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lunedì 4 agosto 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto - 601

Giuseppe Leuzzi
 
Da troppi anni la produzione al Sud s’incrementa più che al Centro-Nord, significa che è “strutturalmente” decollata. Cos’è dunque che fa fuggire dal Sud verso il Nord i giovani, diplomati, laureati? La politica, non c’è altra risposta possibile. Cioè la sanita, le infrastrutture, la burocrazia (ci vuole sempre “una mano”), e anche la sicurezza. Che però è – sarebbe – nazionale, ed è – sarebbe – massima.
 
Non c’è nemmeno un calabrese, o un siciliano, nell’affaire milanese della Nuova Urbanistica. E come è possibile, non ci sono più giudici come la Boccassini?
 
Un certo nome, una carriera onorata, qualche film che si rivede, se non di culto, ma Bova resterà come quello degli “occhi spaccati”. Per una sgallettata milanese. E per il suo manager, ancora più incredibile della dark lady. Si può dirlo l’apologo del rapporto Nord-Sud, furberia e fiducia.
 
“Se si blocca l’attività di chi governa Milano”, spiega il presidente dimissionario della Regione Calabria Roberto Occhiuto, “Milano va avanti; se si blocca l’attività di chi governa la Calabria, la Calabria si ferma”. Senza la politica il Sud non sa stare – almeno, se è vera la notizia della produzione, un certo Sud.
 
Nella sua incongrua vicenda, di Occhiuto, le dimissioni con la ricandidatura, bisogna però dire un’altra cosa: è – era – uno che faceva le cose. Un minimo, ma le faceva. L’accordo con le compagnie aeree low cost per i tre aeroporti locali, Lamezia, Reggio e Crotone, grazie al quale ha riempito per due stagioni gli alberghi e le spiagge - senza costi, solo intelligenza, a differenza delle tre o quattro costose campagne promozionali, inefficaci, indisponenti, del passato. E i tanti ospedali più volte “finanziati” di cui ha avviato la costruzione. Governare è anche semplice. Ed è il problema della Calabria e del Sud in genere: il governo, la politica.
 
Visto l’esito, la storia di Occhiuto in Calabria si può leggere anche così; la Procura renziana di Cosenza, il capo e i sostituti, due calabresi e il solito napoletano stranded, lo ha messo sotto inchiesta, lui li spiazza professando “massima fiducia nei giudici”, ma dimettendosi e ricandidandosi, sicuro che Renzi non prenderà un voto in Calabria, nemmeno sommandolo con Calenda. Uno scherzo, ‘a zannella.
 
Presentito come candidato Pd alla Regione Calabria, il giudice Gratteri, renziano, un carrierone con le carcerazioni abusive, naturalmente si nega: “Ho un bergamottetto e quando andrò in pensione mi ci dedicherò”. Gratteri, di Gerace, è proprio calabrese – ‘a zannella personificata. Anche il menefreghismo esibito, si pensa sia il massimo dello snob – Gratteri usava esibirlo insieme con la povertà della famiglia, terzo di cinque figli, ma ereditare un bergamotteto, da solo, non è male – l’essenza è di nuovo in domanda.
 
“Poteri speciali?  Ora devono averli Venezia e Milano”. Zaia subito, il giorno dopo il voto per Roma. È giusto, il Nord è famelico – questo vuol dire leghista.
 
Umanesimo greco in Italia - 1
C’è stato un umanesimo greco in Italia, nel Quattro e nel Cinquecento, ignoto ai più, di cui ora Filippomaria Pontani si fa il testimone, pubblicando in volumi (finora quattro) gli studi della madre Anna Maria Meschini Pontani - “la maggiore studiosa dell’Umanesimo greco in Italia, da Crisolora a Musuro, da Ciriaco d’Ancona a Giano Làskaris, nonché dell’orientalista Simone Assemani”. Traduttrice e commentatrice dello storico bizantino Niceta Coniata. Un revival di oltre un secolo, dalla fase iniziale del ritorno del greco in Occidente, in Italia tramite i monaci calabresi Barlaam e Leonzio Pilato, fino al 1450 circa.
Di questi umanisti greci solo Crisolora, nobile costantinopolitano, sbarcato a Venezia con incarichi diplomatici (organizzare una crociata contro i turchi), è il solo che ha operato al Nord, nella stessa Venezia, a Firenze, a Pavia, fino al concilio di Costanza, 1414, durante il quale morì. È quello che ha aperto ufficialmente, insegnandolo a Firenze, l’umanesimo greco in Italia. Avviò anche il ritorno del platonismo, ch accompagnerà il dibattito fra le due chiese cattoliche, divise dalla teologica questione del Filioque, fino all’unificazione sancita al concilio di Ferrara-Firenze, 1439 - l’unione  durò poco, fino alla caduta di Costantinopoli nel 1453: caduta l’illusione di un intervento occidentale (la “crociata”) a difesa di Costantinopoli, l’unione fu annullata dalla chiesa greca a Costantinopoli venti anni dopo, nel 1472.
Ciriaco Pizzecoli, o de’ Pizzicoli, detto Ciriaco d’Ancona, di famiglia mercantile, visse in viaggio per il Mediterraneo. Alla ricerca e catalogazione delle antichità. All’età di nove anni aveva viaggiato col nonno materno per il Sannio, la Campania, la Puglia, la Lucania e la Calabria. A 21 anni s’imbarcò. Sarebbe diventato presto il padre dell’archeologia – Winckelmann lo sarebbe invece dell’archeologia moderna. Lo “scopritore” del Partenone e delle Piramidi, basandosi sulla lettura dei testi classici. Definitivamente è il padre dell’epigrafia, che avrebbe inventato come disciplina oltre che coltivato, per l’autorità di Mommsen. Il suo catalogo “Graeca” è tuttora
di consultazione.
 
Sud pitagorico
C’è qualcosa di pitagorico nel presidente della Regione Calabria Occhiuto che, indagato, si dimette e si ricandida. Una sorta di immanenza. Della coscienza che mai muore e semmai rinasce. Dell’io-Dio. Senza riferimento a Pitagora, vero, ma di fatto, nella forma mentis. Immortale. Forse non nel caso del mite presidente, ma del complesso del “muoia Sansone con tutti i filistei”.
Una filosofia che, semmai ci fossero ancora dubbi su chi e di dove era Pitagora, lo conferma sicuramente calabrese. Ma non solo, emerge anche altrove, la dove si è formata una sorta di identità locale, regionale, come la “sicilitudine” e la “napoletanità”. Che sono manifestazioni di appartenenza, e quindi psicologicamente efficaci, di aiuto – forme, quasi, di mutuo soccorso. Ma porta agli estremi la narrativa delle radici, fino a dubitarne. Dell’efficacia – dell’utilità.
 
Il primato di Milano
Si difende Milano con rabbia e non senza argomenti nello scandalo della cosiddetta Nuova Urbanistica, delle superfetazioni di piccoli edifici e di piccole aree in grattacieli da 100 e 200 appartamenti fatte passare per ristrutturazioni, con una semplice Cia, senza varianti al piano regolatore, ai piani edificatori, sebbene al di fuori anche dei regolamenti comunali, su altezze massime e ingombri – in rapporto al verde, alla sicurezza, alle distanze. Ha i giornali e i giornalisti 
per farlo – non necessariamente milanesi, i giornalisti, anzi. È la città all’avanguardia per l’urbanistica, partendo dal consumo ridotto del suolo, per i trasporti, per l’istruzione, e soprattutto per il lavoro. Una città che cresce – forse la sola in Italia. L’unica comunque che attrae i giovani, con o senza istruzione, chi ha un progetto, ha voglia di fare.
Che può essere vero. Ma costruire un grattacielo invece di un laboratorio artigianale come ristrutturazione, questa è corruzione. Spicciola. Le mazzette, in forma elegante, di progetti e consulenze, non saranno elevate. Ma sono “normali”.
A Roma, per fare un esempio di altra citta grande, seppure non più, forse, in crescita, lo stesso si fa, ma solo su proprietà del Vaticano – del Vicariato, che è molto ricco, di terreni e di edifici, ma quasi tutti bisognosi di nuove “destinazioni d’uso”. Giusto per “metterli in valore, come si direbbe a Milano.  E si fa, i cambiamenti piovono, chi aveva davanti un giardino e una capanna del Vicariato si ritrova dall’oggi al domani un grattacielo, e non c’è obiezione possibile, nemmeno in Tribunale, nemmeno in Cassazione – altro che penale. Ma solo se c’è di mezzo il Vicariato.
Altrove non si costruisce molto, è vero. La demografia è in calo, l’urbanizzazione è finita da tempo come chimera. Il movimento è anzi all’opposto, dalle città verso le periferie, il “territorio”.
Ma perché a Milano si costruisce caro, solo caro? E non invece a Roma, dove, purtroppo, si costruisce più che a Milano, ma in piano. Quindi con consumo del territorio, e dei servizi di urbanizzazione. È per il motivo che non c’è un piano urbanistico. Cioè c’è, non può non esserci, ma all’evidenza non adeguato, non al mix della popolazione, non alla crescita della città se è la sola ad attrarre immigrazione. O trascurato. Per i grandi edifici – al coperto della modernizzazione. Per i grandi interessi immobiliari – costruzioni, aree. Milano sarà sempre un esempio, come si vuole, ma troppo spesso un cattivo esempio.
 
Cronache della differenza: Milano
L’Antitrust (ri)multa Armani, dopo le inchieste della  Procura di Milano e qualche condanna, per lavoro nero, salari da fame, condizioni di lavoro degradanti. Milano non si scandalizza: si sa che le lavorazioni non sono in house, si fanno con fornitori e sub-fornitori. E poi, quanti saranno i lavoratori non in regola? Quindici-ventimila. Realismo, questa è la ricetta. Le multe? Che fanno ad Armani tre o quattro milioni? Altrove, p. es. al Sud, ci sarebbe il danno “reputazionale” (dimostri che non è mafioso), a Milano no.
 
Non si dice ma si fa , surettiziamente, ampiamente, su La 7, Sky Tg 24, il “Corriere della sera”, i siti, che il gip degli arresti, Mattia Fiorentimo è po’ mattoide, ha condannato al carcere tante persone stimabili senza imputazioni specifiche. Che usa un linguaggio confuso. Come se le altre sentenze fossero chiare. Come se la corruzione, la si chiami come si vuole, “conflitto d’interessi”, “scambio di utilità”, non ci fosse stata – e non ci fosse.
Non si può dire, Milano è città onorata, ma fa come le prostitute quando si dicono sex worker - dov’è il male?

Un calabrese di cinquanta e più, attore famoso, di molta esperienza, è preso in giro da una sgallettata milanese che é solo piacente. Non c’entra nulla naturalmente, né nel caso né in generale, la Calabria non può essere Milano. Di fatto. In letteratura l’aneddoto andrebbe a parti rovesciate: la furba calabrese, l’imbranato lombardo. Ma la storia reale è uno specchio della cosa.

 “Ci dev’essere qualche motivo psicanalitico se la capitale del Nord è da sempre comandata dai siciliani (da Enrico Cuccia ai Ligresti a, oggi, i La Russa” – Michele Masneri, “Uomini miti e cose. Il decennio che sconvolse Milano” (“Il Foglio”, 2-3 agosto). Peggio oggi, col “romano”, in realtà siciliano, Caltagirone, che si compra Mediobanca e Generali a prezzi di realizzo.

 
Dopo Bossi, si è messa all’ora di Roma. I romani vi s’incontrano più dei pugliesi. Soprattutto a tavola, con succursali, presunte, dei ristoranti romaneschi, “Testaccio”, “Rugantino”, “Bolognese”, “Felice”,”Cacio e pepe”, “Volemose bene”, “Ai cocci”, “al balestraro”…
 
Non pianta alberi perché le radici deteriorano il suolo – circolare della Sovrintendenza. Si piantano invece in terrazza. A piazza San Babila gli alberi non sono stati ripiantati nella ristrutturazione su ordine della Soprintendenza. Sulle terrazze che prospettano sulla piazza invece è un proliferare di chiome. Anche il verde è per i ricchi.
 
Una organizzazione milanese per il ricatto a Bova: una influencer, il suo pr, e un editore, per quanto screditato. Una storia metropolitana. Che in Italia potrebbe, per es., ambientarsi a Napoli. Forse più propriamente, almeno secondo la vulgata. Ma a Napoli ci sarebbe voluta la camorra, un capo camorra.
 
Senza Milano non c’è l’Italia, è l’argomentazione principe in questi giorni in cui Milano sembra al vertice della corruzione. È anche una chiamata di correo, come fa il “Corriere della sera” con una  grande pagina: “Cosa non ha funzionato a Milano… riguarda l’Italia tutta”. E perché? Se si ruba (conflitto d’interessi, “scambio di utilità”) a Milano è colpa dell’Italia? In un certo senso sì, se l’Italia è Milano.
 
Dice: a Milano non era delinquenza. Erano grattacieli fatti passare per vecchi laboratori ristrutturati.  Furbo, certo, non è stupido – la mafia è stupida, il Sud lo è, Milano no: sarà questa la grande differenza, da antichi fan presi a calci sui denti da Bossi e Milano 1, non era molti anni fa.
 
O anche, per essere precisi. Sarà pure vero che a Milano non correvano “mazzette”, cioè corruzione spicciola, anche se qualcuno teneva in casa 200 mila euro. Alla Commissione Urbansitica gli architetti che ne facevano parte potevano firmare progetti dispendiosi – e irregolari - perché in commissione si astenevano. È ipocrisia, ma da mafiosi, col codice in mano – è vero, come farà il giudice a distare le “utilità”?


Molte pagine di cronache criminali sul “Corriere della sera”, ma solo poche righe, in un angolino, a p. 20, per l’assassinio di Boiocchi, il settantenne “storico capo della curva interista”, i colpevoli hanno confessato. Milano non si fa colpa della criminalità, seppure diffusa come nel tifo. È giusto, il crimine non conta.
 
“È diventata la città di chi sta bene”, dice Massimo Moratti, che si ritiene un immigrato, di seconda generazione, seppure da Somma Lombarda, figlio di piazzista, seppure nipote di farmacista. Di chi è ricco, cioè. Una volra era diverso, dice ancora: “La città ti accoglieva e si occupava di te. Arrivavi dal Sud da ogni parte, anche con la valigia di cartone, e qui ti sentivi importante, trovavi un progetto di vita. Che si trasformava in un sentimento di riconoscenza verso Milano”. Vero. Poi esplose la Lega, che è ben milanese, intronizzata da Milano 1.
 
“Meglio di Milano?”, chiede Michele Masneri sul “Foglio” a Giammetti, il socio di Valentino, che gli loda Roma, e la haute couture, che fino agli ani 1970 si faceva a Roma. “Milano la conosco pochissimo, noi sfilavamo solo con la collezione uomo lì, non ho mai avuto tanti amici, solo conoscenti a Milano. Città interessante, però Roma è un’altra cosa”.


Roberto Saviano dice che sì, la città fa paura, ai Carabinieri. Dovendo andare a Milano dopo aver scritto un articolo contro la tifoseria interista, ha notato che “i carabinieri della protezione (scorta, n.d.r.) erano nervosissimi”.

leuzzi@antiit.eu

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