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Come Céline divenne antisemita
Il racconto di come e quando Céline divenne
antisemita. Dopo l’insuccesso, in Francia, di “Morte a credito”, il secondo suo
romanzo, attesissimo da lettori e critici dopo il botto del primo, che Céline
attribuì al malvolere di critici ebrei. E la revulsione verso il comunismo (in
cui in qualche modo confidava, va aggiunto), subentrata a Mosca dove si era
recato per spendere i diritti d’autore dello stesso romanzo – che invece in russo
era stato un grande successo.
Sotto forma di recensione di uno dei tanti libri che
Maurice Bardéche dedicò a Celine, tradotto infine dalle edizioni Italia, dopo
quarant’anni, Mughini rievoca una sua visita, circa quarant’anni fa, all’autore,
e una lunga conversazione con lui su Céline diventato antisemita. Bardèche,
fascista impenitente, cognato di Brasillach, processato anche lui nel 1945 per collaborazionismo, ma in qualche
modo graziato, al contrario del cognato, fucilato, non fa di Céline un fascista
nato. No, più che altro deluso, e per questo rancoroso, contro un nemico indistinguibile,
massone, anazionale, intrigante, cui diede il nome di ebreo, in linea col sentiment del tempo.
Manca – manca anche in Bardèche – il fatto essenziale:
l’esperienza pregressa di Céline, pregressa al “Viaggio”, alla scrittura, come
funzionario della Società delle nazioni, in quella che oggi è l’Oms, che scoprì
plumbea e arrogante, il tipico potere dei burocrati, che dirigenti massoni,
ebrei e quant’altro specialmente gestivano. Prima dei libelli, ne ha fatto
ritratti divertiti ma devastanti – se ne può leggere ne “I sottouomini”, i
testi sociali da noi curati nel 1993.
Giampiero Mughini, Le stramberie dalle quali si
salvò uno dei più grandi scrittori del Novecento, “il Foglio” online
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