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lunedì 26 marzo 2012

Letture - 91

letterautore

Αλιπόρφυρος – Il mare di porpora, nell’“Odissea”οΐνοπα ποντον (I, 183, VI. 170), il mare colore del vino, hanno dato parecchi grattacapi a traduttori e filologi. Il Rocci non aiuta, che tra l’altro per l’ οΐνοπα ποντον dà le indicazioni sbagliate. E rinvia a Arione, di cui nulla si tramanda, se non due accenni in Erodoto e Igino, la favola del delfino che lo salvò in acqua al ritorno da Taranto, restò spiaggiato, e divenne il simbolo di Corinto.
Il mare è l’elemento dell’“Odissea”, poema in ventiquattro libri e tredicimila versi. Ma una ricetta per l’οΐνοπα ποντον non si trova. Si dice solitamente purpureo, per non dire vinoso, o del cupo colore del mare agitato, violetto. Ma non è questo il colore dello Jonio, tanto meno dell’Egeo – né si può dirlo del Mediterraneo. Piace pensarlo usato con questa coloritura in senso lirico, traslato. Come lo usa Alcmane, che non ha più il vino ma direttamente la porpora, nella forma αλιπόρφυρος (fr. 26 della raccolta Page) e πορφυρέας άλός, femminile (fr. 89 P). E Arione, s’immagina, se a Punta Alice, non lontano da Taranto, l’antica Krimìsa venerava un Apollo Alèo, Apollo marino, di cui resta la testa. Saffo lo userebbe meglio, starebbe bene per amore: cangiante come il purpureo mare, scintillante. È la parola giusta in traduzione: scintillante, cangiante, brillante, sfavillante.
L’equivoco nasce dal fatto che la porpora è marina: “Spezie di Conchiglia marina, che ha il guscio simile a quello della chiocciola, e nella gola ha una vena bianca ripiena di sangue d’un color rosso bruno rilucente, parimente detto Porpora, che si adopera per tignere”, secondo il Vocabolario della Crusca, quarta edizione, 1729-1938. Oppure, secondo la rivista online “Zetesis”, dal fatto che la lirica greca rifà Omero, ma senza più i riferimenti reali dell’epoca di Omero. Già in Alcmane, seconda metà del secolo VIImo.
“Rivistazetesis” fa l’esempio del “Notturno” di Alcmane, il fr. 89 P, per dire “quanto sia difficile per il traduttore italiano trovare il giusto tono”. Per πορφυρέας άλός Pascoli ha “dell’iridato mare”. Fraccaroli e Aloni “del mar purpureo”. Quasimodo “nel fondo cupo del mare”. Valgimigli un “buio-ceruleo mare”. Mazzoni il “nereggiante mare” – così musicato da Federico Ghedini, 1892-1965. Perrotta il “mare di viola”. Pontani il “mare lucente”. Savino un “mare perlaceo”. Ferrari un “mare cangiante”. Il musicista genovese Pagani un “ma’’ de viola” (la cantata è su youtube). Una straordinaria sovrabbondanza, rileva la rivista, anche in traduttori solitamete misurati come Pascoli, a conferma della difficoltà della traduzione. A cui però non trova alternativa: Alcmane è “intraducibile”. E ciò per un motivo preciso: “Ogni parola e ogni immagine del brano di Alcmane ha precisi antecedenti in Omero. Alcmane è pienamente inserito in una tradizione poetica che non è più la nostra: per Alcmane “la terra è mélaina come il mare è purpureo, gli uccelli sono tanuptérugej e le fiere ðreskÐoi: è una preoccupazione nostra stabilire se il mare è purpureo perché ribolle o se purpureo allude a un colore (e in tal caso quale: un colore specifico, un’idea generica di scuro, un’idea di lucentezza brillante?)”… Come non detto.
Un vecchio trattato, introvabile anche in biblioteca, promette secondo le bibliografie la verità sul caso: Louis Deroy, “À propos du nom de la Pourpre: le vrai sens des adjectifs homériques πορφυρέος et αλιπόρφυρος”. Alcmane ha αλιπόρφυρος nel fr. 26 P, autobiografico: vecchio e non più agile, il poeta s’immagina di trasformarsi in Cerilo, l’alcione maschio, che da vecchio le femmine si portavano in volo sulle ali. Cerilo è apunto il “sacro uccello αλιπόρφυρος”. Qui l’allusione sarebbe al piumaggio cangiante. Anche αλιπόρφυρος ricorre nell’“Odissea” in senso poco chiaro: al VI, 306 è purpureo il fuso in mano alla madre solerte, al XII, 108 le ninfe tessono manti αλιπόρφυρα, variamente tradotti come manti purpurei, di porpora marina, mariniridescenti.

Avanguardie – Una grande foto sul “Sole 24 Ore” ieri mostra il gruppo degli artisti della Secessione a Vienna alla mostra di Beethoven nel 1902. Con pancetta, doppi menti, catene d’oro al panciotto, e sguardi furbi satolli – solo Klee mostra qualche tratto “tormentato”. Sarà così anche di molti futuristi, in testa il Comm. Cav. Grand’uff. F.T.Marinetti, - che non era il peggiore. Lo stesso si può dire del Gruppo 63, l’ultima avanguardia italiana, di cui resta Umberto Eco, uno zio.

Baudelaire – È istrionico. Una lettura palese, scontata perfino, ma singolarmente assente nelle ultime rivisitazioni, di Henri-Lévy e di Calasso. Nei rapporti familiari e negli atteggiamenti “politici”. Lo è tanto quanto è equilibrato (acuto, percettivo, aggiornato) nelle cronache letterarie e artistiche. È come lo disse Jules Vallès, “Littérature et Révolution”, riedito nel 1969, p. 327: “Non era il poeta di un inferno terribile, ma il dannato di un inferno burlesco”. Essendosi accorto presto che “poteva essere eccezionale sembrando singolare”. A uso di quei giornalisti “blasés che il mostro diverte: Baudelaire si fece mostro”.
Vallès fu a sedici anni tra i protagonisti delle barricate del 1848 a Parigi, Che Baudelaire snobbava. Anarchico fondatore del “Cri du Peuple”, il giornale della Comune, e deputato della Comune nel 1871, giustiziato per due volte in effigie dall’esercito di Versailles, poi per dieci anni esiliato a Londra, prolifico autore di romanzi autobiografici e molta critica letteraria.

In singolare parallelo, sotto il profilo psicologico, si può mettere con Aragon. Anche lui vittima di una madre ingombrante, a diverso titolo, e per questo mascherato – mascherato procede l’uomo cartesiano (“larvatus prodeo”, procedo mascherato, era il motto del filosofo).
Il caso più illustre di madre ingombrante, quello di Manzoni, ebbe invece esito opposto: retrattile invece che esibizionista. Ma Manzoni, non era mascherato anche lui?

Dante – Va (piace, funziona) anche in tempi di politicamente corretto – la vecchia ipocrisia. Lui che è così sboccato. Sì, c’è chi ne chiede la censura, alcuni islamici, alcuni ebrei, qualche prete. Ma le religioni religiose soprattutto se ne fanno scuso – l’epoca è secolarizzata.
Dante va bene anche per i laici? Per i massoni sì, poiché se lo sono avocato, ma per i secolari (areligiosi)? Dante ateo manca.

Non è filmico. Dalla “Commedia” ottime sceneggiature si possono ricavare, ma non un buon film è stato fatto. E anche le illustrazioni classiche, a partire dalla Cappella Strozzi nella chiesa di S. Maria Novella in Firenze e dal Camposanto di Pisa fino al Doré, Pinelli e Füssli, Beato Angelico incluso, così elusivo, Luca Signorelli a Orvieto, e Delacroix, sono pletoriche, di un horror indeciso per l’“Inferno”, soggetto prediletto, e il Purgatorio”, e del tutto inadeguate per il “Paradiso”.
La potenza dell’immagine verbale è irriducibile all’immagine fotografica, realistica?

Giallo – Quello all’inglese, Poirot, Miss Marple, Barnaby, Frost, è compartecipativo. Una forma di fantasy in cui le scelte agli incroci sono state già fatte tra i personaggi, e si lascia al lettore di individuarne la natura. In particolare di scoprire il colpevole. Sapendo che comunque tutto gli verrà spiegato alla fine. Il lettore è messo in gara col detective.

Kipling - Il racconto coloniale è democratico: illuminista, missionario, e vuole impegno. In letteratura, dice Kipling, l’autore può inventarsi la favola ma non la morale.

Odisseo – L’eroe dei furbi è dichiarato bello e nobile, al libro Tredicesimo, dalla “dea Atena occhio azzurro”, nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti. Che lo accarezza, e “sembra all’aspetto donna,\ bella e grande, esperta d’opere splendide”. Furbo, scaltro anche con gli dei, impudente, facondo inventore, mai sazio di prede, astuto, bugiardo fin dalle fasce, così lo vuole Atena in lungo encomio. E perciò “il migliore fra tutti i mortali\ per consiglio e parola”, e “docile, saggio, prudente”. Non si può, non si deve?, chiedere coerenza al poeta.

letterautore@antiit.eu

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ma è chiaro,il privato diventa politico quando si rifiuta la politica. Per un un motivo giusto o sbagliato. In sé è un indicatore, non di più.
Tocqueville