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mercoledì 22 ottobre 2025

Pasolini, il fratello Guido, e la Resistenza

Guido, Guidalberto detto Guido, nome di battaglia Ermes (come Ermes Parini, scriverà Pier Paolo a Luciano Serra - il grande amico, insieme con Serra, di Pier Paolo agli studi a Bologna, poi morto in Russia), entrato nella Resistenza di soppiatto – senza dirlo alla madre, ma sì al fratello - nel maggio del 1944, con le formazioni della Brigata Osoppo, sette mesi dopo viene ucciso dai partigiani della brigata Garibaldi. Lui come molti altri della Osoppo, nell’“eccidio di Porzûs”, a tradimento, in un’operazione accuratamente preparata dai “garibaldini” con gli sloveni, che fece 17 vittime, nell’arco di dodici giorni, fra 7 e il 18 febbraio del 1945. “Uno degli episodi più drammatici della Resistenza”, dice l’editore. In realtà, una strage perpetrata con accuratezza, programmata e disposta dal commissario politico del Pci a Udine, nel quadro di un progetto che voleva la Carnia liberata per l’annessione alla Jugoslavia del compagno Tito.
Pier Paolo ne scriverà diffusamente, ma in “scartafacci” mai approntati per essere pubblicati. Il volumetto non è una “lettera”, ma un misto di appunti commemorativi, poesie (in friulano, dai “Chous in muàrt di Guido” e in italiano, “La passione del ‘45”), lettere familiari in cui si fa cenno a Guido e ala sua morte. Materiale sparso, riordinato da Graziella Chiarcossi. Con più di un motivo d’interesse – latitando una vera biografia di Pasolini. Specie una lunga dettagliata lettera di Guido dalla montagna a Pier Paolo (c’erano contatti, si facevano anche incontri: Pina Kalc ne racconta qui uno balordamente avventuroso al quale accompagnò la madre Susanna), in cui spiega il tradimento di sloveni e garibaldini. E la lunga lettera di Pier Paolo a Luciano Serra a Bologna, a Ferragosto del 1945, in cui spiega lo spirito avventuroso, fin da da bambino, del “buono” e “generoso” Guido, “che è stato per vent’anni sempe vicino a me, a dormire nella stessa stanza, a mangiare alla stessa tavola” – e si professerà anche lui, come Guido e come Serra, “azionista” (Serra ricorderà Guido con un articolo un mese dopo su “Giustizia e Libertà”, un periodico bolognese del Partito d’Azione che recuperava la testata di Carlo Rosselli).
La commozione dura poco – più sentita è peraltro per la madre, in mezza paginetta. I primi “scartafacci” narrativi di Pasolini, “Amado mio” e “Atti impuri” (pubblicati nel 1982 ma scritti prima del 1950) non fanno caso del fratello morto - e così tragicamente. Il protagonista senza nome di “Atti impuri” fa tutto quello che Pasolini faceva a Casarsa e Versuta: la scuola, la poesia, le sagre, i balli, i boschetti appartati lungo il fiume. Per un lungo tratto il racconto è anche, caso unico nella enorme produzione pasoliniana, dell’amica degli anni di guerra a Casarsa, la violinista Pina Kalc, sotto il facile adattamento in Dina. Ogni tanto ricorre Guido, ma incidentalmente, per la notizia della morte, per “i tremendi mesi del lutto”, per il lutto stranamente breve, per una messa in suffragio. In questo ultimo caso sacrilegamente: le pratiche con un ragazzo di cui non sa il nome lo hanno eccitato tutta la notte, dice l’io narrante, “sì che stamattina (una giornata finalmente splendida di sereno) mentre si celebrava una Messa nella chiesetta di Viluta in suffragio  di mio fratello nell’anniversario della morte, assistendovi non riuscivo a staccare da me quel volto, che mi colmava di una sfibrante dolcezza” – e continua: “Vivevo tutto nel mio ricordo troppo recente, nel contatto ancora fisico con quel ragazzo fino a ieri straniero, che mi era stato più vicino di quanto lo sia mai stata mia madre”.
Resta in questa “lettera” l’interesse per il Pasolini mancato partigiano – e non per caso. Della Resistenza lo indigna il cinismo, nella reazione a caldo, quando ha avuto notizia dell’eccidio. Dopo la Liberazione, dopo tre mesi o quattro dall’eccidio - e confusamente (la “lettera” propriamente detta, il primo testo della raccolta, è datata 12 maggio 1945). I sopravvissuti sono reticenti, “per paura dei comunisti”. Mentre a Udine, “il giorno della liberazione, il capo della Garibaldi e il capo della Osoppo si sono baciati” – notevole anticipazione del compromesso storico, poi partito Democratico. Ma già prima degli eventi, niente pathos sulla Resistenza: “Tu avevi molta fiducia negli uomini, sei andato a metterti proprio in messo alle loro beghe, credendoli affari di qualche importanza”. La pensava come Pavese - quello del cosiddetto taccuino segreto, che di fatto sono interlocuzioni, domande a se
 stesso - al quale però si imputa per questo grave colpa.

Le brigate Osoppo-Friuli erano state fondate a Natale del 1943, al coperto del seminario di Udine, da volontari democristiani e laico-socialisti (azionisti), in funziione anti-tedesca e anti-slava. L’eccidio di Porzûs, di cui rimase vittima anche Guido Pasolini, avvenne fra il 7 e il 18 febbraio 1945, e fece 17 vittime. A opera di partigiani “garibaldni”, cioè del Pci che operava per l’annessione della Carnia alla Jugoslavia di Tito – che Tito aveva già liberato. Le responsabilità sono state accertate: non c’è solo la lettera di Guido a Pier Paolo, testimonianze e prove si sono accumulate, anche in sede giudizairia. Ma la vicenda è scarsamente ricordata e poco studiata, se non in ambito locale.
Una pubblicazione necessaria, per quanto modesta - che pur nella imminenza dei cinquanta anni della morte di Pasolini, non ha avuto una sola eco.
Pier Paolo Pasolini, Lettera al fratello, Garzanti, pp. 95 € 5,90

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