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I quattro tempi del cinema
Il cinema, “certo, non è la vita, è l’invenzione
della vita, è un dialogo continuo con la vita”. È anche, come “Frank Capara disse:
«Il cinema è una malattia”». Io l’ho presa molto presto”. Da bambino. I suoi
festeggiavano col cinema. In casa non c’erano libri, il bambino soffriva di
asma, e quindi non poteva fare sport, il tempo libero si passava al cienma. E
per il bambino era “qualcosa di magico che cadeva lassù sullo schermo… Quando
entravamo, per me era come entrare in uno spazio sacro, una sorta di santuario dove
il mondo vivente intorno a me sembrava ricrearsi e realizzarsi”.
Il cinema visto con gli occhi di poi, caricando la
memoria di effetti forse successivi. Da grande, che cos’è il cinema? “Prima di
tutto, c’è la luce”. Come in ogni creazione, a partire dalla prima – “che significa
la creazione delle forme”. O come usa dire, vedere qalcosa “alla luce” di qualcos’altro.
“E poi c’è il movimento”. Qualcosa, questo “bisogno di catturare il movimento”,
che già urgeva “30 mila anni fa nelle pitture rupestri di Chauvet”. Si discute
chi ha “inventato” il cinema. Edison in America, i fratelli Lumière in Francia,
Friese-Greene e R.W.Paul in Inghiltera. E Aedward Muybridge. E le pitture
rupestri.
Il film dei fratelli Lumière che fu il primo
proiettato per un pubblico mostra un treno in arrivo alla stazione. È “il terzo
aspetto del cinema che lo rende così straordinariamente potente: è l’elemento
del tempo”. Il cinema si può dire “frammenti
di tempo”, come James Stewart lo disse in conversazione con Peter Bogdanovich.
E poi c’è Méliès, “il cui contributo al cinema delle
origini è al centro di ‘Hugo Cabret’: iniziò come mago e le sue immagini
furono trasformate in parte del suo spettacolo di magia dal vivo. Creò trucchi
fotografici e sorprendenti effetti speciali artigianali, e così facendo ricreò
la realtà”.
Poi è venuto il montaggio,
“tutto è stato portato oltre con il taglio”. Forse con Edwin S. Porter, 1903, “La
grande rapina al treno”, che passa in continuo dall’interno all’esterno del
vagone: “È questo è il quarto aspetto del cinema che è così speciale. Quella
deduzione. L’immagine con gli occhi della mente”.
Il miracolo è questo: “Per
me è lì che è nata l'ossessione. È ciò che mi fa andare avanti, non smette mai
di emozionarmi. Perché fai un'inquadratura, la unisci a un’altra e vedi una
terza immagine nella tua mente che in realtà non esiste in quelle altre due”.
Ejzenštejn ne ha scritto, chiamandolo “montaggio intellettuale”, e ne ha fatto
il centro della sua tecnica cinematogratfica. “Questo è ciò che mi affascina –
a volte è frustrante, ma sempre emozionante: se modifichi la tempistica del
montaggio anche solo di pochi fotogrammi, o anche di un solo fotogramma, allora
anche quella terza immagine nella tua mente cambia”.
Martin Scorsese, The Persisting Vision: Reading
the Language of Cinema, gratuito online (leggibile anche in italiano: La
visione persistente. Leggere il linguaggio del cinema)
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