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giovedì 11 settembre 2014

Il femminicidio come opera d’arte

Fu un delitto dell’ipocondria, forse, Gesualdo era ombroso. O forse non un delitto, un dovere coniugale, per l’onore della famiglia, contro due amanti a tradimento nel letto coniugale. Un affare di principi e duchi, del resto, e quindi exlege: la ventiquattrenne Maria d’Avalos, la più bella del reame, sposa già in terze nozze del principe madrigalista, scopre infine la passione a ventiquattro anni con  l’avventuroso Fabrizio Carafa d’Andria. De Simone, amando molto il suo “”Principe dei gigli” pio musico, ancora non se ne capacita e ci costruisce sopra una cavalcata imbizzarrita, scalpitante. Una commedia musicale, seppure col latinorum e senza balletti. A volte purtroppo politicamente corretta, con l’antigesuitismo, il bisessualismo, i rovesciamenti, un tempo agudezas, il gossip, e perfino lo Stato-mafia (il complotto) – il caso, del resto, è di femminicidio. Ma disinibita e strafottente, come vuole essere la storia a Napoli. Nella confusione desimoniana dei registri, popolani e barocchi, dei sentimenti, delle virtù, che più spesso sono blasfeme, o rancide. Per ossimori costanti, com’è suo uso, che qui De Simone sottolinea anche verbalmente. Anche la religiosità vi è blasfema. Un’operazione costante, ad ogni scena, di ricostruzione-decostruzione. Con l’effetto, infine, di trascolorare il trucidume in elegia – ogni scena si costruisce su un madrigale.
“Confuse e caotiche pagine”, una stravaganza? Un capolavoro, forse, in musica. Per il lettore un “travestimento”, come dice il sottotitolo. Accentuato dall’appendice stravagante di Mariano Bauduin sull’indagine impossibile: Gesualdo era uno che “quella «sesta napoletana» che caratterizzerà tutta la produzione del Settecento napoletano, influenzando Mozart e Beethoven, … (gli) sembrava già rétro”. Affidata a Don Ciccio, che Gadda fece molisano non potendolo fare (paura dei fulmini vesuviani) napoletano, un commissario a cavallo di quattro secoli e due capitali, la Napoli di Gesualdo e la Londra di Jack lo Squartatore. Con “Alice”, lo psittacismo, o arte del’imitazione, John Dee col Libro Nero, e il Vecchio della Montagna.
Bauduin-De Simone sembra voler celebrare “l’arte della contraffazione”, la ricerca della verità nel falso, come la pepita nell’ammasso: “Il mondo delle cosiddette verità non è che un contesto di favole: di brutti sogni”. Per una verità tuttavia evidente: che “l’assassino, il «mostro», è l’immagine centrale dei nostri sogni, dei nostri incubi e, perché no, delle nostre certezze: uccidiamo qualcuno, qualcuno ci uccide”. “Centrale” forse no, ma per il resto sì: femminicidi siamo noi, maschi del Millennio (ma non bisognerebbe indagare pure il femminismo?)
De Simone ha già osato in commedia il riferimento indicibile. Di Pasolini che anch’egli fece della (sua) morte “opera d’arte\ relativa ai suoi versi” – come di Gesualdo il “delitto d’arte, degradato\ a scurrile romanzo d’appendice”.
Roberto De Simone, Cinque voci per Gesualdo, Einaudi, pp. 105 € 10,50

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