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domenica 16 gennaio 2011

La Resistenza fu più grande in Germania

Questa vicenda romanzata da Fallada Primo Levi disse “il libro più importante che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo”. Era anche il primo. E per molti aspetti fu l’ultimo fino a epoca recente. Levi è sempre veritiero con la Germania, nel bene e nel tanto male, ma è uno dei pochi a parlare di resistenza in Germania. Nemmeno la Germania ne parla, non molto.
Questo voluminoso romanzo di Hans Fallada, finito nel 1946, poche settimane prima della morte dell’autore e della pubblicazione a Berlino Est, che pure precede la saga che la resistenza avrà in Francia e in Italia, è scritto praticamente su commissione della nascente Repubblica Democratica. E la resistenza inquadra e celebra, anche nel titolo, come opera individuale, a volte maldestra, di poche persone, di scarsa qualità. Non per caso: è l’opinione che lo scrittore Rudolf Ditzen, “Hans Fallada” (il romanzo è in questa edizione corredato da una gustosissima biocritica dello studioso australiano Geoff Wilkes), espone nel contemporaneo “Sulla resistenza”, un saggio pubblicato sul mensile “Aufbau” già a novembre del 1945 (anch’esso riprodotto in quest'ottimo volume): è una resistenza morale più che politica. È una vera azione di resistenza che Anna e Otto Quangel, controfigure di Elise e Otto Hampel, denunciati e giustiziati nel 1943, si applicano, più degli attentati avventurosi negli Appennini e le Prealpi, più spesso a opera di ragazzi sbandati, e in questo il romanzo li segue, facendosi leggere con passione. Ma di una resistenza individuale, a tratti familiare, che non incide il corpaccione tedesco.
La Resistenza in Germania fu costante, diffusa e forte, più che in ogni altro paese europea. Il primo lager si apriva qualche giorno dopo il cancellierato di Hitler, e alla fine non bastarono cento a contenerli tutti: prima della Soluzione Finale i lager furono per dieci anni pieni di tedeschi, liberali, socialisti, comunisti, cattolici, cristiani, molti tedeschi sono morti contro Hitler, più che in qualsiasi altro movimento europeo di resistenza. Ma non si celebra. E costituisce un problema storico: che dimensioni e ragioni avesse, e perché non si celebra, non c’è in Germania una festa della liberazione. Sempre la Germania è eccessiva nella compiacenza e nel rifiuto, anche se inabile, stupida all’apparenza politicamente.
La resistenza fu diffusa: quanti complotti non hanno tentato i prussiani, i generali, i banchieri, i servizi segreti, la povera gente di Hans Fallada. Ma, è questo il suo primo limite, soprattutto fu aristocratica. Anche quando fu cattolica, socialista o comunista: Circolo di Kreisau, Circolo Solf, Rosa Bianca, Orchestra Rossa. La collera di Hitler fu feroce dopo l’attentato del 20 luglio 1944: settemila arresti e 5.684 esecuzioni, di ufficiali e gentiluomini. Più o meno i numeri del Terrore Rosso nel 1918, dopo l’attentato a Lenin, che registrò 6.185 fucilati, quattromila ostaggi e ventunmila carcerati. Se non che la reazione spaventò lo stesso Lenin, il quale la prima cosa che disse quando riprese conoscenza fu: “Fermate il Terrore”. Mentre Hitler i suoi li volle impiccati con corde di piano, lacci di cuoio, canaponi di mare, filmati da centinaia di troupes, a ganci da macellaio o ai pali della luce.
Fu anche popolare la resistenza contro Hitler, e vasta. Si vogliono i tedeschi obbedienti, ma molti si opponevano. Perfino tra i soldati. E tra gli artisti: qualcuno preferì emigrare, ripartire da zero. Stefan George, il poeta reazionario, scappò a morire a Minusio di Locarno, per evitare l’onta del funerale nazista. Ma, e questo è un altro problema storico, la Germania non ama gli esiliati, né gli oppositori in armi - se non sono völkisch, nazionali, contro un nemico esterno. Una parte fu socialcomunista, il che è anatema ancora oggi nella Repubblica Federale, una parte cattolica, e questo non si può dire in nessun posto. Quella del cardinale di Sant’Anastasia, l’arcivescovo di Monaco Michael von Faulhaber, quarto dei sette figli d’un fornaio e una contadina, malgrado la particella, amico del futuro papa Pacelli quand’era nunzio a Monaco, autore nel ‘34 del libro della tolleranza Judentum, Christentum, Germanentum, fu costante e professa fin dal ’23, dal putsch fallito nella birreria. Quando in Baviera si dispose la rimozione del Crocefisso a scuola la protesta fu tale che il decreto fu lasciato cadere.
Resistette pure la chiesa evangelica, che pure nella Germania alimenterà il dubbio sui benefici della democrazia: la Chiesa Confessante dei pastori luterani ebbe martiri Bonhöffer e Franz Kaufmann, di origini ebraiche. Franz, allevato nella chiesa evangelica, creò con Helene Jacobs uno dei circoli più attivi di resistenza al nazismo e in aiuto degli ebrei, con passaporti falsi e corridoi verso la Svizzera, che gli valse una denuncia per la sparizione di un’ebrea, il solito processo e l’esecuzione il 17 febbraio 1944 nel lager di Sachsenhausen. Resistette pure Heidegger, che nel 1934 disse: “La cattiva essenza falsifica la vera direzione e la muta in seduzione”, per una volta senza sottigliezze, “la Führung trasforma in Verführung” - la cattiva essenza è la mala erba.
I cento lager non bastarono, Hitler dovette moltiplicare le esecuzioni. A un certo punto il Plötzensee, il carcere presso Berlino dove sono state eseguite un quarto delle 16.560 condanne a morte accertate nel dodicennio nazista, fu attrezzato per esecuzioni simultanee, otto alla volta per impiccagione. Più tecniche sperimentali diverse: la ghigliottina piacque a Hitler che la sostituì all’ascia. Il record fu stabilito la notte del 7 agosto 1944, sempre a Plötzensee, con trecento ghigliottinati. Tutti i prigionieri che il carcere conteneva, per il timore che scappassero dopo il bombardamento del 3 agosto.
Rudolf von Scheliha, giustiziato nella retata dell’Orchestra Rossa a fine ‘42, era uscito con varie onorificenze da Verdun nel ‘17 ed era entrato dopo la guerra nel gruppo combattente Saxo-Borussia, in difesa dell’Alta Slesia. In diplomazia a venticinque anni nel ’22, aveva servito a Praga, in Turchia e in Polonia, dapprima console a Katowice, quindi all’ambasciata a Varsavia. Era stato dal ‘33 anche membro attivo del partito Nazista, benché contrario all’antisemitismo. Allo scoppio della guerra, richiamato a Berlino alla Propaganda del ministero degli Esteri, fece filtrare all’estero informazioni su quella che sarebbe stata la Soluzione Finale, e agevolò la fuga di ebrei e polacchi, in contatto col vescovo di Berlino von Preysing, che nel ‘38 aveva creato un’Organizzazione di sostegno per i cattolici non “ariani”, e anche per i non battezzati. Corroborati i sospetti sui lager da quanto vide in missione in Olanda nel maggio ‘40, von Scheliha uscì dall’opposizione solitaria e aderì al gruppo di Henning von Tresckow. Il colonnello von Tresckow, uno dei tanti ufficiali superiori ostili a Hitler, sarà scoperto e giustiziato dopo l’attentato del ‘44.
Contro Konrad Graf von Preysing-Lichtenegg-Moos, invece, anch’egli parte della congiura del ‘44, vescovo di Berlino, Hitler non osò. Il conte Konrad, quarto degli undici figli di Kaspar von Preysing e della contessa Hedwig von Walterkirchen, aveva avuto tardi la vocazione, a ventott’anni, dopo una formazione giuridica. Meno di vent’anni dopo, nel fatidico ‘33, era già vescovo di Berlino, benché critico dell’antisemitismo e l’eugenetica, alla morte del nazionalista Christian Schreiber, che aveva retto la diocesi per tre anni. Animatore del Circolo di Konnersreuth, un gruppo di resistenza della prima ora, il conte vescovo non si scoraggiò quando Hitler fece uccidere nel ‘34 Erich Klausener, che dirigeva l’Azione Cattolica di Berlino, e Fritz Gerlich, che l’aiutava a redigere la rivista Der gerade Weg, la retta via, e mise personalmente in salvo in Svizzera l’altro redattore, Ingbert Naab. Al culmine della potenza nazista ispirò l’enciclica "Mit brennender Sorge", con profonda preoccupazione, con cui Pio XI condannò nel marzo ‘37 le violazioni ripetute del Concordato, e ne curò la stesura e la diffusione clandestina in Germania.
Oltre che di Hitler, il vescovo di Berlino s’era assunta la funzione di oppositore esplicito del cardinale decano Adolf Bertram, che passò dalla netta opposizione al nazismo al silenzio, e infine, a guerra perduta, all’elogio personale a Hitler. Prima del 1933 il cardinale Bertram aveva più volte dichiarato il nazismo “eretico”, a motivo delle sue teorie razziali e nazionalistiche, e in materia di religione. In particolare era stato intransigente alla Conferenza episcopale di Fulda nel ‘32, quando proibì ai cattolici l’iscrizione al partito Nazista, col sostegno di Faulhaber e dei vescovi di Fulda, Johannes Dietz, di Münster, Clemens August Graf von Galen, un altro conte, di Colonia, di Paderbon. Hitler si vendicò accusando i preti di scandali finanziari e sessuali, e carcerando i giovani dell’Azione Cattolica, ma non osò attaccare i vescovi. Dopo la guerra von Preysing fu nominato cardinale, vescovo a Roma di Sant’Agata dei Goti.
Nella storia italiana se ne farebbero monumenti. Ma la colpa collettiva, una forma facile di creazione del Nemico, è stranamente cara ai tedeschi. Ancora oggi, a democrazia infine accettata, non hanno cuore di ricordare quei morti, che poi sarebbe un giorno di ferie pagato. La Repubblica Federale non si dà neppure una festa nazionale, un 20 luglio, una liberazione qualsiasi. E le pensioni ai nazisti liquida più rapida che alle vedove dei caduti per la Resistenza.
Non si celebra la Resistenza forse per pudore, dunque. O per l’idea, non inconscia, che non c’è colpa se c’era una giustificazione. E per il rifiuto della politica, sia pure “buona”. La Repubblica federale non può ammettere l’esistenza dei comunisti, mentre i socialisti preferiscono tacere. Con l’effetto, non casuale, di non obliterare Hitler, padre sempre ingombrante – mentre Mussolini, che fu (quasi) tutti gli italiani, si cancella agevolmente. È che la resistenza in Germania è senza copertura politica. E anche questo è un problema storico: perché, nel quadro del Komintern, la Germania non fu un nemico. Uno vero, non di propaganda, contro il quale organizzare le forze comuniste, con i rifugiati e i perseguitati. Per il comune antisemitismo? Per i vecchi legami del Pcus con lo Stato maggiore tedesco, costanti fino al 1942?
Più studiata è la debolezza della resistenza nella politica del dopoguerra, per la divisione e lo scontro tra le due Germanie. Che ora è trascurato, ma per quarant’anni fu l’ossessione della Repubblica Federale, di Adenauer come dello stesso Brandt,e una minaccia non dissimulata.
Il curioso è che nemmeno la Repubblica Democratica celebrava la resistenza. E questo porta forse all’origine del problema storico: la sindrome della “pugnalata alla schiena”. C’è una resistenza che piace, quella di Schlageter nel primo dopoguerra, contro i polacchi nella Slesia e contro i francesi nella Ruhr. Mentre è socialista ed ebreo il “colpo alla schiena” nel ‘18, ebreo e socialista il “complotto” che tenne la Germania in miseria per i quindici anni successivi. Il che forse non era vero, anzi senz’altro non lo è, ma tutti lo credevano, compresi i socialisti e gli ebrei. Anche se la “giustificazione” fu contestata all’epoca, con vivacità, con chiarezza, da non socialisti e non ebrei. L’impero germanico non è durato cinquant’anni, e la sua sconfitta, nel 1918, venne a furor di popolo imputata al tradimento. Di questo e di quello, di chi alla fine in realtà non si è accertato, e nemmeno cercato, ma il fatto è dato per certo. La conseguenza è che non ci devono essere tedeschi che lavorano contro il paese in guerra, per la pace per esempio, o contro il genocidio degli ebrei. Hitler non fu sempre in guerra, non in senso proprio, ma evidentemente lo era – e in alcune guerre vere e proprie, l’Anschluss, i Sudeti, la Slesia fino a Danzica e alla Prussia Orientale, evidentemente con ragione.
Oppure è la concezione del diritto, che in Germania è diversa - bisogna pensarci: non occidentale, non romana. Fallada fu impente alcolista con la prima moglie, morfinomane con la seconda, e sempre nazista, non pentito, eccetto gli ultimi tre anni, vissuti a Berlino Est da comunista. Morì nel 1947 lasciando 35 scatoloni e duemila lettere inedite. A un centro di Berlino Est che scoraggiò ogni studioso o semplice curioso. Sabine Lange, che fu per quindici anni la principale archivista del lascito di Fallada, e ne ha rivelato compromissioni e omissioni in “Fallada – Fall ad Acta”? il brutto archiviato?, è stata denunziata per questo in tribunale nel 2008 a Amburgo, in quanto pregiudizievole alla reputazione dello scrittore, e della Repubblica Democratica!
Hans Fallada, Ognuno muore solo, Sellerio, pp. 745 €16

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