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giovedì 14 febbraio 2008

Merini, o la gioia del dolore

Alda Merini prosegue nel suo triplice sentiero di poesia ispirata, con pubblicazioni regolari di testi d’occasione per le plaquettes di Acquaviva, di testi religiosi per Frassinelli, con nota di monsignor Ravasi, e di raccolte tematiche o temporali di versi e prose. È una promessa che ogni volta non disattende, pur nella prolificità. Ed è un miracolo, il segreto forse della “pazza della porta accanto”, uno dei suoi titoli felici: una forte presenza, di una personalità molto strutturata. Alla narrativa così ben strutturata, nelle immagini, la storia, la teologia, della "personale cappella letteraria" (Ravasi) alternando il segreto felice della schizofrenia controllata, che sulla sensibilità del poeta innesta poesia: impressionante è sempre la freschezza, di ritmi, di sensazioni, di cultura.
Alda ha il dono della sensibilità poetica che può non essere sentimentale (morale). È l’effetto della malattia, questo superamento della sensiblerie? O è, semplicemente, una macerazione di cultura – il Weltschmerz è senz’altro una Zeitgeschichte? Ha il dono della parola come un pittore dei segni. O come uno scultore: pensa a se stessa di se stessa come il ricettacolo dei dolori del mondo, da vecchia adolescente, e invece scalpella tornito. E ha la capacità di scrivere, a volte, all’istante. Senza misure laboriose, e senza cancellature, senza ripensamenti. Su ispirazione anche procurata. Non avrà scritto “Francesco” in pochi minuti dopo una telefonata da Assisi dell’editore, Arnoldo Mosca Mondadori, come lo stesso editore asserisce, l'opera ha un filo narrativo sottile, studiato, ma certo è fertile.
La domanda si rincorre, se la sua non sia poesia oracolare, la reincarnazione del poeta vate, dello spirito profetico che la parola ne fa divina. Specie per le pièces di soggetto religioso, che scopertamente sono costruite su stilemi evangelico-biblici. L’“ispirazione” in realtà Alda costruisce sulle parole, chi ha pratica di Hölderlin lo stesso meccanismo ritrova ben collaudato. Non sul senso ma sul suono, da cui elabora assonanze, polisemie, piani di linguaggio. Ma il vocabolo, è questo il mistero, finisce per essere sempre appropriato, più spesso direttamente, senza vincolo ermeneutica, la parola è usata nel suo significato giusto. Si può dirla la Sibilla di Eraclito: “La Sibilla con bocca folle dice, attraverso il dio, cose senza riso né ornamento né unguento”. Dice cose.
Alda Merini, Canto Milano, Manni, pp.110 €12
Francesco. Canto di una creatura, Frassinelli, pp. 142 € 14
Rose volanti, Acquaviva, pp. 70 € 9

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