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L’Italia post-Fiat
“Nei prossimi cinque anni alle imprese
serviranno fino a 3,7 milioni di addetti”, calcola “Il Sole 24 Ore”. “Fino a”
può anche voler dire due milioni, o meno. Ma la verità della cosa è che il problema
dell’Italia non è, non più dopo un secolo o due, il lavoro, l’occupazione. Anzi il contrario, se in cinque anni in Italia non
si troveranno tre o quattro milioni di lavoratori, neanche con l’immigrazione.
Si dovrà supplire con gli investimenti.
Ed era l’ora. Dopo anni e decenni di produttività stagnante, se non calante. Che
ha impoverito l’Italia nel mentre che la arricchiva – ne ha impoverito la forza
e il potenziale (tecnologico, innovativo,
intraprendente) o, come suole dirsi, il futuro.
È la strada per migliorare i redditi, la
distribuzione del reddito attraverso il lavoro. Sociologicamente la
ricostituzione di un ceto medio-piccolo, da un trentennio buono sempre più
asfittico, dai due milioni di licenziamenti in due anni per effetto della
globalizzazione - è la fascia che muove i consumi. E per liberarsi infine definitivamente
della “Fiat”, del complesso automotive
che era il nucleo centrale del sistema industriale. Di cui ha determinato la
debolezza ingovernabile da quattro o cinque anni in qua – dalla morte di
Marchionne e l’abbandono degli Elkann.
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