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lunedì 8 settembre 2014

Quanto poteva essere stupida la Grande Guerra

Una celebrazione irriverente della Grande Guerra, una enaurme satira della burocrazia in lotta contro gli Unni e per la Civiltà, “la salvezza del mondo, la democrazia, la libertà”. Una danza macabra, di fantasmi in figura di gendarmi, piantoni, Sorveglianti, Direttori e ministri dell’Ordine, lontani dalla trincea e quindi senza l’eroismo ma con lo stesso senso di putrefazione. Si ride, ma di collera.
Da settembre a Natale del 1917 Cummings passò tre mesi in stato di fermo, senza nessun capo d’accusa, a La Ferté-Macé. In Francia. Dove si era recato volontario alla dichiarazione di guerra Usa, con una onlus americana di ambulanze. Fu rinchiuso in uno stanzone, una chiesa sconsacrata, “la stanza enorme” del titolo, su pagliericci stessi per terra, a stretto contatto con un’umanità incolpevole e infelice, di belgi, polacchi, olandesi, qualche inglese e molti svitati. Tutti incapaci, eppure sospetti di disfattismo o spionaggio. “La stanza enorme” è il diario di quei mesi, sotto forma di schizzi dei personaggi coi quali Cummings convisse.
Nel 1917 Cummings aveva 23 anni, viveva a New York come pittore cubista, esponendo in collettive importanti, dopo cinque anni di studi a Harvard, di Greco e Inglese principalmente. Il futuro poeta-scrittore era allora espositore rimarcato di collettive importanti – la riedizione 1978 di questo che è considerato il suo capolavoro, a opera del biografo George James Firmage e del critico Richard S. Kennedy, su cui questa riedizione è modellata, contiene un centinaio di schizzi di personaggi e situazioni. Ed era pacifista. Figlio di un ministro Unitario di Boston, anch’egli di none Edward, Segretario Generale della World Peace Foundation. Ma i Cummings erano anche per Wilson, il presidente pacifista che il 6 aprile dichiarò guerra alla Germania. Il 7 aprile Cummings figlio si arruolò volontario nel servizio di ambulanze Norton-Harjes, una unità della Croce Rossa operativa in Francia. Per “spirito di avventura”, dice Kennedy, e per prevenire la leva obbligatoria, che poteva destinarlo al fronte combattente.
Sulla nave per la Francia fece amicizia con William Slater Brown, altro pacifista volontario, studente alla Columbia University of Journalism. Insieme passarono a Parigi un mese in ozio, in attesa dei documenti. Mandati infine al fronte, nelle retrovie, vi si annoiarono: il caposezione della Norton-Harjes li prese in antipatia e li mise ogni giorno di corvée, alle pulizie. Si proposero allora come aviatori: scrissero per candidarsi una lettera congiunta al sottosegretario alla Difesa per l’Aviazione. Benché, specificavano, non avessero nulla contro i tedeschi. La loro corrispondenza fa da allora controllata. Finché una lettera di Brown più svagata delle altre, in cui diceva che i soldati al fronte erano delusi e critici, non insospettì la censura. Brown fu arrestato, Cummings fu arrestato perché amico di Brown. A Capodanno del 1918 Cummings era già in casa del padre, che intanto aveva allertato con lettere polemiche il presidente Wilson – Brown lo seguirà a febbraio. Nel 1918 Cummings sarà arruolato come coscritto, ma restò nel Massachussets e fu smobilitato a novembre.
Il “gusto innato del ridicolo” che Cummings trova nella sua assurda prigionia si tramuta nell’assurdità della vita carceraria – sembra una vicenda di oggi, la prigione è immutabile: lo spreco, di personale, risorse, strutture, sia pure per un bicchiere d’acqua, gli orari, i divieti, le continue costosissime traduzioni, lunghe giorni per pochi chilometri, con l’impiego di due e tre gendarmi, andata e ritorno, senza cibo, in ceppi, e senza capo d’accusa, in attesa di una Commissione che decide ogni tre mesi, senza procedure. La minuziosità della narrazione contrapponendo al torpore - la stupidità essendo insapore, Cummings la mima. Un esercizio di bravura. Un delirio verbale e una sfida per il traduttore. Ma è operazione masochista. Infine esagerata, nel senso ubuesco e in quello swift-dickensiano, del dettaglio insistito.
Un romanzo di cui molto si scrive ma che è difficile leggere, della genialità che non avvince, per quanto simpatica. I cummingsiani si attardano del resto sui suoi vezzi: niente spazi dopo la virgola, il tutto maiuscolo, il tutto minuscolo (e.e.cummings…). Altre specificità tecniche si possono rilevare. L’intersezione “cubista” dei piani narrativi, delle figure e delle scritture. Le assonanze e quasi le identificazioni di significati diversi, avvertibili nell’originale - unearthly-unhealthy… Una forte sensibilità verbale, alle lingue e ai linguaggi, i gerghi, i parlati, i gesti, gli scherzi, alti e bassi, senza privarsi del gioco colto - “also sprach the balayeur, lo scopino invece che Nietzsche, in tre lingue. Che però schiaccia personaggi e situazioni. Un misto di “cattiveria e indulgenza” che non  ha giovato al suo capolavoro. I suoi personaggi finiscono macchiette senza spessore.
Una satira troppo buona
Avrebbe potuto essere il romanzo della stupidità della guerra. Lo è, ma stirato. L’avventura espressiva, che sempre tenterà Cummings, fin nelle fiabe e nella corrispondenza, è qui un procedimento ripetitivo, più puntiglistico che cubistico, deflagrante – “sinestetico” lo definisce Kennedy nella prefazione all’edizione 1978, che farà testo per le riproposte. Kennedy lo lega anche all’“impressionismo”, che dice “uno stile inventato da Stephen Crane e sviluppato da Joseph Conrad,  per cui le impressioni sono registrate come se emergessero alla coscienza del narratore” (il “discorso libero indiretto” che Pasolini riteneva di avere inventato per “esprimere la propria particolare concezione del mondo”), che può essere indigesto. Il mistilinguismo, un’altra prova di bravura, rende la narrazione più discorsiva per chi pratica le lingue, ma non più di tanto.
Cummings è un poeta, scrittore, pittore, drammaturgo in cerca sempre di riconoscimento. Amato dagli studiosi ma senza una cifra riconoscibile per il lettore. Questa che si ripubblica è l’edizione Fazi del 1998, a cura di Patrizia Collesi. Sulla base della riedizione Liveright 1978, ma con la traduzione sempre di Alfredo Rizzardi, la prima in italiano, 1962, per l’editoriale Opere Nuove.
“La stanza enorme” sta accanto agli altri grandi romanzi sulla Grande Guerra, ma da parente prolisso. E accanto egli altri testi che nel 1922 d’un colpo rinnovarono la scrittura inglese, l’“Ulisse” e “La terra desolata”, ancora da parente povero. Cummings aveva più titoli come innovatore: nel 1920, quando scrisse “La stanza enorme”, aveva già pubblicato “Tulips & Chimneys”, una prima raccolta innovativa di versi, e contribuito a “The Dial”, la rivista delle avanguardie, nonché scandalizzato il mondo americano dell’arte con alcune tele cubiste. L’assurdità e l’infelicità della sua storia di guerra Cummings allevia col sorriso. È questo che ne fa la peculiarità rispetto agli altri testimoni della Grande Guerra, Hemingway, Céline, Malaparte, Jünger. Ma ne limita la lettura. Dettaglista per evitare la rabbia e il dramma, si perde in una insostenibile minuziosità. Kennedy vi rintraccia l’impianto di Bunyan, “Pilgrilm’s Progress”, nella scenografia e nei dettagli. Ma è piuttosto Dickens, seppure in un universo carcerario.
Di successo subito, malgrado le polemiche dell’autore con l’editore americano, che aveva tradotto le (molte) espressioni francesi e tagliato una diecina di pagine. Nel 1934 è già tra  Modern Classics, con la benedizione di Hemingway e T.E.Lawrence. Nella sua prefazione a una riedizione 1932, Cummings spiega che non è un “romanzo di guerra”. Poiché la guerra lui non l’ha combattuta. E invece lo è, nelle retrovie è pur sempre guerra. Anzi, in un certo senso di più, perché la stupidità vi si distingue. Cummings si vuole patriota e buonista, e il formidabile nodo iniziale si scioglie in un’aneddotica piatta, senza caratteri, anche i nomi sono di maniera, e senza spessore. Non un “Comma 22” della Grande Guerra che quest’anno si celebra, ma una gulliveriana ripetitiva, remota.
E.E. Cummings, La stanza enorme, Baldini & Castoldi, pp. 431 € 18
Fazi, remainders, pp. XXXIV + 338, € 9,82
Free online (orig.) http://www.gutenberg.org/ebooks/8446

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