skip to main |
skip to sidebar
Pasolini, il fratello Guido, e la Resistenza
Guido, Guidalberto detto Guido, nome di battaglia
Ermes (come Ermes Parini, scriverà Pier Paolo a Luciano Serra - il grande amico,
insieme con Serra, di Pier Paolo agli studi a Bologna, poi morto in Russia), entrato
nella Resistenza di soppiatto – senza dirlo alla madre, ma sì al fratello - nel
maggio del 1944, con le formazioni della Brigata Osoppo, sette mesi dopo viene
ucciso dai partigiani della brigata Garibaldi. Lui come molti altri della
Osoppo, nell’“eccidio di Porzûs”, a tradimento, in un’operazione accuratamente
preparata dai “garibaldini” con gli sloveni, che fece 17 vittime, nell’arco di
dodici giorni, fra 7 e il 18 febbraio del 1945. “Uno degli episodi più
drammatici della Resistenza”, dice l’editore. In realtà, una strage perpetrata
con accuratezza, programmata e disposta dal commissario politico del Pci a
Udine, nel quadro di un progetto che voleva la Carnia liberata per l’annessione
alla Jugoslavia del compagno Tito.
Pier Paolo ne scriverà diffusamente, ma in
“scartafacci” mai approntati per essere pubblicati. Il volumetto non è una
“lettera”, ma un misto di appunti commemorativi, poesie (in friulano, dai
“Chous in muàrt di Guido” e in italiano, “La passione del ‘45”), lettere
familiari in cui si fa cenno a Guido e ala sua morte. Materiale sparso,
riordinato da Graziella Chiarcossi. Con più di un motivo d’interesse –
latitando una vera biografia di Pasolini. Specie una lunga dettagliata lettera
di Guido dalla montagna a Pier Paolo (c’erano contatti, si facevano anche incontri:
Pina Kalc ne racconta qui uno balordamente avventuroso al quale accompagnò la
madre Susanna), in cui spiega il tradimento di sloveni e garibaldini. E la
lunga lettera di Pier Paolo a Luciano Serra a Bologna, a Ferragosto del 1945, in
cui spiega lo spirito avventuroso, fin da da bambino, del “buono” e “generoso”
Guido, “che è stato per vent’anni sempe vicino a me, a dormire nella stessa
stanza, a mangiare alla stessa tavola” – e si professerà anche lui, come Guido
e come Serra, “azionista” (Serra ricorderà Guido con un articolo un mese dopo
su “Giustizia e Libertà”, un periodico bolognese del Partito d’Azione che recuperava
la testata di Carlo Rosselli).
La commozione dura poco – più sentita è peraltro per
la madre, in mezza paginetta. I primi “scartafacci” narrativi di Pasolini,
“Amado mio” e “Atti impuri” (pubblicati nel 1982 ma scritti prima del 1950) non
fanno caso del fratello morto - e così tragicamente. Il protagonista senza nome
di “Atti impuri” fa tutto quello che Pasolini faceva a Casarsa e Versuta: la
scuola, la poesia, le sagre, i balli, i boschetti appartati lungo il fiume. Per
un lungo tratto il racconto è anche, caso unico nella enorme produzione
pasoliniana, dell’amica degli anni di guerra a Casarsa, la violinista Pina Kalc,
sotto il facile adattamento in Dina. Ogni tanto ricorre Guido, ma incidentalmente,
per la notizia della morte, per “i tremendi mesi del lutto”, per il lutto
stranamente breve, per una messa in suffragio. In questo ultimo caso
sacrilegamente: le pratiche con un ragazzo di cui non sa il nome lo hanno
eccitato tutta la notte, dice l’io narrante, “sì che stamattina (una giornata
finalmente splendida di sereno) mentre si celebrava una Messa nella chiesetta
di Viluta in suffragio di mio fratello nell’anniversario della morte,
assistendovi non riuscivo a staccare da me quel volto, che mi colmava di una
sfibrante dolcezza” – e continua: “Vivevo tutto nel mio ricordo troppo recente,
nel contatto ancora fisico con quel ragazzo fino a ieri straniero, che mi era
stato più vicino di quanto lo sia mai stata mia madre”.
Resta in questa “lettera” l’interesse per il Pasolini
mancato partigiano – e non per caso. Della Resistenza lo indigna il cinismo,
nella reazione a caldo, quando ha avuto notizia dell’eccidio. Dopo la
Liberazione, dopo tre mesi o quattro dall’eccidio - e confusamente (la
“lettera” propriamente detta, il primo testo della raccolta, è datata 12 maggio
1945). I sopravvissuti sono reticenti, “per paura dei comunisti”. Mentre a
Udine, “il giorno della liberazione, il capo della Garibaldi e il capo della
Osoppo si sono baciati” – notevole anticipazione del compromesso storico, poi
partito Democratico. Ma già prima degli eventi, niente pathos sulla Resistenza:
“Tu avevi molta fiducia negli uomini, sei andato a metterti proprio in messo
alle loro beghe, credendoli affari di qualche importanza”. La pensava come Pavese - quello del cosiddetto taccuino segreto, che di fatto sono interlocuzioni, domande a se stesso - al quale però si imputa per questo grave colpa.
Le brigate Osoppo-Friuli erano state fondate a Natale
del 1943, al coperto del seminario di Udine, da volontari democristiani e
laico-socialisti (azionisti), in funziione anti-tedesca e anti-slava. L’eccidio di Porzûs, di
cui rimase vittima anche Guido Pasolini, avvenne fra il 7 e il 18 febbraio
1945, e fece 17 vittime. A opera di partigiani “garibaldni”, cioè del Pci che
operava per l’annessione della Carnia alla Jugoslavia di Tito – che Tito aveva
già liberato. Le responsabilità sono state accertate: non c’è solo la lettera
di Guido a Pier Paolo, testimonianze e prove si sono accumulate, anche in sede
giudizairia. Ma la vicenda è scarsamente ricordata e poco studiata, se non in
ambito locale.
Una pubblicazione necessaria, per quanto modesta -
che pur nella imminenza dei cinquanta anni della morte di Pasolini, non ha
avuto una sola eco.
Pier Paolo Pasolini, Lettera al fratello,
Garzanti, pp. 95 € 5,90
Nessun commento:
Posta un commento