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giovedì 25 marzo 2021

Dante in Francia

Una raccolta di saggi, sugli echi d’Italia nelle lettere francesi, e di Francia in quelle italiane, che prende il titolo da quello più appuntito e più aggiornato, all’anno di pubblicazione, 1951. Un accostamento bizzarro ma vero. Balzac sceglie, dopo tanti altri nomi progettati, quello dantesco di “Commedia umana” per i suoi cicli di romanzi, di costumi, analitici, filosofici, eccetera, della vita privata, parigina, di provincia, dei parenti poveri. Dopo avere ascoltato nel 1845 a palazzo Farnese a Roma il principe Michelangelo Caetani - al quale dedicherà l’anno dopo “La cugina Betta” – sulla struttura ideale e di pensiero che sostiene la “Commedia” dantesca.
Nell’opera di Balzac molti sono qua e là i richiami a Dante, anche se di Dante Balzac non ebbe, o non coltivò, una conoscenza approfondita (ma chi e che poteva Balzac approfondire, che scrisse 137 libri di romanzi e racconti in vent’anni - con 2.209 personaggi secondo wikipedia?). Lugli ne rintraccia un paio di dozzine. Perfino, in “La vie et les aventures d’une Idée”, 1834, incompiuto, che doveva far parte degli “Studi filosofici”, una traccia del “Dante mussulmano”, in quanto “pontiere” tra Oriente e Occidente. Soprattutto, a un influsso diretto di Dante Lugli può ascrivere il “Livre mystique” del 1835, con i tre racconti “I proscritti” (su Dante esule a Parigi), “Louis Lambert” e “Séraphita”.
Un rapporto un po’ speciale, questo con Balzac, nelle fortune alterne di Dante in Francia – prima degli ultimi decenni evidentemente, con le traduzioni nuove e diffuse di Jacqueline  Risset, René de Ceccaty (in ottonari…), Danièle Robert. Praticamente sconosciuto in Francia fino all’Ottocento. Se non, ricorda Lugli, per l’odio guelfo, impersonato dal cardinale Bertrand du Pouget - Bertrando del Poggetto, l’“angelo della pace” di papa Clemente XII, che con una truppa di mercenari tra il 1320 e il 1327 sconfisse i principati ghibellini, e guelfi-ghibellini come Dante, ad Asti, Pavia, Piacenza e Parma, riprendendo per ultimo anche Bologna. E per le citazioni – “immagini e sentenze” - di cui Christine de Pisan a fine Trecento-primi Quattrocento ha infiorettato i suoi poemi, senza peraltro, più spesso, riferimenti alla fonte. E poi, nel primo Cinquecento, Marguerite de Navarre, la sorella di Francesco I.
Sconosciuto agli italinisants, Du Bellay, Ronsard, Montaigne. Indigesto a Flaubert e Lamartine – che però se ne ispira per il grande poema, “la mia epopea dell’anima”, che avrebbe voluto e non ha scritto, eccetto due frammenti, “Chute d’un ange” e “Jocelyn” (ma sempre dall’alto: “Dante ha iscritto il suo nome a caratteri di fuoco sull’immaginazione dei secoli” e “un grand’uomo e un cattivo poeta, un uomo più grande del suo poema”). Poco amato dallo Chateaubriand del “Genio del cristianesimo” – sopra Dante metteva Tasso e Milton. Recuperato tardi, da Delacroix, al Salon di pittura del 1820, con la “Barca di Caronte”, che fece sensazione. Quindi, un po’, da Victor Hugo, e soprattutto da Balzac, infine da Sainte-Beuve.
Manca nella rassegna di Lugli Gustave Doré, che sulla “Commedia” fece un grosso investimento, rischioso, nel 1861, con l’editore Hachette, per un in folio di 156 incisioni – manca pure Théophile Gautier, che sostenne Doré nell’impresa. Ma c’è naturalmente molto altro, da francesista un po’ datato, ma di larghe conoscenze. E di critico, con due saggi su Tommaseo, sul romanzo, “Fede e bellezza”, e uno su Carducci. Con echi di Francia un po’ stiracchiati, soprattuto nei riguardi degli italiani che hanno vissuto in Francia, come Tommaseo (con Tommaseo c’è, apprezzata, anche “Giorgio” Sand), o a cui si sforza di dare un’apertura oltralpe, come Carducci. Quest’ultimo medaglione è meritevole, se non altro, per il fatto che non si dice di “Marchesa Colombi”: una cacciatrice d’uomini, milanese, scesa a Bologna a corteggiare Carducci, che dovette accontentarsi di Panzacchi.
Una curiosità, Boccaccio in Courteline. Assortita dalla fortuna di Boccaccio in Francia nell’Ottocento. E una disamina ancora interessante fra i due “Mastro don Gesualdo” di Verga, quello a puntate del  secondo semestre del 1888, e quello, “affatto nuovo” come lo annunciava l’editore Treves a metà dell’anno successivo, e pubblicato a novembre. “La monaca di Monza e una pagina di Bossuet” è un repertorio di donne celebri “monacate” su cui Manzoni potrebbe essersi ispirato. A partire da Jacqueline Arnauld, sorella del Grande Arnauld, poi madre Angélique e badessa di Port Royal, individuata per primo da Pietro Paolo Trompeo – la lista è lunga. Non manca Proust: come visto, criticamente, da Gide. E un seminale, dopo settant’anni. “Stile indiretto libero”, tra La Fontaine e Flaubert, e poi in Zola (meccanico),Verga, D’Annunzio (tedioso), con “gli accenni precorritori del Manzoni e del Nievo”, il saggio più interessante dopo quello del titolo.
Di buona (vecchia?) erudizone il discorso semiserio tenuto all’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna il 9 gennaio 1949 e intitolato “Il senso di una poesia”, sul “perché non c’è una poesia francese”.
Vittorio Lugli, Dante e Balzac, pp. 349, free online

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