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sabato 14 dicembre 2013

Letture - 156

letterautore

Ermetismo – Prende il nome da Ermes. Messaggero degli dei e psicopompo, accompagnatore degli spiriti nell’aldilà. Ma è anche un sorta di Ulisse divino, così nell’“Inno omerico” a lui intitolato e dopo, dalle molteplici risorse (polùtropos), astuto, ladro, stimolatore dei sogni. Ridotto in letteratura all’espressione asintattica, e avulsa, a mero suono.

Fellini – È ancora il Grande Rimosso, il poeta e social scientist più attento e veritiero dell’Italia repubblicana. Dalla “Strada”, anzi dallo “Sceicco bianco”, a “E la nave va” o “Prova d’orchestra”, ottimista nello sfacelo, o al “Viaggio di G.Mastorna”, l’autobiografia storica a quattro mani con Dino Buzzati che non poté mai girare, di cui si pubblicano le sceneggiature, e alcune delle scene disegnate da Milo Manara. I vent’anni della morte, il 31 ottobre, sono passati quasi nel silenzio, in una cultura che pure non sa essere che funeraria: il Grande Censore degli anni fulgidi del neo realismo dev’essere ancora all’opera.
Si può periodizzare la storia della Repubblica con i film di Fellini. I primi, fino alla “Notte di Cabiria”, sono i film della speranza – la ricostruzione. Poi viene il boom - la borghesia trionfante e incerta: “La dolce vita”, “Amarcord”, “Otto e mezzo”. Poi il nulla: “La nave”, la “Prova” – non c’è in fisica un disordine inordinato e improduttivo, suicidario, in Italia c’è stato e c’è.
C’è l’Italia in filigrana anche nei film letterari, dichiaratamente immaginifici: “Satyricon”, “Roma”, “Toby Dammit” (Poe), “Casanova”, “La voce dalla luna” (Cavazzoni), “La città delle donne”.

Femminismo – L’immagine della donna, non più casalinga senza essere una vamp, fu rinnovata da Elena Sedlak e le gemelle Kessler, ballerine della televisione, negli anni 1960.
Boccasile le aveva precedute, il disegnatore di “Signorina Grandi Firme”, e nel dopoguerra di  tante pubblicità. Dalla domesticità al fascino, senza peccato. Subito, nel 1946, Boccasile si vide bloccata la pubblicità della Paglieri per la quale aveva disegnato una donna nuda senza niente di diabolico, e anzi angelicata. Si rifece dieci anni dopo.

È quello di Marinetti, “Il disprezzo della donna”, 1911: “In questo sforzo di liberazione, le suffragette sono le nostre migliori collaboratrici, poiché quanti più diritti e poteri esse otterranno alla donna, quanto più essa sarà impoverita d’amore, tanto più essa cesserà di essere un focolare di passione sentimentale o di lussuria. La vita carnale sarà ridotta unicamente alla funzione conservatrice della specie”.

Letteratura – Prospera come sfida al linguaggio, di cui si nutre: sempre rinnovata, anche nelle ripetizioni e i remake. È il senso della novella “Pierre Menard, autore del Don Chisciotte”, di Borges. Portata a epitome del paradosso del traduttore, la novella dà il senso delle letteratura. Innovativa nella (con la) ripetizione. Menard è l’autore che riscrive parola per parola il “Don Chisciotte”.

Proust – Si può dire bergsoniano anche in questo, oltre che per la “durata”: usa molte parole per forzare i limiti del linguaggio. Bergson era fermamente convinto che il linguaggio è una camicia di forza: la parola fissa, cose, concetti e contorni, delimitando la mobilissima percezione individuale, sempre ricca di sfumature, cornici, contesti.

È Secondo Ottocento pieno, anzi Belle Époque e Fine Secolo, nei personaggi femminili, le imprevedibili Odette, Albertine, Mlle Vinteuil, le comparse, le grandi dame. Imprevedibili e inafferrabili, se non da quel lato lì. L’“eterno femminino” di Goethe illustrato, se si vuole. Ma è anche la donna del romanzo francese: Balzac, Flaubert, Zola, lo stesso Stendhal per troppe incertezze. Non corpo, carne.

Traduzione – Il Montaigne di Fausta Garavini è “Montaigne”, saggio, preciso, amabile, conversativo. Anche in inglese Montaigne si presta a essere “Montaigne”, sottile  equilibrato, moderato. Mentre spesso è puntuto, e talvolta inconsiderato.
Non è il solo caso Mentre non c’è Rabelais in nessuna traduzione: resta sempre di più, di fuori.
Il Dante di Jacqueline Risset, l’ultima versione francese, è invece Dante per un tratto trascurato in Italia, il ritmo – per una carrellata interminata, che il lettore non vorrebbe interrompere, martellante.
 
Vittoriana – La cultura dell’epoca è sepolta sotto gli strali di Litton Strachey e Bloomsbury, fa tutt’uno con l’irreprensibilità morale che si voleva dell’epoca, “borghese” - l’epoca delle tendine alle finestre dell’“Orlando” di V.Woolf alla fine della corsa, o delle crinoline sotto le gonne e i busti di stecche d’acciaio. Ma era una borghesia che esprimeva e leggeva, Dickens, Thackeray, Trollope, Hardy, le Bronte, George Eliot, Stevenson, Conrad, per non dire di Lewis Carroll e dello stesso Wilde. Prosastica e non poetica, questo è vero. Ma Tennyson, Browning, Swinburne, Matthew Arnold, e infine Yeats si leggono sempre – si dice che la poesia salta un secolo, da Shelley, Keats e Byron a T.S.Eliot, che peraltro era americano, come Ezra Pound che ribaltò negli anni 1910 la sonnolenta scena inglese, ma non è vero. Anche Conan Doyle è ben vittoriano, per età, personalità e visione del mondo. E Wilkie Collins. O Kipling, la cui inventiva si ascrive all’India. E Carlyle, John Stuart Mill, Ruskin, Macaulay, W. Pater nelle scienze umane, per non dire di Darwin.
In pittura la scena fu invece moderna e perfino scandalosa. Prediligendo l’immagine femminile - insieme con la pittura monumentale, di rovine – e il flou. L’immagine velata, suggestiva, del sogno e della bellezza, del corpo, di Dante Rossetti, Burne-Jones, Leighton, Millais, Waterhouse, Alma-Tadema. Che il corpo fanno armonico. Soffice, casto benché scoperto, suggestivamente velato. Mentre Parigi, che Londra ben frequentava, privilegiava il realismo impressionista, di contadine e ballerine da tabarin – parti intime comprese.

letterautore@antiit.eu

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