mercoledì 3 febbraio 2021
La fine dell’eccezionalismo americano
L’America contro tutti? Non funziona. Se la presidenza Trump è qualcosa, è stata il tentativo americano di fare da soli. Non è più possibile. Se non a fare il tragicomico don Chisciotte, che perde tutte le guerre, le cattive e le buone, illudendosi di vincerle, giacché è sempre nel giusto.
Quando la speculazione fu battuta, non da GameStop
La scena è occupata da GameStop con l’immagine
di Robinhood, e con quella nuovissima dei Giustizieri del web, che sono la
solita favola americana del bene che trionfa, e vogliono solo dire “viva il
mercato”. Come se l’affare GameStop avesse rovinato gli hedge fund, la speculazione che puntava alla rovina del titolo – mentre
li ha solo graffiati, in superficie.
L’affare è stato come questo sito lo spiegava
già sabato. E GameStop è ndata subito al ribasso, pesante, come doveva andare. Con rovina dei piccoli
azionisti che hanno comprato ai massimi - il “parco buoi” di ogni mercato di
Borsa.
Si dimenticano invece due colpi ben assestati
alla speculazione angloamericana, in Europa, nell’attacco all’euro nel 2011, e
in quello a Volkswagen nel 2008. Sì, nel 2008, l’anno della crisi finanziaria,
gli hedge avevano puntato Volkswagen,
il gruppo europeo forse più solido: se l’attacco riusciva, avrebbero fatto il
guadagno del secolo. L’euro fu difeso da Draghi come al cinema, da “drago”, è
il caso di dirlo, cui basta un solo alito di fuoco per spegnere l’incendio. L’attacco
a Volkswagen fu contrastato da Porsche, che aveva spalle solide, e dal caso uscì
padrona del gruppo automobilistico pubblico, comprando al ribasso, più sapiente
e abile degli gnomi malvagi della City e di Wall Street – a brigante, brigante e
mezzo.
Contro la speculazione reggono solo le regole
– regole di Borsa precise, non vaghe e lassiste, come quelle p.es. di Consob. E
potenza di fuoco. Dei piccoli e minimi, specie di chi si minimizza farà sempre
un boccone, insaziabile peraltro.
Gadda sceneggiatore – come finiva il “Pasticciaccio”
Un altro trattamento cinematografico
del “Pasticciaccio di via Merulana” – dopo quello intitolato “Il palazzo degli
ori”, pubblicato postumo me 1983. Di quello che sarà il “Pasticciaccio”, perché
il trattamento è del 1947-48, dieci anni prima dell’uscita del romanzo. Basato
sull’anticipazione pubblicata nel 1946 da Bonsanti nella sua rivista
“Letteratura”. E ha i colpevoli, a differenza del romanzo, per questo aspetto
incompiuto.
È un periodo gramo per l’Ingegnere,
che vive “fra gli orrori, le insolvenze, i piccoli prestiti”, della generosità
dei suoi amici fiorentini – l’anno dopo riusciranno a farlo assumere alla Rai. Bonsanti
gli ha procurato un incontro alla Lux Film, e Gadda spera proprio di poter entrare
nel lucroso business del cinema. Richiesto di un trattamento della sua idea di
film, si mette all’opera, contrariamente al suo solito – caratterialmente
incapace di lavorare su commissione.
Il trattamento è scritto “per la Lux
Film”. Anzi per il “regista Antonioni Michelangelo” – che avrebbe esordito tre
anni dopo, con “Cronaca di un amore”. Abbreviato rispetto al “Palazzo degli
ori”, 20 cartelle invece di 60. Ma professionale, pur non sapendo il mestiere,
da spettatore di cinema: 40 quadri scrive “mozzafiato”, come si dice dei
gialli, di ritmo veloce.
La nuda storia del “Pasticciaccio”,
non “scritta”, fa un certo effetto, da romanzo d’appendice: bellocce mature,
gioielli e bigliettoni, giovani voraci e disinvolti. Con un commendator
Angeloni che è tutto Gadda, grande e grosso, goloso, solitario, timoroso dell’ombra.
Il bello è che la storiaccia fila.
Oggi inutilizzabile, saprebbe di film storico (di costume e di letteratura) ma nei tardi anni 1940 sarebbe stato un
quadro d’epoca forte. L’Ingegnere degli umili non sa non essere realista: la
cupidigia è “dei poveri non meno dei ricchi”, avverte nella nota introduttiva.
Non c’è innocenza nel bisogno.
Giorgio Pinotti mette in quadro l’inedito
Carlo Emilio Gadda, La casa dei ricchi, Adelphi, pp. 87 € 5
martedì 2 febbraio 2021
Letture - 447
letterautore
Berlino - Non affrettarsi, non fermarsi mai, il modo di essere - o di dire - di Berlino è il festina lente di Erasmo, strepitoso ossimoro, di correre lentamente.
Eugenetica
- “Una dama
di rango s’innamorò con tale smania di un certo signor Dod, predicatore
puritano, che pregò suo marito di lasciarli giacere insieme perché procreassero
un angelo o un santo; ma, accordato il consenso, il parto fu normale” - Drummond,
“Ben Ionsiana” (1618 ca) (in Borgese-Bioy Casares, “Racconto brevi e straordinari”).
Germania
– È nata
male? Per Heidegger sì: i
Gründerjahre, gli anni dei padri
fondatori, la fase della grande
industrializzazione tedesca e austriaca, 1840-1870. . Heidegger li critica, “Introduzione
alla filosofia. Pensare e poetare”, 91: “È l’epoca dei Gründerjahre, in cui tutto quanto, in fondo senza un terreno solido
e senza rendersi conto di nulla, correva dietro ala crescita, al progresso e
ala prosperità, per emulare su piccola
scala gli Inglesi e conquistare dall’oggi al domani una posizione mondiale per
la quale mancavano tutti i presupposti, e che soprattutto – qui come là, in
Inghilterra e ovunque, riposa su un mondo divenuto fragile, per il quale l’unica
filosofia è il «darwinismo», con la sua dottrina della «lotta per l’esistenza»
e della selezione naturale e artificiale
del più forte”.
“C’è oggi una Germania efficiente,
economicamente aggressiva e culturalmente scialba – asettica, come certe donne
perfette, bellissime e indesiderabili” –
Claudo Magris, “L’infinito viaggiare”, 159 – 13 febbraio 1993.
Anche Heidegger era per
l’incertezza. “Nessuno pensa a come stiano le cose riguardo ai tedeschi”,
lamenta in “Note I”, il primo dei “quaderni neri” del dopoguerra, all’inizio
dell’occupazione, “se essi siano ancora o siano una buona volta in sé, se sappiano
affatto chi mai essi stessi siano, se siano capaci di pensar per approdare a
questo sapere, se essi possano entrare nel tempo lungo del ricordo, nel quale
finalmente prospera la verità della loro essenza”. Con una conclusione che
aggiunge all’incertezza, a proposito di questa verità: “La quale verità è:
essere la comunità pastorale”, il greggiame, “dell’Occidente, della ‘terra
della sera’, perché la sera è il tempo e la terra il suo spazio”….
Si fa molta musica in Germania. “La musica è per sua natura
squisitamente invernale”, attesta Savinio. La Germania è invernale?
Incomunicabilità
– Ci sarebbe
tra le varie letterature – nazionali, linguistiche. È il quesito che V. Woolf
pone in “Il punto di vista russo”, e a cui si risponde affermativamente: un
americano, sia pure Henry James, non vive in pieno la letteratura inglese, il
miglior letterato inglese ha difficoltà a entrare nel mondo russo, di Cechov, di
Dostoevskij, di Tolstòj. La lettura come vaso di incomunicabilità?
Italia
–Quanta Italia, tra gli elisabettiani e a corte, nell’Inghilterra del Cinquecento. Il secolo
della fondazione dell’impero. Nel Seicento sempre più l’Inghilterra è “macbethiana”,
di odii e violenze, irrefrenabili.
Mentre l’Italia scompare – Milton è eccezione, non valente italianista peraltro.
Kant – Era fantasioso.
Nonché in Antropologia, che insegnò per
tutta la vita inventandosi di tutto, lo è anche in filologia. Prima di Gottinga e degli ario
germani-arianesimo, in nota a “La fine di tutte le cose”, deriva parole fondamentali
dello zoroastrismo, il bene, Ormuzd, e il male, Ahriman, dal tedesco. Da
Godeman, buon uomo “(termine che sembra essere racchiuso anche nel nome Darius Codomannus)”, e da “arge Mann”, uomo
malvagio. Codomannus è il soprannome di Dario III, il re di Persia sconfitto da
Alessandro Magno.
Lutero – Un bon vivant, che in rima
ammoniva: “Quel
che non ama il vin, le donne, il canto,\ mena da stolto il viver tutto quanto”.
Nietzsche - La “Nascita
della tragedia” è la sua tesi di laure. Nemmeno di dottorato, dice il
professore di Houellebecq protagonista di “Sottomissione”, troppo affastellata.
Mussolini legge Nietzsche - ne scrive
comunque, nel 1908 (“La filosofia della forza”, sui numeri 48-49-50 de “Il
Pensiero Romagnolo”, organo del partito Repubblicano locale) - e lo apprezza
straordinariamente: “Creatore di sistemi
filosofici o no, Nietzsche è pur sempre lo spirito più geniale dell’ultimo
quarto del secolo scorso e profondissima è stata la influenza delle sue
teoriche. Per qualche tempo gli artisti di tutti i paesi, da Ibsen a
D’Annunzio, hanno seguito le ombre nietzscheane. Gli individualisti un po’ sazi
della rigidità dell’evangelio stirneriano si sono volti ansiosi a
Zarathustra e nella filosofia dell’Illuminato trovano il germe e la ragione di
ogni rivolta e di ogni atteggiamento morale e politico.”.
Roma – Vivendoci, ci si può sempre consolare con Vernon Lee, “The spirit of
Rome”, 1897: “Muovendo dalla stazione a mezzanotte, l’immensità di ogni cosa,
le proporzioni gigantesche dei palazzi silenti e delle chiese sbarrate.
Passando davanti al Quirinale, i Dioscuri colossali con i loro cavalli, tra di
loro la fontana che zampilla d’acqua….
“Persino l’incredibile, immane volgarità delle cose
moderne, cartelloni pubblicitari lunghissimi agli angoli delle strade sotto i
lampioni a gas, e file immense di case costruite alla buona aiutano in qualche
modo a creare l’impressione che Roma sia un teatro delle epoche; un gigantesco
palcoscenico, splendidamente evocativo per l’occhio e per la fantasia, calcato,
come sempre farà, dal Temo impettito e declamatore”.
A dispetto
del tempo, la città eterna del modo di dire? “Roma è viva (e tanto più lo è
nella sua occasionale aria di morte)”.
Solitudine
- È ciò che il lettore cerca, anche lo spettatore –
e di più quando vene aggredito, per esempio dal teatro elisabettiano – “la
morte di una dozzina di uomini e donne ci tocca meno della sofferenza patita da
una delle mosche di Tolstòj”, V Woolf, “Appunti sul dramma elisabettiano”.
Inevitabilmente, a un certo punto, stanca degli eccessi, la mente “si volge verso
Donne, verso Montaigne, verso Sir Thoma Browne, verso i custodi che conservano la
chiave della solitudine”.
Stroncatura
– Legittima, anzi doverosa, per Virginia Woolf,
“Come leggere un libri?”, cattivissima: “Non vanno forse criminalizzati i libri
che ci fanno sprecare tempo e partecipazione emotiva? Non sono forse i peggiori
nemici della società – corruttori, profanatori, gli autori di libri finti e
falsi, libri che impestano l’aria di decadenza e malattia?”
Leggere è passare dall’amicizia con lo scrittore al
giudizio: “E se come amici nessun grado di empatia è esagerato, come giudici
nessun grado di severità sarà eccessivo”.
letterautore@antiit.eu
Caffè Europa
Si parte dal caffè: “Il caffè è il
luogo dell’Europa”, la conversazione, la socievolezza casuale. Si continua con
la camminata: “L’Europa è stata, e viene ancora, camminata”. È “un paesaggio modellato e umanizzato”, ogni
centimetro quadrato, e “itinerante”, anche nel pensiero, la riflessione, la
metrica - camminano anche materialmente i filosofi (dai Peripatetici a
Rousseau, Kant, Kierkegaard, Heidegger), i poeti (Hölderlin, Coleridge, Byron,
Chateaubriand), i pittori (Breugel, Van Gogh, Monet) i musicisti (Schubert,
Mahler), i generali (Alessandro, Senofonte). Si prosegue con la storia: la
semplice toponomastica è un libro ricchissimo di storia in Europa.
L’Europa è un tutto pieno, che
difficilmente si può colmare: “Che cosa può aggiungere chiunque di noi alle
immensità del passato europeo?” E sembra un elogio, sontuoso, presuntuoso – è
la conferenza che Steiner tenne a Amsterdam, al Nexus Institute, nel 2004. Ma è
un epicedio – sontuoso: è “un in memoria
luminoso e insieme soffocante”, spiega lo stesso Steiner a metà percorso.
“L’idea d’Europa è la «storia di
due città», Atene e Gerusalemme”. Di un sincretismo in dialettica inesauribile,
“con qualche falla” – denunciata all’esordio della conferenza: “Uccidendo i
suoi ebrei, l’Europa si è suicidata”. L’Europa è quindi un morto vivente? Non
ancora, non necessariamente. Da ultimo, la storia dell’Europa è stata quella
del giudaismo secolarizzato: “Citare Marx, Freud ed Einstein (ma aggiungerei Proust)
come padri della modernità, come artefici della nostra attuale condizone, è
ormai un cliché”. Ma insieme con la modernità va “una consapevolezza
escatologica che, credo, possiamo trovare solo nella coscienza europea, la
coscienza della fine. A partire da Newton, “molto prima” dunque di Valéry e di
Spengler. “Due guerre mondiali, che in effetti sono state due guerre civili
europee, hanno esasperato questo presagio fino all’incandescenza”.
È la coscienza della crisi che
attanaglia l’Europa. Il rimedio? La superbia intellettuale, “conoscenza come professione” di Max Weber, la
“mania” di Platone – la Repubblica di Platone? Domina “il modello
asiatico-americano” – quello che si dice globalizzazione? “Con il crollo del marxismo nella tirannia della barbarie e dell’assurdità economica abbiamo perso
perso un grande sogno: quello dell’uomo comune che segue la scia di Aristotele
e Goethe, come sognava Trockij. Ora che si è liberato da un’ideologia
fallimentare, quel sogno può – anzi deve – essere sognato di nuovo”.
Steiner parte sorridendo ma
conclude triste: l’Europa ha un futuro, sia pur e come idea? “La solidarietà e
la creatività possono sbocciare in condizioni di elativa miseria”. Una
speranza, non consolante.
George Steiner, Una certa idea d’Europa, Garzanti, pp.
93 € 4,90
lunedì 1 febbraio 2021
Il modello asiatico-americano
Che farà Biden della Cina? È l’interrogativo
del momento, nelle cancellerie e le Borse. Dopo che Trump ha “visto” le carte
di Pechino, e comunque per una situazione di fatto di divaricazione tra Stati
Uniti e Cina, per molteplici aspetti, dopo trent’anni di simbiosi, produttiva
e, a suo modo, culturale.
Che può farne, è interrogativo correlato. La
Cina essendo da una parte abbarbicata al modello americano, al business for business. Ma senza le primarie,
i Grandi Elettori, il mid-term, i
media. Senza i labari dell’American Dream – in Cina i media ci sono ma con la
museruola e in funzione di altoparlante, anche i social sono censurati. American Dream di cui peraltro la Cina,
benché comunista, e da sempre isolazionista, per il forte complesso di superiorità sul mondo intero, si pensa ultima incarnazione - la stessa figlia del Presidente
Xi è ben “amerikana”, ha studi e amicizie
nell’Ivy League, l’aristocrazia Usa.
Di fatto, molti dossier s’impongono, che Biden non potrà sottovalutare, questioni
fondamentali. Non ultima, la quasi indennità della Cina dal virus, che ha
contagiato soprattutto gli Stati Uniti e l’Europa. Le ragioni di scambio non
fanno che deteriorarsi, per quanto il costo del lavoro e ogni altra voce si
possano comprimere in America (e in Europa): il mercato del lavoro cinese è imbattibile,
senza minimi e senza orari, il denaro non costa, la protezione politica
assicura mercati di favore, di fatto protetti – naturalmente giganteschi,
nella gigantesca demografia cinese. Il deficit commerciale è perciò enorme e in
crescita – specie dopo questi due anni di crisi in Occidente, 2020-2021.
La natura del regime a Pechino non potrà non
venire in rilievo, anche se si finge il contrario. Per i diritti civili e
politici all’interno della Cina e a Hong Kong – Biden non può protestare con
Mosca e chiudere un occhio con Pechino. E soprattutto per i rapporti del regime
col mercato, per il condizionamento politico del business. Settori sensibili sono, come tutto in Cina, in qualche
modo sempre legati al regime politico – Huawei è un caso fra tanti.
Falsi d'autore, a quattro mani
Racconti brevissimi, e densi, si
direbbe, più che straordinari: di lettura stranamente non veloce, anzi anche
faticosa. Un massimario, anche sentenzioso, dietro la compilazione faceta. Molti
sono i sogni, e i sogni dei sogni, per intendersi.
Sono testi orientali per lo più, aneddoti,
moralità, sogni appunto. Inventati dai due amici burloni, oppure no. Più molti
Kafka, un paio di Max Jacob, e qua e là altri fantasisti, Cocteau, Silvina
Ocampo, moglie di Bioy Casares e musa di entrambi, Stevenson, Santiago Dabove.
Numerosi
i ricorsi a Richard Francis Burton, specialmente frequentato da Borges per le
note alla sua traduzione delle “Mille e una notte”. Anche di questi racconti straordinari le note sono spesso la parte più interessante. Comunque indispensabili per il gioco, poiché di un gioco la compilazione è frutto, per poter giocare con gli autori.
Borges e Bioy Casares
vi praticano “nella misura più rilevante e nelle forme più varie”, annota
Tommaso Scarano, custode e interprete di Borges in Italia, “il gioco scanzonato
delle opere e degli autori immaginari, delle false attribuzioni, delle interpolazioni
apocrife”. Se ne dilettarono congiuntamente per molti anni su varie pubblicazioni,
e questa è una delle tante antologie che se ne sono fatte. Per circa
quarant’anni Borges e Bioy Casares collaborarono in vario modo. Più spesso
con rubriche a quattro mani di note e
racconti brevi, moralità, apologhi, citazioni, la cui fonte può essere reale o
inventata.
Parte di queste storie sono confluite
anche in altre opere di Borges.
Jorge Luis Borges-Adolfo Bioy
Casares, Racconti brevi e straordinari,
Adelphi, pp. 204 € 13
domenica 31 gennaio 2021
Problemi di base - 620
spock
A che serve la vita?
O a chi - se non a godersela in proprio, finché dura, per
il fatto stesso di viverla?
Senza, non si è?
Si è nella gioia e nella sofferenza – da virus malefico come
da gestore telefonico esoso e capriccioso (magari entrambi cinesi)?
La vita è sogno, ma si sogna senza vita?
“E tuttavia, quello che resta sono i poeti che lo creano”,
F. Hõlderlin?
spock@antiit.eu
La guerra di Dio
“In una delle sue guerre Alì atterrò un uomo e
gli si mise in ginocchio sopra il petto per decapitarlo. L’uomo gli sputò in
faccia. Alì si rialzò e lo lasciò andare. Quando gli chiesero perché lo avesse
fatto rispose: “Mi ha sputato in faccia e ho temuto di ucciderlo in stato di
collera. Voglio uccidere i nemici in stato di purezza davanti a Dio” - Ah’mad
al Qalyubi, “Nawadir”.
“Ah’mad Ibn Ah’mad al-Qalyubi fu un letterato
egiziano vissuto nella prima metà del XVIImo secolo; in una raccolta antologica
di adab trattò vari aspetti della
tradizione culturale islamica, dalla letteratura alla geografia al diritto. Il
suo testo più celebre è la raccolta di aneddoti «Kitab al Nawadir» («Libro delle
rarità»)” – Tommaso Scarano, in nota a Borges-Bioy Casares, “Racconti brevi e
straordinari”.
Adab sono gli adagia
di Erasmo da Rotterdam, il patrimonio letterario per riferimenti e aneddoti, in
materia specialmente di morale.
Nonno Libero in America
La “guerra” tra nonno nipote, quando il primo occupa la camera del
secondo, come lezione garbata sui danni,
a nessun vantaggio, della guerra. Tra mille dispetti, e gag eroicomiche.
Orchestrate da un regista di film d’animazione.
Un film spensierato, nemmeno
politicamente corretto: i due soli non-bianchi, un nero e un latino, sono marginali e brutti. Con volti noti e notissimi, De Niro, Uma Thurman, Walken, Jane Seymour
tra i tanti. Tratto da un romanzo, ma con rimandi ritornanti al format “Un medico in famiglia”, al nonno Libero di
Lino Banfi. Girato sveltamente, si vede, come per la tv, e con un finale da sequel.
Tim Hill, Nonno questa volta è guerra, Sky Cinema
sabato 30 gennaio 2021
Secondi pensieri - 440
zeulig
Ambiguità – “L’ambiguità è
il metodo dell’intelligente univocità”, L. Sciascia, “Un conato di morte” (in
“«Questo non è un racconto»”).
Creazione – Adolfo Bioy
Casares, narratore e poeta esimio, che ebbe una collaborazione quarantennale
con Borges, cui lo accomunavano le letture fantasy e il gioco delle opere e
degli autori immaginari, oggi è egli stesso scrittore praticamente immaginario.
Esiste solo nelle opere firmate – spesso con pseudonimi, normalmente doppi –
con Borges. Come nome immaginario di Borges. La letteratura porta all’astrazione,
quindi alla negazione di sé?
La poesia e il racconto sono creazioni libere e totali, o disincarnazioni
dell’autore? Con (Pessoa, Voltaire, Shakespeare) e senza pseudonimo? Incarnazione
e non disincarnazione?
Sono l’una e l’altra: creazione attraverso la disincarnazione. Tanto
più che l’autore è dei suoi critici – il suo pubblico, i suoi editori, i suoi
recensori.
Realtà – L’irrealtà della
realtà è la stessa cosa che la realtà dell’irrealtà. Tutto nell’universo
concorre ai concetti di infinito e eterno: se opera nella finitezza, ha però qualche
mistero, cioè è infinito e eterno. Il mondo nudo, non al coperto di regole e
limiti, anche solo linguistici, vi rimanda, cioè all’inconoscibile.
Si preparano le spedizioni sulla Luna, e poi su Marte. Che
prenderanno alcun secoli. Per fare che? Un nuovo West.
Riso – Quello
di Bergson, “movimento senza la vita” (“Il comico è quell’aspetto della persona
per il quale essa rassomiglia a una
cosa, quell’aspetto degli avvenimenti umani che imita, con la sua rigidità di un genere tutto
particolare, il meccanismo puro e semplice,
l’automatismo, insomma il movimento senza la vita”, etc., ma è una correzione,
“è un certo gesto sociale, che sottolinea e reprime una certa distrazione
speciale degli uomini e degli avvenimenti”) Leonardo Sciascia collega al cinema
muto, che era allora (1899) il veicolo più diffuso della comicità. “Né va dimenticato”,
aggiunge lo scrittore, “che il cinema peculiarmente nasce come «movimento senza
la vita», puro e automatico movimento”.
Si sottovaluta
nei tanti riferimenti quello a Hobbes, che pure è il più radicale: che si ride
perché ci si sente superiori - “tratto caratteristico della pusillanimità” lo
dice nella parte iniziale del “Leviatano”, trattando delle passioni: “Una gloriola improvvisa è la passione che fa quelle Smorfie
chiamate risata; ed è causata o da qualche azione imprevista da parte propria,
che piace; o dall’assunzione di qualcosa di deformato in altri, al cui paragone
si applaude d’un tratto se stessi” (“Sudden glory, is the passion that maketh those Grimaces called LAUGHTER; and is caused
either by some sudden act of their own, that pleaseth them; or by the
apprehension of some deformed thing in another, by comparison whereof they
suddenly applaud themselves”).
Di Hobbes Sciascia
dice che “buona opinione dei propri simili non aveva” – Hobbes si vuole
hobbesiano. Del riso si occupò poco, e sempre in effetti negli stesi termini,
riduttivi, anzi spregiativi, negli “Elementi di Legge” e nel “De Homine” (“universalmente
la passione del riso è un improvviso autocompiacimento a fronte del difetto di un
estraneo” – “universally the passion of laughter is sudden self-commendation
resulting from a stranger’s unseemliness”). Ma personalmente i contemporanei concordano
a dotarlo “di uno humour naturale allegro e piacevole”.
Voltaire diceva di no, “chiunque rida prova unicamente gioia in quel
momento”, disgiunta da misure – Voltaire sapeva, e non approvava, che “gli
studiosi hanno sostenuto che questo riso nasce dall’orgoglio, che ci si crede
superiori rispetto all’oggetto della nostra derisione”. Il riso non è
comparativo, comparativa è semmai l’ironia – che però è dissacratoria
(distruttiva) ma anche dolente (partecipe). In Rabelais, che non era un guitto
ma uno studioso, è tutto il contrario della supponenza, Gagantua e Pantagruele
gigioneggiano per non piangere.
Però, è vero, Umberto Eco avrebbe avuto problemi, lui scherzoso
maestro di scherzi, a tratteggiare il riso nella sua abbazia medievale - hanté peraltro dalla perdita del trattato di Aristotele sulla commedia (sarebbe stato diverso dalla risata - o era un rictus? - di Democrito?).
Reincarnazione – Le reincarnazioni
sono ripetitive - l’altro lo stesso, camuffato. Per il meccanismo. E per un difetto
d’immaginazione: per accontentarsi di poco, di vivere qualche altro annetto.
Storia – “Tempo dotato di
significato”, G. Steiner, “Una certa idea dell’Europa”.
O anche: “Quel grande museo dei sogni del passato”, ib..
Il tedesco ha la Geschichtsmüde,
la stanchezza della storia.
Tempo - È un metronomo.
Scandisce una materia immateriale, inafferrabile. Una delle forme dell’informe.
Uno dei titanismi (?) dell’uomo: chiamare l’innominato, misurare
l’immisurabile. E calcolare, controllare (misurare), progettare, rivedere, fabbricare.
Il tempo misurato (calcolato, progettato) è metronomo
dell’intemporale. Si vuole dare una traccia visibile (si vogliono dare tracce
visibili) all’intemporale.
zeulig@antiit.eu
La scoperta della Dc
Finalmente “la Repubblica” scopre, il 30 gennaio 2021, che
il Pd è un partito democristiano. Con una sinistra, sì, ma democristiana, Franceschini, Del Rio. Quell’altra, la (ex) Sinistra di Bobbio, non
conta e non sa, anzi non esiste. Una scoperta bisogna dire
mozzafiato, nella penna di Concita De Gregorio, anche se nota ai più:
https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2021/01/29/news/crisi_governo_pd_pci_dc-284880953/
“È gentilissimo, va detto.
Leale, tanto una brava persona. E però ogni volta che inciampa esita traccheggia,
tira fuori dalla tasca un foglietto da leggere, non trova l’ uscita e qualcuno
deve prenderlo
per il gomito – per di qui, segretario - Nicola Zingaretti lascia dietro di sé
l’eco malinconica
di un vuoto. Come un ologramma, sorride e svanisce. Una vita da mediano, a
recuperar palloni,
il segretario del Pd è quanto di meglio la tradizione comunista abbia oggi da offrire.
La sinistra,
diciamo…”
Che, poi, non ha colpa,
Zingaretti, onesto lavoratore. C’è una storia dietro da riscrivere. De Gregorio ha rotto gli
argini, in mezzo alle melense celebrazioni di quello che la Sinistra (non) è stata dal 1921? Sarebbe
ottimo giornalismo, di richiamo – in attesa che qualche contemporaneista accademico esca dal timore
e tremore.
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Il cinema, prima passione di Sciascia
“Questo non è un racconto” è per
Sergio Leone, il regista - “l’incipit è di Diderot”. È “un soggetto per un
film”, che diverte Sciascia e lo impegna anche: dà il tono, se non i particolari
della storia, di “C’era una volta l’America”, nientemeno. Anche se
Squillacioti, che ha curato la raccolta, e Vito Catalano, il nipote di Sciascia
che ha recuperato i materiali tra gli inediti, sviliscono la sua partecipazione al capolavoro di Leone – Catalano già nel lungo scritto “Quello scrittore che
disse «no» a Sergio Leone”, sul “Messaggero” del 20 gennaio 2019. Sviliscono il
rapporto tra Sciascia e Leone. E perfino il gusto dello scrittore per il
cinema: tanto amato, spiegano, fino ai vent’anni, ma rifiutato ai quaranta. Il
che non è falso, Sciascia lo scrive netto nel 1965, a proposito di “Antonioni,
Bergman, Pasolini”, p. 84: “Non c’è film, per quanto buono, che valga un libro
anche mediocre”, Va al cinema di rado, scrive anche, e quasi mai resiste fino
alla fine.
Un biografo obietterebbe: non è
credibile. Squillacioti stesso richiama una testimonianza di Sciascia in un
articolo su “La Stampa” del 1989, “Requiem per il cinema” – repertoriato nel
secondo volume Adelphi delle “Opere”, col titolo “C’era una volta il cinema”: “Fin
oltre i vent’anni sognai di fare il regista, il soggettista, lo sceneggiatore”.
Sciascia dice anche che non vede i film tratti dai suoi libri. Non è una civetteria
– o un modo per non imbarazzare produzioni e registi con i quali ha trattato i
diritti e che quindi meritano rispetto? Mentre continua a scrivere critiche e
ricordi di film vecchi e nuovi. Questa ne è la raccolta, di note per lo più non
antologizzate altrove, con alcuni inediti, tra essi i soggetti da film.
Con questa incongruenza, una
serie di note di Sciascia sul cinema, dunque, a partire dai versi – i soli
versi conosciuti di Sciascia? – in morte di Jules Berry e di Gary Cooper. Note
sapide, come tutto di Sciascia, stimolanti, godibili. Di buona lettura anche i tre racconti
da film, che aprono la raccolta: oltre al “trattamento” per Leone, spigliato,
andante con moto, professionale, due soggetti, uno per Lina Wertmueller, 1968,
su una donna di famiglia di mafia che rompe l’omertà, che la regista poi non riuscì
a realizzare, e uno per Carlo Lizzani, per un film di mafia. Catalano segnala
anche un quarto trattamento cinematografico, per “Viva l’Italia” di Roberto
Rossellini, 1959, trovato tra le carte di Sciascia: la sceneggiatura di tre
episodi che non avrebbero trovato poi posto nel film (ma Catalano non ne è
sicuro), poiché il nome non figura nei crediti - “Sessantadue fogli
dattiloscritti”, che lo scrittore conservò ordinati, “tre grandi scene, della Sicilia
al momento dello sbarco di Garibaldi”. Partecipò anche, con almeno un testo recepito
dal regista Vancini, nel 1962 al film “Bronte. Cronaca di un massacro che i
libri di storia non hanno raccontato”.
Cinema o non cinema, è però vero
che un altro Sciascia il volumetto fa emergere: non il raziocinante moralista,
ma uno umorale. Voltairiano ma non del tutto, non cinico. Per essere spontaneo,
e anzi poco riflessivo. Squillacioti ricorda l’infatuazione per Marylin Monroe
in testi qui non ricompresi. Ma basta l’eulogia “I miti del cinema”, per il
film “The Misfits”, a proposito del concetto di “inadeguatezza” oggi imperante
in psicologia: “Il ritratto della donna inadatta
vien fuori non per merito di Houston: ma di Miller che ha scritto il ritratto
di Marylin, e di Marylin che recita se stessa…. Un’americana che cerca
«qualcosa», che chiede se «c’è qualcosa che resta». Crepuscolare mito
dell’America: che non sa, quando la bellezza sfiorisce, velare gli specchi e
guardare dentro di sé”. L’America che Sciascia non conosceva e non ha voluto
conoscere, se non sui libri, e al cinema.
Sciascia esce dal guscio Sciascia,
uno scrittore multiforme?
Leonardo Sciascia, “Questo non è un racconto”, Adelphi,
pp. 170 € 13
Se la speculazione arruola Robin Hood
Robinhood, la piattaforma del trading (compravendita di titoli) online
senza commissioni, s’è messo a tacere quando il pubblico ha contrattaccato contro
gli hedge fund che speculavano al
ribasso – “shortavano” – su GameStop, l’azienda dei videogiochi che avevano nel
mirino. Un gruppo di trader si è
organizzato su Reddit, la rete dei messaggi online, per comprare GameStop ai prezzi ribassati dali fondi sfidando la speculazione. Hanno avuto successo, moltissimi trader anche occasionali hanno comprato
GameStop, il titolo da 40 dollari è salito a 400, e a questo punto Robinhood ha
bloccato le contrattazioni. Non tutte le contrattazioni, la piattaforma è sempre
attiva, ha bloccato gli acquisti di GameStop.
La ragione dello stop non è stata data. Ma la
storia non è come viene presentata, della vittoria di Davide contro Golia,
delle formichine contro il drago della speculazione, al contrario: l’unica spiegazione
che gli analisti finanziari si danno è che “l’industria degli hedge-fund”,
della speculazione, si è preso anche il nome e il ruolo del difensore dei
poveri e degli oppressi, surrettiziamente. Se Robinhood non era già una piattaforma
della speculazione, per attirare nel “parco buoi” i piccoli e piccolissimi
investitori, con l’esca delle zero commissioni. La dinamica dello stop è chiara: per i fondi shortatori la perdita è colossale (si parla di 40 miliardi) ma solo in potenza, se la superquotazione si sgonfia in tempo, prima dei termini entro cui devono procurarsi le azioni che avevano venduto.
“Shortare” è una speculazione sempre più
diffusa. Fu tentata con l’euro, nel caso della Grecia, e poi con determinazione,
a lungo, nei mesi estivi del 2011, contro i pigs, i paesi europei deboli, Italia
compresa, quella che ha pagato più caro la speculazione, dai 50 ai 100 miliardi
– facendo aggio sulla “indecisione ossequiosa” della Germania, come la serie “Diavoli”
un anno fa su Sky mostrava. Protetta, come già dalla Germania di Angela Merkel
dieci anni fa, dall’informazione economica, ad essa per tanti fili legata.
Il disarmo nucleare non può attendere
L’intesa sulla moratoria nucleare con Mosca,
rinnovata da Trump a fine mandato, e unico punto di contatto finora tra Biden e
Putin, passa tra le cose ordinarie, ma potrebbe e dovrebbe riaprire i negoziati
per il disarmo nella stessa materia. Dovrebbe, ma finirà per farlo, anche se
non è in agenda: trent’anni di nessun progresso nel disarmo nucleare hanno
visto infittiti e non diminuiti i rischi.
La Cina, che è fuori dagli accordi in essere, non può restarlo. La
globalizzazione ha fatto finta che la Cina non sia una grande potenza militare,
il tema è rimasto confinato ai vecchi, vecchissimi, protagonisti della guerra
fredda, Usa e Russia, e non è chi non veda l’assurdo della cosa. Altri paesi,
fuori di ogni assetto internazionale, per quanto multilaterale, incombono. La Corea
del Nord sulla Corea del Sud, il Giappone e la stessa Cina. L’Iran
La solita Europa poco e tardi
Sembrava rilanciarsi con la formula “Ursula”
di Prodi, la scelta della nuova Commissione tra Popolari e Socialisti insieme,
con l’apporto dei 5 Stelle, ma è sempre l’Europa del poco e tardi. In confronto
all’America del vituperato Trump, quasi zero. Perde la partita perfino con la
Gran Bretagna di Johnson.
Le vaccinazioni anti-covid ha fatto partire in
ritardo, ritardandone l’esame e l’approvazione. E le forniture consente che
siano ritardate, per contratti fatti male, che si vergogna ora di rendere
pubblici – col sospetto non sospetto che le consegne siano ridotte non per
problemi di produzione ma per il dirottamento della produzione verso
destinazioni più prodighe, compresi gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
Le vaccinazioni in America sono partite a metà
dicembre, sono di massa, un milione al giorno, gratuite per tutti, compresi gli
immigrati senza permesso, e hanno coperto l’equivalente di metà della
popolazione italiana, il 7 per cento della popolazione americana, tre volte
tanto i vaccinati in tutta la Ue.
Nessuno scandalo del resto è possibile se
Pfizer e Astrazeneca dirottano i vaccini. Il gruppo americano e il gruppo
britannico hanno ricevuto dai rispettivi governi finanziamenti per la ricerca e
lo sviluppo del vaccino sette volte maggiori di quelli disposti dalla Ue. Dove peraltro le
vaccinazioni di massa non si sa ancora come organizzarle. Dai siti di
stoccaggio a basse temperature all’organizzazione. In appositi capannoni, i
“quadrifogli”, che non esistono? In farmacia? Dal medico di base? Le
prenotazioni si aprono lunedì ma nessuno ne sa nulla. E comunque si aprono le
prenotazioni – se si aprono – ma quando si comincia? Non si sa.
Consigli di lettura di Virginia Woolf, non ortodossi
“Dove dobbiamo ridere leggendo il
greco?”. Sono tanti i problemi: “Non ci sono scuole, né predecessori né eredi”.
Anzi, “è perfettamente inutile leggere traduzioni dal greco”. La traduzione non
può che proporci “echi e associazioni”. E non è possibile rendere “gli accenti
più lievi, il battere e il levare delle parole”. E “dove dobbiamo ridere leggendo
il greco?” Ma poi ci prova, tanti problemi aguzzano l’ingegno.
“Quella greca è la letteratura
dell’impersonale”. Ma “è anche la letteratura dei capolavori. Non ci sono
scuole, né predecessori né eredi” – il che non è vero, ma dà l’idea: non si può
farne una “storia della letteratura”. Con un’eccezione: “Almeno una generazione
in quel tempo fortunato ha prodotto la massima esplosione di scrittori”.
In inglese il titolo del saggio suona
“sul non sapere il greco”, è cioè un invito a un’indagine. Ma si presenta come una lettura dei tragici
greci, ambiziosa e confusa – la mancata traduzione delle citazioni greche non
aiuta. Sul presupposto che “non sappiamo nulla” dei greci, come parlavano, come
recitavano. Sappiamo solo di loro strane morti: Euripide sbranato dai cani,
Eschilo colpito da un sasso. Woolf intanto li situa geograficamente: stanno al
Sud, avevano luce e calore, vivevano un po’ come si vive ora in Italia, con le
piazze e i passeggi, per cui “i piccoli fatti di ogni giorno vengono discussi
in strada piuttosto che in salotto, e diventano teatrali”, roba da “persone
loquaci”, con “quel tono irrisorio, quella giovialità, quella scioltezza di
spirito e di lingua perculiari alle razze del Sud”. Col che non ha risolto nulla,
ma spiega la funzione del coro. E poi: un scrittura senza riscritture.
“L’autore doveva pensare più all’insieme che ai dettagli”. Il suo pubblico
era “un popolo come quello ateniese, che
giudicava a orecchio seduto in un teatro all’aperto, o ascoltando una diatriba
nella piazza del mercato, molto meno incline di noi a spezzare le frasi e ad
apprezzarle slegate dal contesto”.
Quattro saggi umorali, ma
per questo anche originali, qualche dubbio o problema lo lasciano. Quanto sono
fruibili le letterature “altre”, quella inglese per esempio per gli americani, per i letterati americamo, perfino per Henry
James. O quella russa per gli inglesi – e ogni altro, è da supporre: bisogna
sapere molte cose prima di entrare in Cechov, Dostoevskij, Tolstòj – bisogna
scoprire l’“anima” per i primi due, per Tolstòj la cosa è più complessa.
Peggio è con gli elisabettiani,
la cui lettura viene ribaltata nel secondo saggio in più punti: che cosa sono,
tirando le somme, e chi era chi, e chi doveva a chi. “Ci sono, bisogna ammetterlo, alcune aree davvero straordinarie nella
letteratura inglese, una delle quali è quella giungla, foresta o landa
disabitata che è il dramma elisabettiano”. Peggio, “per il lettore comune una
sorta di ordalia, un’esperienza traumatizzante che lo riempie di domande e lo
tormenta di dubbi, deliziandolo e al tempo stesso affliggendolo”. Drammi all’apparenza
“meravigliosi”, pieni di cavalieri, duchi e damigelle, che però “passano l’esistenza
tra intrighi e delitti, si vestono da uomini se sono donne, da donne se sono
uomini, vedono fantasmi. Perdono il senno e muoiono in grandissima profusione
alla minima provocazione, proferendo – mentre cadono (ma non è come sarà
all’opera? n.d.r.) – imprecazioni dal superbo vigore o elegia di disperata
ferocia”. Ma, poi, sono “per lunghissimi tratti così intollerabilmente tediosi”. E
uno: “Gli elisabettiani ci annoiano perché i loro miti sono tutti duchi, le loro
Liverpool tutte isole mitiche o palazzi genovesi” E due: “Gli elisabettiani ci
annoiano perché soffocano la nostra immaginazione, piuttosto che darle da
lavorare”. Anche se, con tutti i loro limiti, sono lontani “dal tedio inflitto
da un’opera teatrale del XVIIImo secolo”. Col recupero di John Ford, “Peccato
che sia aan puttana”, con annotazioni, alle pp. 42-43, che sono note di regia,
di programma di sala.
“Come leggere un libro?”, “saggio letto in una
scuola, il quarto saggio, non aiuta molto. Ma sì in un punto importante:
lasciare che il rapporto col libro – stiamo parlando del romanzo, anche della
poesia – si stabilisca direttamente, non per consiglio o imposizione del discente. Un’idea non male,
specie per le letture estive consigliate.
Virginia Woolf, Non sapere il greco, Garzanti, pp. 91 €
4,90
giovedì 28 gennaio 2021
Ombre - 547
Trump esordì in
politica estera con un approccio al dittatore nuclearista nordcoreano, Biden esordisce inviando
le cannoniere nel Mare della Cina meridionale, a difesa di Taiwan. Il nemico n.
è ora la Cina? Non
c’è innocenza.
Disney proibisce
i suoi cartoni animati al suo pubblico, i bambini, per colpe varie di razzismo
che
nessuno
avrebbe subodorato. È il ridicolo il nuovo modo di essere occidentale,
mondiale? Oppure no. Il mondo si adegua da quasi un
secolo sempre al modo di essere americano, da Hollywood all’informatica, ai social, ai tatuaggi e ai
jeans sbucciati – anche alla pizza, che l’America dice americana. Ma in questo
proibizionismo sembra di no: l’Asia non segue, nemmeno l’Africa – giusto l’Europa,
un po’, per pavidità. È cominciato il declino americano?
Ha
fatto l’affare della vita rifilando Antonveneta al Monte dei Paschi, operazione
talmente conveniente
da portare al fallimento, di fatto, la più antica banca italiana. Ora ci prova
a Unicredit:
per rifilare il Monte dei Paschi alla (ex) più grande banca italiana? Questo
Orcel è proprio
quello che di direbbe un Costruttore, uno che fa la storia.
Si
fa la crisi politica per alchimie incomprensibili. A leggere i giornali e guardare
le tv. Mentre il motivo
c’è, e si sa: la “spartizione” del Recovery Fund. Ma non si dice. È la fine
dell’informazione.
Non
si ricorda crisi politica più sconcia, di mercanteggiamenti. Anche se per un business multimiliardario.
Niente programmi, niente politica – schieramenti, indirizzi. Attorno ai 5
Stelle, maggioranza
relativa di questo Parlamento, votati perché dovevano cambiare tutto. In
peggio?
Non
si sa che pensare del presidente Mattarella. Ha parlato di costruttori, e
subito glieli hanno tradotti
in “responsabili”, parlamentari sul mercato. Ha convocato Conte al Quirinale e Conte
gli ha detto:
ora non posso, devo girare un video propagandistico.
Conte
capo di ben due governi, di orientamento opposto, pur non essendo nessuno, né
un politico né una
personalità. Un fatto senza precedenti, se non nella Quarta Repubblica
francese, che ridusse la
Francia
da grande potenza a niente, nella prima e nella seconda guerra mondiale.
Si
è ridotta enormemente l’attività delle farmacie in questo lungo inverno di pandemia.
Il virus ha ridotto
la morbilità. O male peggiore scaccia male minore?
La globalizzazione ha messo in crisi la democrazia - e la pandemia ha messo in crisi tutte e due”. È preciso su “La verità” l’ex ministro del Tesoro Tremonti, cultore della materia. Il coronavirus “ha hackerato il software della globalizzazione, il suo meccano mentale tutto positivo e progressivo. Superata l'emergenza sanitaria, restano gli effetti di crisi mentale, sociale ed economica” – è “la globalizzazione che da sogno si trasforma in incubo”.
Si inneggia ai
fondi anti-crisi, che moltiplicano il debito, che non si potrà pagare, e presto
neppure garantire. Quando la verità è agli occhi di tutti – nelle parole di Tremonti,
monello del re nudo: Bush jr. e Obama hanno rimediato alla crisi del 2008
creando “una quantità enorme di
moneta dal nulla. È quello che in Europa chiamiamo easing. E che sarà
all'origine della prossima crisi”.
L’ambasciatore
a Mosca Terracciano si è vaccinato col russo Sputnik. Costretto per questo a
giustificarsi: per “ragioni personali”. Mentre si sa: l’ambasciatore è uno dei
pochi (il solo?)
che ancora lavorano agli Esteri. Ministero diretto non a caso dal vagabondo Di
Maio: fuori
dalla
Libia, dall’immigrazione, da Pechino e Washington, perfino da Bruxelles,
Berlino e Parigi, in freddo
con Putin. Terracciano si occupa degli italiani in Russia, con una newsletter
che spiega cosa
fare,
in base alle decisioni del governo russo. Certo, non ci vuole molto, ma bisogna
voler lavorare.
Per
la terza volta nella Seconda (o Terza, o Quarta) Repubblica il governo cade con
– per – la Relazione
sullo stato della Giustizia: il secondo governo Prodi nel 2008, il governo
Monti nel 2013,
e
ora. La giustizia sarà un falso scopo, ma è un campo minato.
Nel
mentre che l’Italia resta appesa alla maggioranza relativa dei 5 Stelle, e al
loro Conte, con guru Grillo, la sindaca 5 Stelle di Roma nomina assessore alla cultura un’amica, dei
tempi del liceo, Lorenza Fruci. Senza
altra competenza. Sembra di sognare.
Alla
vecchia amica Fruci la sindaca Raggi aveva già dato una consulenza alle Pari
Opportunità. Con appannaggio più modesto, 27.570 euro, lordi, con questa
funzione: “Indirizzo e controllo politico in ordine alle progettualità afferenti
lo sviluppo delle politiche di genere per la promozione dei relativi diritti,
per l’accoglienza e il sostegno delle donne”.
Lorenza
Truci, neo assessora alla Cultura a Roma, vanta nel curriculum una “docenza su
Arabesque e Burlesque come credito formativo per i giornalisti dell’ordine di Alessandria”.
Ecco perché i giornali non si sa che farsene.
Il
governo ottiene la fiducia alla Camera, e dopo quattro giorni si dimette. Una
ginnastica per umiliare ulteriormente il Parlamento.
Riccardo
Nencini, senatore e segretario del Psi, salva al recupero dei tempi supplementari
il governo Conte. Claudio Martelli lo accosta a Arlecchino servitore di due padroni:
“Nela prima scena concede il simbolo del Psi a Renzi e fa gruppo con lui. Nela
seconda fa gruppo con Renata Polverini Fiamma Tricolore e vota la fiducia a
Conte – mentre dichiara che resterà con
Renzi….”. Replica Nencini: “Sbagliato. La Polverini è stata eletta a
destra, io a sinistra”. La sinistra della destra, la destra della sinistra? Si
capisce che il partito Socialista sia scomparso.
La
sindaca di Roma Raggi in corsa per la rielezione inaugura chilometri di
ciclabili deserte, moltiplica gli appaltini, dimette i non fedelissimi in
giunta, e dà un premio di produzione ai 22 mila dipendenti del Comune, per un anno in cui non solo “non lavorano” come vuole
la passi, ma “nemmeno sono venuti” in ufficio. Nessun vecchio politico avrebbe
avuto tanta immaginazione, è vero. E, certo, non è un caso di mafia al potere –
mafioso Grillo?
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L’invenzione della salvezza
Un aneddoto promettente: un
ragazzo belga rastrellato dalle SS nella caccia agli ebrei, sfugge alla
fucilazione immediata e poi ai lavori forzati e alla deportazione inventandosi
persiano. Qualcuno gli ha dato in cambio di un panino un libro persiano, e
questo basta. Il tenente SS addetto alla mensa progetta di andarsene alla fine
della guerra a Teheran, a ritrovare il fratello, e vuole imparare il farsì, le
SS canaglia scambiano il ragazzo con un paio di carne in scatola, e il gioco è
fatto: la lingua il ragazzo se la inventa, da ultimo coniando un vocabolario
fatto coi nomi dei deportati.
Un tipico aneddoto da commedia
all’italiana. Ma Perelman, ucraino naturalizzato canadese, forse per non
ripetere Benigni (“«La vita è bella» naturalmente l’ho visto, ma non mi è
piaciuto e non ha niente a che fare con la mia pellicola”), forse deviato da
una sceneggiatura frettolosa, di luoghi comuni, lo sciupa. In un racconto interminabilmente
lungo, benché i tedeschi siano di una sola pasta, stupidi tanto quanto crudeli.
Con un finale inavvertitamente rovesciato: il tedesco buono (di famiglia
poverissima, vivevano vendendo “acqua calda”, si è arruolato perché le camicie
brune sfilavano erette, pasciute e cantavano, e perché il fratello aveva creato
problemi al regime, finché non era fuggito a Teheran) è gabbato dall’ebreo
furbo.
Vadim Perelman, Lezioni di persiano
mercoledì 27 gennaio 2021
Problemi di base esistenziali - 619
spock
Lavorare per vivere, ma vivere per lavorare – per scrivere
per esempio?
“L’intera vita non è che vagabondare in cerca di casa.\
Quado non ci siamo più, l’abbiamo trovata”, T. Dekker,-W.Rowley-J.Ford?
“L’uomo è un albero che non ha cima ai pensieri, né radici
nelle consolazioni; ogni sua forza vitale gli è data senza altro fine che il
dolore”, J. Chapman?
“Essere qui è magnifico”, Rilke?
“Parmi\
un genere di pena\ il troppo godimento” – Caldara, “Gianguir imperatore del
Mogol”?
“Il piacere e il bene sono la stessa cosa”, V. Woolf?
spock@antiit.eu
Cronache dell’altro mondo (91)
La Disney vieta
ai ragazzi, ed esclude dai suoi canali digitali e tv per bambini, cioè dal suo
pubblico, i cartoni animati “Dumbo”, “Peter Pan” e “Gli Aristogatti”, perché “veicolano
messaggi dannosi e razzisti”. Gli adulti possono vederli, ma preceduti dall’avvertenza:
“Il programma include rappresentazioni negative e\o denigra popolazioni e
culture”.
Le colpe.
Dumbo canta in un cartone degli schiavi nelle piantagioni: “E quando poi veniamo
pagati, buttiamo via i nostri sogni” – che sembrerebbe una sana critica: non abbandonare i sogni quando si passa da schiavi a salariati. Peter Pan chiama “pellirosse”
i membri della “sua” tribù Giglio Tigrato. Gli Aristogatti hanno Shun Gon, un siamese
con i denti sporgenti e gli occhi a mandorla.
Bisognerà raddrizzare gli occhi
agli asiatici. Oppure ritrarli come i texani, con la mascella quadrata. Oppure non ritrarli affatto – cancellare l’Asia?
“Negli
Stati Uniti, nonostante quello che si legge, il governo ha dato subito
indicazioni chiare” sulle vaccinazioni contro il covid - Ornella Barra, proprietaria e gestora di Walgeens Boots Alliance, la catena di oltre 21 mila farmacie in tutto
il mondo, che fattura 140 miliardi di dollari: “Il 18 dicembre i nostri farmacisti
hanno iniziato a vaccinare ospiti e lavoratori di oltre 35 mila case di cura in
49 stati”. Stati degli Stati Uniti. Il 18 dicembre. Cioè, con l’inetto Tramp.
Non ne sapevamo niente - i giornali sono
inutili? E delle farmacie per le vaccinazioni non si parla nemmeno. Anche
perché il vaccino non c’è.
Il primo atto della presidenza Trump è stato il
dialogo con la Corea del Nord. Il primo della presidenza Biden è l’invio di
portaerei nel mare della Cina meridionale. Il secondo una inchiesta sulla origine e diffusione del covid.
Sola e abbandonata, nella Sicilia bella e primitiva
Un forte dramma, tra nipotina
lasciata dai genitori emigrati per lavoro in Francia e nonna brusca, isolata, incattivita,
che vive di espedienti, come rivestire i morti. In un luogo abbandonato,
seppure bello – è l’isola di Favignana. Di borghi come borgate di periferia,
derelitti, benché con feste, processioni, gelati e cannoli, e mare colorato –
“Con i piedi nella sabbia” è il sottotitolo, dal romanzo omonimo di Catena
Fiorello.
Non finisce bene. Cioè finisce
bene, ma lontano dalla Sicilia – la storia si vuole siciliana, parlata in dialetto
contratto, asillabico. Dove invece le piccole gioie sono sovrastate dalla indifferenza
e dal dolore, dalla violenza. Dall’incomunicabilità – chi l’avrebbe detto, non
era un tratto della condizione urbana, decentrata, microfamiliare? In anni si
suppone postbellici, quindi remoti, ma non detti – salvo nella scena finale: il
dramma si svolge come nella tragedia greca, senza finestre e senza porte.
Il rovesciamento del paradigma umanitario
della vita di paese, della piccola comunità di conoscenze e tradizioni comuni,
non è una novità. È anzi ricorrente nella narrativa siciliana, che esclude la
solidarietà - non la complicità, quella anzi è d’uso e celebrata, ma la
comprensione, e il sostegno non interessato. Licata, al suo primo film, si
adegua al “ciclo dei vinti”. Sull’onda probabilmente dell’estetica neo realista
ritornante con la cinematografia asiatica che vince i premi, giapponese e
coreana, delle vite ai margini: niente empatia nei mondi “primitivo” o povero, che
invece ne sono dominati (anche distruttivamente, è vero).
Un racconto duro, che avvince malgrado
la povertà delle immagini – o in virtù di esse.
Il film aveva debuttato bene, premiato
al Festival di Taormina. Sfortunato poi al debutto in sala, programmato dalla
distribuzione per il 5 marzo – che sarà vigilia di lockdown.
Paolo Licata, Picciridda, Sky Cinema
martedì 26 gennaio 2021
Letture - 446
letterautore
Bach – Anche
lezioso, lo leggeva Vernon Lee, la narratrice che fu anche studiosa della
musica del Settecento (“La vita musicale nell’Italia del Settecento”). In “The spirit of Rome” ha “un organo a canne ben suonato,
che fa un’imitazione musette di Bach. Una cerimonia piuttosto come i 6\8 del musette, forse
un pizzico troppo dell’elemento danzante, ma grave e quasi perfetta”.
Bach ha un musette,
almeno uno, nei “Pezzi facili”, che certamente la scrittrice conosceva. Vuol
dire che Bach può essere lieve anche nei pezzi gravi.
Bronte – Il massacro dei contadini a opera d Nino Bixio, che Florestano Vancini
rivelò al grande pubblico col film del 1962, vede Sciascia in opposizione a
Verga – cui peraltro si deve la sola testimonianza di quell’evento per molti
anni. Nella novella “Libertà”, poco dopo i fatti, 1882, Verga rappresentava la
vicenda – l’occupazione delle terre e le violenze sui padroni seguite dalla
repressione garibaldina – come una tragedia, un evento del destino. Sciascia ha
nobilitato nel film (secondo quanto del suo contributo ha testimoniato Vancini)
la parte moderata, borghese, della rivolta, che Verga aveva rimosso.
Cinema – “Movimento senza la vita” lo vuole Sciascia (“Angelo Musco e il comico”,
in “«Questo non è un racconto»”, 114), nostalgico del cinema muto. E per ciò
portato al comico, alla “comicità di Charlie Chaplin, Harold Lloyd, Buster
Keaton, Ridolini, nell’ureo silenzio del cinema, che era limite atto a
potenziare il loro «meccanismo». Come pure “dei fratelli Marx, Eddie Cantor,
Jerry Lewis, Totò, Macario e altri comici, il cui «»meccanismo si avvantaggiava o scapitava della parola,
consisteva in atteggiamenti, movimenti, gesti”.
Coro – Nella
tragedia greca è la piazza italiana, spiega Virginia Woolf, “Non sapere il
greco”, 9. Per capire Sofocle, argomenta, bisogna cambiare paesaggio: “Affilare
il contorno delle colline. Vagheggiare una bellezza di pietra e terra,
piuttosto che di boschi e vegetazione”. Ma col sole caldo, per molti mesi, è
tutta un’altra vita: “Si sposta fuori dalle abitazioni, con il risultato, noto
a chiunque visiti l’Italia, che i piccoli fatti vengono discussi in strada,
piuttosto che in casa, e diventano teatrali; le persone sono loquaci”, irridenti,
gioviali, sciolte “di lingua e di spirito”. E “questa è la qualità che per pima
ci colpisce nella letteratura greca: il piglio fulmineo, beffardo, di strada”.
Nela tragedia è il ruolo del coro.
Dante – Niccolò
Tommaseo (“mi dolgono i tommasei”, lamentava lì’amico Manzoni, di cui era assiduo
quasi ogni pomeriggio) ha ben tre volumi di “ragionamenti e note” attorno alla
“Commedia”, di pp. 622, 735 e 732 rispettivamente, per un totale di oltre
duemila pagine.
Humour – È intraducibile? È uno dei lampi di Virginia Woolf alle prese con l’inafferrabile
greco, la lingua e la letteratura (“No sapere il greco”), nel punto in cui si
domanda: “Dove dobbiamo ridere leggendo il greco?” Non ha la risposta, ma sa
che “lo humour è il primo dono a svanire in una lingua straniera”.
Mussolini – “Napoleone”, “poeta scienziato”, “va dando una nuova coltura al popolo
italiano”, “ha debellato l’accademia nell’ultima delle sue incarnazioni: l’accademia
del decadentismo”. Non si pone limiti Giacomo Debenedetti nell’elogio di Mussolini
scrittore sul settimanale “Meridiano di Roma” il 9 maggio 1937 – un breve
saggio riproposto integralmente dalla rivista “Paragone” nel 2007 e ora
introvabile.
Pasolini – “Una specie di sismografo” lo diceva Sciascia nel 1965, commentando il
film “Il Vangelo secondo Matteo”: “Pasolini fa il «Vangelo: ed ecco che comincia
il dialogo tra comunisti e cattolici. Il che, confesso, mi dà grande
inquietudine”.
Riso – Si sottovaluta
nei tanti riferimenti quello a Hobbes, che pure è il più radicale: “tratto
caratteristico della pusillanimità” lo dice, di chi è vanitoso e insieme
aggressivo, presume di se stesso in confronto con gli altri specie se inermi o menomati.
Per Pascal invece, che
lo usa contro i gesuiti - il lassismo morale - smaschera il fatuo e l’inutile.
Shakespeare – “Insuperabile nella crudeltà” lo dice Tabucchi (“Viaggi e altri
viaggi”). In effetti.
Ma Marlowe lo
supera, e gli altri concorrenti – gli “elisabettiani” non precorrevano la guerra civile
e il macellaio Cromwell?
Oppure: tutto non è
già in Seneca?
Sherlock Holmes – È don Chisciotte, col fedele Watson-Sancho Panza. La versione stravolta
di Robert Downey, stralunato, folle, imaginifico, guitto, saltimbanco, rinvia
al modello originale della coppia: don Chisciotte e Sancho Panza. Più o meno
inconscio in Conan Doyle – ma era un gran lettore d a ragazzo.
Viaggio – È una riscoperta. “Ogni luogo nel quale arriviamo in un viaggio è un
sorta di radiografia di noi stesai”, Tabucchi, Viaggi altri viaggi”, 183: “Un luogo non è mai solo
«quel» luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi”.
Tabucchi ci arriva sul verso di Rilke:
“Mi riconosci tu, aria, tu che consci i luoghi che una volta erano miei?”. Il
luogo, continua, “in qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un
giorno, per caso, ci siamo arrivati” – il suo luogo del cuore erano le Azzorre.
“Il
massimo piacere del viaggiare si raggiunge quando allo spostamento nello spazio
si unisce lo spostamento nel tempo”, nota Mario Praz mettendo a confronto un
viaggio in America e uno in Sicilia.
Zola - La moglie di
Zola, Alexandrine, ragazza-madre a vent’anni, ha dovuto abbandonare la sua
neonata agli enfants trouvés e non ha
più potuto avere figli. Si attaccherà a quelli che del marito, Denise e
Jacques. Che Zola aveva avuto, in costanza di matrimonio, con la lavandaia. Lei
contentandosi di vivere la sua vita grazie ai soggiorni autunnali, i tre mesi
settembre-novembre, dagli amici in Italia. Devotissima e amatissima dai figli
di lui, sempre molto materna.
etterautore@antiit.eu
Giallo in grigio
Alla ricerca dell’effetto “Twin
Peaks” - sono anni che Rai 1 insegue le atmosfere sospese di Lynch, ma, sembra,
senza crederci – con effetti misti. Questo “Commissario Ricciardi” ne è la summa.
Il film si apre con la scena
madre immaginata da De Giovanni, il creatore del commissario: il delitto all’Opera,
tra “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci”, quando all’urlo in scena “Hanno
ammazzato compare Turiddu” si accoppia l’urlo fuori scena della sarta che
scopre il morto. Naviga poi sul nulla: il grigio è dominane, e i silenzi. Ricciardi è solitario, cinereo, mutangolo. E vaga per angoli e sotto cieli plumbei, bagnati anziché no, e deserti. Interloquendo poco, con caratterizzazioni scontate: napoletane, fasciste, e
fascionapoletane. Con conclusione tronca, dopo
tanto girovagare, in due scene brevi: l’“illuminazione”, e la confessione – di personaggio
di cui non sapevamo nulla (questo trasgredisce la regola fondamentale del giallo).
Molto impegno, e grande sforzo
produttivo, per un film d’epoca, anni 1930 a Napoli, tra costumi, automobili, ambienti,
arredamenti. Si supporrebbe quindi con molta cura. Poteva riuscire meglio. C’è
pure qualche incongruenza. Nel grigiore lampi di un Golfo coloratissimo da cartolina
illustrata, col Vesuvio spostato al corno inferiore, su un mare ceruleo. O da
ultimo il commissario, uno che vive guardando dalla finestra, in colloquio
intimo con la femme fatale, naturalmente “amante del Duce”, alla
quale dà del tu, in automobilina stretta, lui che solitamente non guida, soli
davanti al mare – è la scena di un’altra puntata?
Con un’ottima resa di Serena Iansiti,
la dark lady che invece non lo è – o lo è? Con spreco di Peppe Servillo e
Antonio Milo.
La serie promette “un viaggio
nella Campania anni Trenta”. Per ora no: la produzione d’epoca limita anzi gli
esterni. Qui sappiamo che è Napoli, ma potrebbe essere qualsiasi altro posto.
Il San Carlo teatro del delitto si vede poco. Il palazzo Pallavicini dobbiamo
saperlo che è il palazzo Pallavicini.
Alessandro D’Alatri, Il commissario Ricciardi, Rai 1
lunedì 25 gennaio 2021
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (447)
Giuseppe Leuzzi
Tabucchi
evoca in “Viaggi e altri viaggi”, 191, il nostos
furfantesco di D’Annunzio: “«Perché
non son io co’ miei pastori?», al quale rispose impareggiabilmente Leo Longanesi:
«Perché alloggi al Grand Hotel di Montecarlo»”.
Cercando di spiegarsi l’atipicità della
letteratura greca, V. Woolf (“Non sapere il greco”) si rifà all’Italia, al Sud.
Per capire, spiega, bisogna cambiare paesaggio: “Affilare
il contorno delle colline. Vagheggiare una bellezza di pietra e terra,
piuttosto che di boschi e vegetazione”. E capire che col sole caldo, per molti
mesi, è un’altra vita: “Si sposta fuori dalle abitazioni, con il risultato,
noto a chiunque visiti l’Italia, che i piccoli fatti vengono discussi in
strada, piuttosto che in casa, e diventano teatrali; le persone sono loquaci:
sfoggiano quel tono irrisorio, quella giovialità, quella scioltezza di spirito
e di lingua peculiari alle razze del Sud”.
Giallo etnico
Rileggendolo
in edicola, Sciascia si scopre autore di gialli etnici. Tornando alle prime
letture dei gialli (noir in realtà,
storie di violenza, non il whodunit,
il chi è il colpevole britannico), attorno al 1970, quelli di Sciascia con
quelli classici, di Chandler e di Hammett, il contrasto risaltava già allora forte: quelli
di Sciascia sono – erano – “siciliani”, per una caratterizzazione accentuata,
quasi eccessiva (caricaturale), quelli americani no, anche quando il
delinquente era nero, o irlandese, o ebreo. La Sicilia della “sicilitudine”
affliggendo di un’identità rabbiosamente identitaria, e naturalmente dissipata,
perdente – “lu munnu va n’arreri” di Domenico Tempio.
La
cosa si è ripresentata con la Sicilia di Camilleri, che è invece come tutto il
mondo – come la Palermo di Piazzese. Mentre si sviluppa il tentativo di
mobilitare come fattore etnico la calabresità – in corso nel Millennio, dopo un
primo rapporto dei servizi di intelligence
una dozzina d’anni fa, costantemente poi ripreso, da ultimo dalla Dia nel
Rapporto 2020, che vuole la ‘ndrangheta supermafia mondiale, dalla Russia alla
Terra del Fuoco.
Non
c’è mai stato un giallo etnico a Napoli, che pure pullula di narrazioni etniche.
De Giovanni, per esempio, se ne guarda - pur cattivo con la sua città, per l’inciviltà,
la sporcizia, il disordine, l’improntitudine, la supponenza. La serie “Gomorra”
e Saviano sembrerebbero dire il contrario, ma non biasimano, fanno “spettacolo”,
esibizione di violenza, già nel linguaggio.
Dei
film di mafia da ultimo era stanco lo stesso Sciascia. Fino a negare, se non
era civetteria, di avere visto i film tratti dalle sue opere. A un
intervistatore che glielo chiedeva nel 1987, Sebastiano Gesù, degli Incontri
con il cinema di Acicatena, premetteva: “Sa che io non vedo i film sulla mafia,
non li ho mai visti”. E all’insistente “avrà visto almeno i film tratti dalle
sue opere”, ribadiva secco: “Nemmeno quelli. S’immagini che «Il giorno della civetta» l’ho visto due anni dopo la sua uscita sul circuito commerciale. L’ho
visto a Palermo, al cineforum Casaprofessa, dai salesiani. Sono stato invitato,
sono venuti addirittura a prendermi da casa e così ho avuto modo di vedere il
film”. Concludendo sarcastico: “Eppure era un buon film” (la risposta a S. Gesù è ora in “Questo non è
un racconto”, p. 155)
I pugnalatori
L’Italia
è stata subito divisa tra Nord e Sud anche in America, quando l’emigrazione vi
si allargò. Dalla delinquenza, piccola e grande. Tra fine Ottocento e la prima
metà del Novecento, con radici aeree ancora negli anni di Kennedy, è - fu - napoletana,
siciliana, calabrese. A danno, in principio e per almeno tre decadi, soprattuto
degli emigrati, operai, artigiani, piccoli commercianti, taglieggiati nelle
paghe e nelle rimesse, con crudeltà.
Lo
è – lo è stata - nell’ordine. Oggi della delinquenza napoletana non si parla
più, perché la “napoletanità” non va, non seduce – c’è rimasto solo Saviano. Di
quella siciliana, invadentissima da Petrosino a Sciascia e al “Padrino”, si
parla un po’ meno: la “sicilitudine” ha stancato e comunque è fuori quadro,
effetto Montabano - e i vigneti passati in mano ai veneti, che sanno come fare
(anche se con fortune alterne, vedi il Palermo calcio) e i vini siciliani hanno
portato alla pari con i piemontesi, i veneti, i toscani? Mentre si ingigantisce
la ‘ndrangheta - o le ‘ndranghete, il malaffare è piuttosto anarcoide. A
dismisura: non c’è altro orizzonte, in Calabria e fuori.
Eccellevano
nell’uso dello “stiletto” i delinquenti meridionali a New York, del pugnale.
Uno di essi, Francesco “Frank” Filastò, fondò pure una Scuola di Scherma, dove
si insegnava ai “picciotti” l’uso dello “stiletto”. Come “I pugnalatori”, il romanzo
storico che Sciascia scrisse su certi documenti (piemontesi?) che Lorenzo Mondo
gli aveva trasmessi, una non altrimenti nota “setta” che agiva a Palermo dopo
l’unità. Quelli d’America erano invece addetti al “pizzo” che ogni italiano
doveva pagare, manovale, artigiano, commerciante, dapprima, e poi al pizzo
insieme con la prostituzione, l’azzardo, e l’alcol.
Della
fama di pugnalatori, nell’Italia divisa in America tra Nord e Sud, era stanco pure Sciascia, nel “trattamento” cinematografico del 1972 per Sergio Leone, “C’era
una volta l’America” (ora in “Questo non è un racconto”, p. 5): “Essere
siciliano consiste nell’avere un coltello, nel maneggiarlo, nel farsene ultima ratio contro gli altri. L’America
ha relegato i siciliani alla fama di accoltellatori”. Era stanco degli stereotipi
in genere sulla Sicilia, specie al cinema. Criticando nel 1964 il film di Germi
“Sedotta e abbandonata”, se ne dice infastidito:
dà “della Sicilia, almeno della Sicilia
che io conosco, un ragguaglio piuttosto arretrato e, in qualche tratto, perfino
immaginato”.
Le vigne terrazzate,
dalla Costa Viola al Giura
Viaggiando
nell’inverno del 1981 da Lione verso Losanna Sciascia (v. “Questo non è un
racconto”, p.94) riflette: “Sempre la visione delle vigne ben coltivate che si
arrampicano alla montagna”, in cerca d’insolazione, “mi porta a considerare
quanto di precarietà, di spreco, di insensatezza presieda invece alle cose
italiane”. Confrontava gli anfratti del Giura, è probabile, inconsciamente con i
terrazzamenti di zibibbo che nei suoi primi viaggi in treno sul continente avrà
visto rifulgere dorati tra Scilla e Bagnara, poi abbandonati, perché non si potevano
lavorare con le macchine, e dilavati – come si vedono oggi, una miniera ferrovecchio. In Svizzera, nota Sciascia, “sono delle strisce di terra ad
inclinazioni quasi impossibili, ma contenute da pazienti e solidi
terrazzamenti; lavorato e nettissimo il suolo, curatissime le piante” – erano così
sulla Costa Viola. E rileva: “Certo, non vi si va con il trattore, tutto è a
fatica d’uomo”, anche in Svizzera è come “Lenin diceva: «La terra è bassa», per
dire quanto greve la fatica del contadino”. Con un facile sospetto: “Con ogni
probabilità, a lavorarla sono quegli stessi che alla terra bassa della Sicilia
o della Calabria sono fuggiti”.
Conclusione:
“Così, nell’Italia meridionale non ci sono che trattori, quando ci sono; e in Svizzera
i contadini”.
Calabria
Il
mite Augias le retate del giudice Gratteri lo mandano fuori onda. In tv da Rai
3 si lascia andare: “La Calabria è una
terra perduta”, “ho il sentimento che la Calabria sia irrecuperabile”. Richiesto
di scuse a mente fredda, dà questa spiegazione: l’opinione se l’è formata all’ultimo voto regionale, che non ha premiato il candidato del Pd.
Cioè, conferma che la bocciatura del candidato Pd era giusta?
Il
problema della Calabria è che anche i suoi critici non sono granché?
Easyjet
per propagandare il suo volo su Lamezia paga questa pubblicità: “La Calabria,
terra di mafia e terremoti”. Piove sul bagnato, si dice. Ma che pubblicità è -
a parte la cattiveria: a tagliarseli?
Per
il copywriter dell’agenzia cui
Easyjet ha confidato la campagna pubblicitaria la Calabria migliore è mafia e
terremoti?
Fu
chiamato “Calabria” un piroscafo della compagnia scozzese Anchor Line, varato
il 9 aprile 1901 per la rotta transatlantica - viaggio inaugurale
Livorno-Napoli-New York il 23 maggio. L’emigrazione dalla Calabria, restia nel secondo
Ottocento, quando era invece di massa nella valle padana, in Liguria e nel Triveneto,
diventava consistente (ammonterà a circa 50 mila espatri nel 1905, per due
terzi verso il Nord America) e la Anchor puntava a conquistarsela.
Le
immagini del “Calabria” illustrano il sito storico della Anchor Line, e sono
esposte a Liverpool, al Meyerside Maritime Museum.
Il
Messico ha fatto un’industria del chili, il peperoncino – varietà, sapori, usi.
Tabucchi ne fa un elenco dettagliato in “Viaggi e altri viaggi”: il chile poblano, il secoa, il dulce, il guëro , il serrano, il jalapeño, il chile de árbol – “potrei continuare”,
dice lo scrittore, ma si ferma a quello che chiama il pontifex maximus, il chile habanero.
La Calabria non distingue, basta che sia piccante.
Incapacità
non è, c’è ingegno. Forse il bisogno non è come dicono le statistiche.
Quarantenne
agli arresti domiciliari a Crotone scappa di casa e si consegna ai vicini Carabinieri:
“Preferisco tornare in prigione che subire mia moglie”. Lo condannano per questo
in Calabria a due mesi, per evasione. Ma la Cassazione a Roma lo assolve.
Poi
si dice che in Calabria non c’è giustizia.
Andrea da Barberino, primo Quattrocento,
grande divulgatore di testi francesi, di testi cavallereschi, del ciclo carolingio
e delle tresche “materia di Bretagna”, “I reali di Francia”, “Il Guerrin
Meschino”, ha anche un poema “Aspramonte” o “La canzone d’Aspromonte”. Ma nessuno se ne
occupa, non in Calabria, non della “Canzone d’Aspromonte”.
Il nostos vi si pratica a rovescio. Répaci,
che ci tornò fisicamente, tenendo aperta una casa rupestre e
romantica, su un costone sassoso bonificato con dispendio di soldi e di energie,
non vi trovò estri creativi. Alvaro, che se ne tenne sempre lontano, già dalle medie, ne
originò molti umori – e quelli, alla rilettura, più duraturi.
Bisogna
“tornare” alle origini, ma a distanza, il radicamento va bene con juicio?
Il
brigante Musolino a processo a Lucca ammaliò tutti, anche Pascoli e D’Annunzio,
e Cesare Lumbroso, che pure lo considerava “un criminale nato”. “Musolino Mania!”
poteva intitolare un giornale loale americano, “Uthica Herald Dispatch”, il 7
agosto 1902 – cit. in Nicaso-Barillà-Amaddeo, “Quando la ‘ndrangheta scoprì
l’America”.
leuzzi@antiit.eu
Cercando di spiegarsi l’atipicità della
letteratura greca, V. Woolf (“Non sapere il greco”) si rifà all’Italia, al Sud.
Per capire, spiega, bisogna cambiare paesaggio: “Affilare
il contorno delle colline. Vagheggiare una bellezza di pietra e terra,
piuttosto che di boschi e vegetazione”. E capire che col sole caldo, per molti
mesi, è un’altra vita: “Si sposta fuori dalle abitazioni, con il risultato,
noto a chiunque visiti l’Italia, che i piccoli fatti vengono discussi in
strada, piuttosto che in casa, e diventano teatrali; le persone sono loquaci:
sfoggiano quel tono irrisorio, quella giovialità, quella scioltezza di spirito
e di lingua peculiari alle razze del Sud”.
Giallo etnico
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