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giovedì 28 gennaio 2021

L’invenzione della salvezza

Un aneddoto promettente: un ragazzo belga rastrellato dalle SS nella caccia agli ebrei, sfugge alla fucilazione immediata e poi ai lavori forzati e alla deportazione inventandosi persiano. Qualcuno gli ha dato in cambio di un panino un libro persiano, e questo basta. Il tenente SS addetto alla mensa progetta di andarsene alla fine della guerra a Teheran, a ritrovare il fratello, e vuole imparare il farsì, le SS canaglia scambiano il ragazzo con un paio di carne in scatola, e il gioco è fatto: la lingua il ragazzo se la inventa, da ultimo coniando un vocabolario fatto coi nomi dei deportati.  
Un tipico aneddoto da commedia all’italiana. Ma Perelman, ucraino naturalizzato canadese, forse per non ripetere Benigni (“«La vita è bella» naturalmente l’ho visto, ma non mi è piaciuto e non ha niente a che fare con la mia pellicola”), forse deviato da una sceneggiatura frettolosa, di luoghi comuni, lo sciupa. In un racconto interminabilmente lungo, benché i tedeschi siano di una sola pasta, stupidi tanto quanto crudeli. Con un finale inavvertitamente rovesciato: il tedesco buono (di famiglia poverissima, vivevano vendendo “acqua calda”, si è arruolato perché le camicie brune sfilavano erette, pasciute e cantavano, e perché il fratello aveva creato problemi al regime, finché non era fuggito a Teheran) è gabbato dall’ebreo furbo.
Vadim Perelman,
Lezioni di persiano

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