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venerdì 12 settembre 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (218)

Giuseppe Leuzzi

Sandra Savaglio, astrofisica, copertina di “Time” dieci anni fa sul tema “Come l’Europa ha perso le sue stelle scientifiche”, torna in Italia, professore di Astofisica a Cosenza. Di lei tutto si è raccontato e nuovamente si racconta. Dove è stata. Con chi vive – ha una compagna. Cosa mangia. Ma non che è calabrese. E che ha studiato e si è addottorata in Calabria, a Cosenza, prima di lavorare alla John Hopkins e al Max-Planck-Institut. Non per cattiveria, chissà: non collima con al donna del Sud.

Ci fu un’alluvione analogo nel Gargano quarant’anni fa, 1974, nello steso mese di settembre, forse lo stesso giorno. L’alluvione imperversò a Péschici, imponendo un trasbordo a piedi a mezzanotte sotto l’acqua battente essendosi le limousine impantanate nel guado. Fradici e tremanti, con infinite cautele, dopo qualche ora fu possibile riprendere la strada. Ma al centro vacanze Pugnochiuso del Gargano, di cui eravamo ospiti, il cameriere rifiutò il caffè, perché la colazione cominciava alle otto.

Non è “la Calabria” che si oppone ai Bronzi all’Expo, è la Sovrintendenza alle Belle Arti. Ma, gira e rigira, il “Corriere della sera” ne fa colpa alla Calabria, con Sergio Romano mercoledì 3: i Bronzi non sono calabresi, sono nazionali, i Bronzi hanno già viaggiato, in Calabria sono stati soltanto trovati… È il modo d’essere di Milano, l’arroganza – è l’arroganza che fa la ricchezza?

Aspromonte
“Anime nere”, il film di Munzi che Nanni Moretti proietterà in anteprima nel suo cinema romano martedì, si fa precedere da questa sinossi – la mettiamo in italiano: “Se nasci in Aspromonte il tuo destino è segnato. Molti giovani cercano di intraprendere un cammino alternativo e vanno a vivere altrove. Sono però costretti a tornare al luogo d’origine dove le dinamiche sono criminali e l’insegnamento tramandato dalla famiglia, che loro stessi hanno assorbito, è spesso crudele e duro da accettare. Ad una situazione già difficile si aggiungono una realtà familiare fatta di affetti e contraddizioni e un paesaggio straordinario. Una storia incentrata sul male che definisce i rapporti tra gli uomini”.
È una storia, tra l’altro di Criaco, uno scrittore di Africo, e quindi ha il suo sviluppo. Ne uscirà ancora un Aspromonte dark? È probabile. La montagna forse più solare. Anche se la gente vi è indubbiamente dark, cupamente rinchiusa in se stessa più che espansiva, volitiva. Si può immaginare che la natura conformi l’uomo o prenda il sopravvento su di esso, non solo per distruggere ma per ispirare e governare? Immaginare sì, si può. Ma l’uomo è tetragono, non malleabile come si pensa – adattabile ma non influenzabile. Non per il meglio.
Ma, essendo nato e cresciuto “in Aspromonte”, non vedo come si possa essere “segnati”. Personalmente non ne ho motivo. Sono, è vero, tra quelli che “cercano d’intraprendere  un cammino alternativo e vanno a vivere altrove”. Ma non potevo fare “in Aspromonte” quello che volevo fare – succede: c’è gente che non riesce a farlo a Roma, per dire la città più grande, o a Milano, la più ricca, e si deve spostare. E quelli che sono rimasti non li trovo “segnati”.
Da cosa dovrebbero esserlo? Dalla natura evidentemente no. Dalla povertà? Non più. Dalla mafia? Nell’Aspromonte non ce n’è più che altrove, e anzi meno, essendo la zona montuosa e meno ricca. Dai rapimenti di persona? Il mio paese ha avuto per alcuni anni, all’inizio del fenomeno, a partire da quello di Ercole Versace nel 1963, il record dei rapimenti di persona, sette o otto. Locali, e quindi per decine di milioni e non per centinaia, ma più redditizi, perché il riscatto non andava diviio, o diviso poco. Poi uno dei due rapitori “professionali” s’è infermato, un altro è morto, e il fenomeno è finito – trasmigrato probabilmente, essendo tutto lucro e niente rischio, da loro conoscenti sull’altro versante dell’Aspromonte, a Platì-San Luca.
Una cosa che nasce e muore così non ha nulla di etnico o razziale, o segnato: è un fatto di ordine pubblico. Nella fattispecie, i Carabinieri non intervenivano per due motivi: che era un reato minore, patrimoniale (i Carabinieri non proteggevano allora la proprietà privata), e che ai rapiti veniva chiesto un riscatto equivalente alle somme che avevano percepito d’integrazione comunitaria alla produzione di olio - Ercole Versace no, ereditava dal padre.
Si commettono delitti anche nell’Aspromonte, più spesso inspiegabili. Ma questo succede in tutte le zone di montagna, per l’angustia delle valli, che con l’isolamento inducono ai fantasmi – Jean Giono, nel suo “Viaggio in Italia”, li trovava “normali” nelle Alpi. O per “l’aria dell’Engadina” di Montale  (“Ventidue prose elvetiche”, p. 74): per l’aria “secca, elettrica, eccitante, sottile, che favorisce la pazzia” .
Il fatto in sé è poco significativo. Una tramina non è un film. E l’Aspromonte non ha buona fama. La protagonista del film Bobulova candidamente ha raccontato dei suoi giorni a Africo per un paio di scene: “Quando volevo andare a prendere un caffè al bar, la produzione mi diceva di non andare da sola. Ma ogni tanto scappavo, e non è mai successo niente”. Dice anche che la polizia aveva sconsigliato il regista di girare in quei luoghi, e questo già cambia le cose – tanti film sono stati girati in Aspromonte, per dire, “e non è mai successo niente”, da Germi a Terence Hill e Lucio Dalla. Ma perché pretendere che “una storia incentrata sul male che definisce i rapporti tra gli uomini” segni l’Aspromonte?

Si può viaggiare “in Aspromonte” anche con la morte nel cuore, perché no. Ma per la sporcizia, perché i sindaci non fanno pulire le aree di pic-nic che si sono affrettati ad attrezzare. O, peggio, perché la Forestale non sa tenere i boschi. Che sono ancora verdi e verdissimi, l’Aspromonte è verde fino al cocuzzolo, ma dentro bacati: fitti e marci, senza luce, senza aree di rispetto, preda designata del primo fiammifero incauto.
Sono una decina danni che in Aspromonte non si producono incendi, ma è un miracolo. Uno dei tanti che non si sanno e non si dicono.

Io ho sempre marciato libero nell’Aspromonte, da quando avevo tredici anni e quindi in età remota. Con gli amici o anche con gruppi di estranei. Non solo in libertà, ma con piacere, poiché è una montagna gradevole, senza difficoltà, piena di scorci, tra i mari, sui quali sempre si apre, di sorgenti, di torrenti e cascate, di vestigia greche, bruzie, romane, bizantine, di bizzarre geologie. Di funghi naturalmente, specialmente pregiati dall’industria conserviera svizzera, e più giù di castagni, meleti, uliveti.
La libertà oggi si apprezza soprattutto rispetto all’affollamento: la cattiva fama può non essere nociva, non al turista o visitatore occasionale. Al residente magari no, ma a un artista o scrittore, anche a un semplice passeggiatore, non si può chiedere di fare politiche di sviluppo. Si possono ancora praticare i sentieri in libertà, ascoltare le voci della montagna, sentire il vento. A ogni passo, ogni valico, ogni anfratto, ogni rivo una sorpresa. Sulla tela di fondo del silenzio, non muto, la solitudine, la purezza dell’aria, la montagna dà questo privilegio, quando non è antropizzata.
Camus ha “la fortuna di essere nato povero in mezzo alla bellezza”, lui che visse triste i successi di Parigi, politici, filosofici, letterari, nell’animo sempre i giorni luminosi dell’infanzia ad Algeri, dove pure era figlio rifiutato. Povero, cioè indifeso, per distrazione, per consuetudine. Gli “elementi” possono dare splendore e gloria anche agli inermi e ai distratti: il sole, la luce, l’acqua, del torrente Petrilli alla pietra Grande, della sorgente, delle trote a punta gialla, delle trasparenze, delle iridescenze, della rugiada per esempio la mattina al primo albore. Si vive a propria  insaputa. Si è vissuti dagli eventi, dagli ambienti.

L’asse
Può darsi che lady Alison Deighton, immobiliarista britannica ecocompatibile, consorte di lord Deighton, l’uomo dell’Olimpiade di Londra, ex Goldman Sachs, sottosegretario al Tesoro, non dica la verità. Ma poiché il “Corriere della sera” le dà una pagina, non può mentire: ha comprato dei terreni a Nardò, li ha risanati, ha progettato un resort di lusso, tra l’entusiasmo del sindacò e la gratitudine della popolazione, ma la cosa non si può fare, la Regione nega l’approvazione. Senza un motivo. Destinazione d’uso? Impatto ambientale? Tutto a posto, ma…
È un caso di ordinaria corruzione: la signora non ha unto le persone giuste. Lo sanno tutti. Non è nemmeno vero che l’amministrazione di Nardò è d’accordo. Non più da quando, nel 2011, è sindaco l’avvocato Righi, espresso dal’asse Sel-Udc – Vendola-Casini per intenderci. Righi che era vicesindaco di Antonella Bruno, con la quale Alison Deighton aveva avviato il progetto. Poi alle elezioni si è smarcato in proprio, come Udc, e s’è messo con Vendola. Al secondo turno ha avuto i voti obbligati del Pd e ha vinto. Dopodiché il no.
Non il no, il ni Udc. La signora Deighton ha traccheggiato, poi s’è rivolta in Regione. Che ha preso a dire no senza motivo. La signora è stata mal consigliata o non sapeva che in Italia i patti si osservano, e Vendola, l’estrema sinistra in Regione, ha patteggiato con Casini. La prova? Ultimamente lady Deighton ha chiesto udienza a “un responsabile regionale molto in alto”: mezz’ora per non dire niente. È la prova del nove: il dirigente è parte del “ni”, oppure non lo è ma sa chi ne è parte e tace.
Questo la signora non lo dice – non può. Ma tutti lo sanno. Tutti, apparentemente, eccetto il “Corriere della sera”. Che ne incolpa l’“Italia”, il “Sud”,  la cattiva burocrazia.    

L’omertà in Germania
I pestaggi nazi, un tempo delle “zecche” ora degli immigrati, avvengono per la strada in Germania senza che nessuno mai intervenga. Lo nota in alcuni dei suoi racconti Carmine Abate, sicuro germanofilo.
L’omertà vige in Germania come in Italia, non solo al Sud, solo che non ha nome. Fa parte della più generale superiorità, per cui i difetti sono degli altri. Un tedesco può dire che l’italiano è spaghettaro, mandolinaro, mafioso, perché è la realtà. Un italiano non può dire i tedeschi ubriaconi e violenti, anche se è la realtà. L’omertà vi si intreccia infatti con una propensione alla denuncia anonima ineguagliata.
In “Gentile Germania”, volendo tracciare al Nord qualcuno dei tanti vizi che si imputano congeniti al Sud, abbiamo incontrato pure l’omertà, giuridica, storica:
Nei pochi processi istruiti non ci furono testimoni delle stragi in guerra, sono reticenti pure gli storici, sospetti di lesa patria.
L’omertà è categoria non definita, è sociologia di caserma, dei carabinieri, ma di essa è parte certa la negazione, pure dell’evidenza. Speer ha scritto mille pagine sugli anni con Hitler senza vedere né sentire nulla. Oltre che da Hitler e Goebbels, che incontrò a pranzo e a cena tutti i giorni per dodici anni, Speer non seppe nulla dal suo miglior amico, il dottore generale Karl Brandt, che finì settantamila persone per pietà, e molte infettò a fini scientifici”, etc.

leuzzi@antiit.eu

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