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venerdì 13 dicembre 2013

Il linguaggio messo a nudo

Le “fourmis” del racconto di apertura sono piuttosto formicolii: li sente il soldato appollaiato, dopo una campagna al fronte, su una mina che scoppierà a rilascio di pressione. Uno che insomma il racconto ci fa in punto di morte, di corpi che s’afflosciano, lacerti che volano, teste , braccia, gambe mozzate, e buchi che si aprono nei petti. Una raccolta dei primi racconti, brevi, che si direbbero moralità: la guerra quale è, gli sbirri manganellatori, di guardia al Partito Conformista, la tortura dei compagni di viaggio in treno, il fornaio usuraio del sudore della fronte con cui condire il pane. Ma sono già Vian: un inventore, uno scopritore, e un trasformista. Delle cose e della lingua.
È una proposta che è una sfida. Le riproposte di Vian sono timide nella stessa Francia, ma in Italia sono ancora tabù, anche se la censura del conformismo dovrebbe essere caduta. Ma sono per il lettore un godimento.
Vian è una sfida anzitutto per il traduttore. È considerato autore faceto, del genere burlesco. Ma racconta come un Savinio più liberamente visionario – meno controllato ma con la stessa “leggerezza profonda”, o il “profondismo”, aborrito, lieve. E scrive come poi Robbe-Grillet e Godard e la Nouvelle Vague del cinema, per salti “logici”, il dopo-prima, e viceversa, il sopra-sotto, il davanti-dietro, etc,. Si legge, a quasi settant’anni dalla morte, per questo. I racconti, questi racconti in particolare, tra i primi suoi, sono soprattutto del denudamento del linguaggio. Dei suoi clichés il giocoso Vian è un feroce cacciatore.
Boris Vian, Le formiche, Marcos y Marcos, pp. 270 € 10

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