Da Messina, città a lungo illustre, e solo illustre, che in Sicilia è – era –
un po’ un’eccezione. La storia va così, ondeggia, ha cicli. Ma Messina ha fatto
un salto, e non sembra aver toccato il fondo. Vi si raccolse la crociata del
1192, che riunì i regnanti d’Europa. Quattrocentocinquanta anni fa, poco meno,
fu la base dove don Giovanni d’Austria raccolse le flotte cristiane per la
battaglia di Lepanto – Cervantes, ferito a Lepanto, fu curato a Messina
(perdette l’uso della mano sinistra). Ora è un pontile d’approdo dei ferries da
e per il continente.
Il futuro cardinale Bembo,
nonché futuro amante di Lucrezia Borgia, il normalizzatore della lingua, dal
1492 al 1494 studiò il greco a Messina, con il famoso ellenista Costantino
Lascaris (1434-1493). Vi si recò con l’amico e condiscepolo Angelo Gabriele.
Arrivarono a Messina il 4 maggio 1492. Restò per sempre memore del suo
soggiorno siciliano, di cui gli rinnovavano il ricordo la corrispondenza con
letterati e scienziati messinesi, fra i quali il Maurolico (1494-1575), e la
presenza del fedelissimo amico e segretario Cola Bruno (1480-1542), che lo
aveva seguito e gli stette vicino per tutta la vita. Tornato a Venezia,
collaborò con Manuzio per la pubblicazione nel 1495 della grammatica greca di
Lascaris, Erotemata, che con Gabriele avevano portato da
Messina.
Mark Twain, in crociera nel
1867, arriva alle due di notte allo Stretto di Messina, d’inverno, ma “il
chiaro di luna”, scrive, “era così brillante che l’Italia da un lato e la
Sicilia dall’altro si vedevano così distintamente come se non fossero separate
che dalla larghezza di una strada”. La cittadona oggi informe dei ferries Twain
dice fiabesca: “La città di Messina, di un bianco di latte, stellata e
scintillante di lampioni, era uno spettacolo fatato”.
Fa grande caso Dumas nelle sue
opere più tarde - specialmente ne “I garibaldini”, dove lo ritrova tra i
sobborghi marinari (allora) di Messina, dai nomi beneauguranti di Paradiso,
Pace, Contemplazione - del capitano Arena, persona e personaggio del suo
romanzo di viaggio “Lo speronare”, un messinese, insieme col giovane militare
francese esule De Flotte: un siciliano dal “volto buono, sempre sereno, anche
nella tempesta”.
Antonello non vi fu fiore
solitario – anche se questo non si studia. Commissionò Caravaggio. Ospitò nel
Seicento la grande collezione – la più grande probabilmente d’Europa – del
principe Ruffo della Scaletta, un calabrese dei conti di Scilla sposato a
Messina. I Ruffo furono grandi collezionisti: lasciarono a Scilla, la casa
madre, oltre 1.500 tele. Con opere di Raffaello, Tiziano, Veronese, Tintoretto,
Rubens, Guido Reni, Mattia Preti, Luca Giordano, Orazio Gentileschi. La
collezione fu avviata dal principe Tiberio. Che alla morte lasciò al figlio
Guglielmo 650 tele. Alla morte di Guglielmo, nel 1748, la collezione era salita
a 1.500 tele. Aveva cominciato don Antonio Ruffo di Bagnara principe di
Scaletta – dal nome di un feudo messinese della moglie. Committente tra i tanti
di Rembrandt e Artemisia Gentileschi, che protesse alla triste fine.
Collezionista di Rubens, Bruegel, Mattia Preti, Poussin, Borgognone, Salvator
Rosa.
La città è stata luogo privilegiato delle lettere. Eco forse
delle prime Crociate, alcune partirono dal suo porto anche prima del 1192, e
dei poemi che le accompagnarono. Tra essi, committenti i nuovi padroni, i Normanni,
la “Chanson d’Aspremont”, che diede il nome alla montagna caabrese di là dallo
Stretto, trasportandovi il ciclo carolingio, con la liberazione di Reggio
(“Risa” nel poema) dai Saraceni. E successivamente nella novellistica. A
partire da Boccaccio, con la novella “Lisabetta da Messina”. E una Camiola
senese, nel “De Mulieribus claris” che è invece di Messina, una Caméola
o Camiola Turinga, figlia di un Lorenzo di Turingia e di una nobildonna
messinese, della famiglia Bonfiglio, detta senese per via del marito, dal quale
ereditò una grossa fortuna, che dispose poi a fini filantropici. La storia di
Boccaccio piacque a Bandello, che ne fece il tema della 22ma delle sue novelle.
E a Shakespeare, che dalla traduzione francese del Bandello trasse il tema di
“Molto rumore per nulla”, ambientando la commedia a Messina. C’è Messina anche in
Molière. In un apologo Diderot elogia “un calzolaio di Messina”, che del
laboratorio fa corte di giustizia. Schiller ha una “Sposa di Messina”.
Vittorini “Le donne di Messina”. Fino all’“Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo,
1975 – qui finisce la storia.
“Eufemio da Messina” è opera –
una tragedia – di Silvio Pellico prima della prigione: Eufemio, turmarca della
flotta bizantina, accusato per gelosia di avere sposato una monaca, si ribella
e finisce dal sultano di Tunisi. Nietzsche ha “Gli idilli di Messina”.
Nietzsche a un certo punto s’imbarcò a Genova, come Colombo proclamandosi Liberator
Generis Humanorum, su un cargo per Messina, dove sbarcò in barella, mezzo
morto, per decretarla, come già Sorrento e poi Roma, sua città ideale: “Questa
Messina è proprio fatta per me”.
È “patria dei barbieri” per
Soldati, della rasatura a mano libera. Più spesso torna nella letteratura
tedesca, Schiller appunto, Goethe, Jünger, Lenz, etc.: per essere stata forse
patria di Evemero, per il quale gli uomini sono dei, o luogo di raccolta di
crociate e flotte, che sempre portò buono ai cristiani, o perché si pronuncia
facile. Per molti era toponimo succedaneo, per chi andava a Taormina, per i
quadri viventi di von Gloeden, e non aveva il coraggio.
De Amicis vi iniziò la breve
carriera militare, sottotenente. Melville vi assistette alla prima del
“Macbeth”, ancora incompiuto, diretta da Verdi. Fu l’ultima ad arrendersi ai
Savoia, dopo Gaeta, il 13 marzo 1861. Ma era stata la prima a sollevarsi nel
1848. Emerson ricorda che “in un giorno di pioggia tutte le vie si accesero di
ombrelli rossi”. Era stata la città che per prima aveva chiesto la Costituzione
nel ’48, finendo per dare il nome al Re Bomba, Ferdinando II delle Due Sicilie,
che la distrusse per due terzi, raccapricciando l’Europa.
Messina ebbe anche una delle
prime università italiane. Pascoli, che ci abitò con la sorella Mariù, per insegnarvi
all’università, ne mantenne ricordo ottimo: “Io ci ho passato i cinque anni migliori,
più operosi, più lieti, più raccolti, più raggianti di visioni, più sonanti
d’armonie della mia vita”, scriverà qualche anno dopo, il 10 luglio 1910 a
Ludovico Fulci – deputato radicale di Messina per vent’anni, mazziniano,
docente di Diritto Penale.
Oltre a Pascoli, e Debenedetti, altre personalità vi hanno
insegnato: Salvemini, Galvano Della Volpe, Alessandro Passerin d'Entrèves,
Amaldi, la serie è lunga, Giuseppe Renzi,
Concetto Marchesi, Eugenio Donadoni, Giuseppe Cocchiara, l’etnologo dietro le
“Fiabe italiane” di Calvino, Marialuisa Spaziani. Una università di grandi
numi, fino a Salvatore Pugliatti, insigne giurista, amico di Quasimodo, e di
Giorgio La Pira – ma è già di un altro mondo.
Nietzsche
a Messina, dopo il mal di mare, nel lungo viaggio da Genova su un mercantile a
vela di cui era il solo passeggero, doveva passarci la vita o almeno un anno.
Resistette solo pochi giorni, tre settimane esatte, dal 30 marzo al 21 aprile
1982, ma bastanti per comporre “Gli idilli di Messina”. Se ne allontanò
avvilito dallo scirocco, ma qualche settimana dopo, l’8 maggio, da Locarno
scriverà a Rée: “Ancora scirocco intorno a me, il mio grande amico, anche in
senso metaforico; ma alla fine penso sempre: senza lo scirocco sarei a
Messina”.
Pochi
mesi prima della morte, nell’inverno 1881-1882, Wagner aveva risieduto a
Palermo, con Cosima e le figlie, mentre componeva il “Parsifal” - una cui prima
stesura avrebbe debuttato a Bayreuth in estate. Finito il soggiorno, passò da
Messina, negli stessi giorni in cui c’era Nietzsche. Arrivò l’11 aprile,
preceduto da un annuncio sulla “Gazzetta di Messina”. Ci passò due notti.
Passeggiò per la città, visitando il Duomo. Mentre Cosima e le figlie
visitavano il monastero di san Gregorio per il polittico di Antonello – secondo
Paul Rée “la seconda figlia (Blandine?) si sarebbe fidanzata con un conte
siciliano”. Che faceva Nietzsche in quei giorni, nell’albergo in piazza Duomo
dove era sceso, dove sicuramente ci sarà stata eccitazione per la visita del
compositore molto illustre? Non si sa. Ma dieci giorni dopo lasciò la “città
del destino”: è stato lo sciocco oppure Wagner invadente di chiara fama ad
allontanarlo?
Curioso
è anche che la guida alla Sicilia del console tedesco a Messina, August
Scheneegans, che onorò Wagner al passaggio, faccia posto, luogo per luogo, alle
citazioni o altre forme di interesse di autori tedeschi, e per Messina si
limiti a citare Goethe (“Nausicaa” nel “Viaggio in Italia”) e Schiller (“La
sposa di Messina”), ma non l’autore degli “Idilli”, che pure era stato in città
nel suo consolato. Messina non era la città del destino, Nietzsche stesso lo
confessa alla partenza. Scrivendo a Gast ai primi di marzo lo spiega senza lo
scirocco: Nausicaa lo attira, “un idillio con le danze e tutto lo splendore meridionale
di quelli che vivono al mare”, ma “alla fine del mese vado alla fine del mondo:
se lei sapesse dov’è!”.
Il “larario” di Heius a
Messina, attesta Cicerone, la collezione domestica di immagini votive, aveva un
Cupido di Prassitele, un Ercole di Mirone, e due Canephorae, le
“portatrici di cesto” (dell’abbondanza) nelle processioni greche. È messinese
Giuseppe Sergi, fine folklorista (1841-1936), cui si deve la scoperta che gli
europei in blocco vengono dall’Abissinia. Giunti in Europa, presero due direzioni,
il Nord baltico e il Sud mediterraneo. Quelli del Sud, dice Sergi, “per
parecchio tempo dovemmo difenderci dai barbari ariani”. L’ultimo guizzo ha
avuto con Stefano D’Arrigo, negli anni della signora Carlyle. Successivamente
Ceronetti diventò “corrispondente dal Piemonte” della “Gazzetta del Sud”, il
giornale di Messina, per il quale ventenne si spacciò per giovane antropologo,
discepolo o parente di Lévi-Strauss – “non mi credettero, ma feci lo stesso
molte corrispondenze”.
Ma qualcosa era nell’aria.
“Vista dal ferry boat che attraversa lo Stretto dal continente, Messina appare
una piccola città portuale ragionevolmente prospera, con alcuni grandi moderni
palazzi di uffici, soprattutto banche, sul lungomare, e con ville graziose di
media grandezza distribuite sulle colline dietro la città. L’impressione è
falsa. Messina è di fatto una città morta”. È la silhouette che
della città disegna Margaret Carlyle, “The Awakening of Southern Italy”, 1962.
Avendoci vissuto in quegli anni per fare le scuole, non si può che
testimoniarlo: era città gradevole. Che fosse morta però non si vedeva. Sarà
accertato qualche anno dopo, quando la città e la gloriosa università
riusciranno anche a imbruttirsi, nello squallore. La storia come freccia può
andare al rovescio.
leuzzi@antiit.eu
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